Manovra Nel 2025 la spesa sanitaria salirà appena dello 0,04% del Pil: circa 8-900 milioni
Il ministro Giorgetti ha dovuto ammettere che nella legge di bilancio per la sanità non ci saranno i 3,7 miliardi di cui ancora martedì si favoleggiava al ministero della salute. Lo ha ribadito nella conferenza stampa di ieri mattina in cui ha illustrato la manovra: «Manteniamo invariata la percentuale rispetto al Pil» ha detto, riferendosi al fondo sanitario nazionale che impegna circa 130 miliardi di euro. Se il Pil aumenterà poco sopra l’1% come previsto, il conto è presto fatto: alla salute nel 2025 andranno meno di due miliardi in più con cui le Regioni dovranno coprire l’aumento fisiologico dei prezzi e dei salari del personale. Molto meno di quanto sperato, e di quanto richiede lo stato della sanità pubblica.
Non è la prima volta che Giorgetti esprime l’intenzione di tenere costante il rapporto tra spesa sanitaria e Pil, già molto inferiore a quello di Francia e Germania. Ad alimentare l’ambiguità era stato però lo stesso ministro della salute Orazio Schillaci, che il giorno prima si era detto fiducioso su un investimento di «oltre tre miliardi», lasciando intendere che il governo avesse davvero intenzione di rilanciare il settore con nuove assunzioni. Invece no: rispetto a quanto già deciso, la spesa sanitaria nel 2025 aumenterà appena dello 0,04% del Pil, oggi poco sopra i duemila miliardi. Cioè di circa 8-900 milioni, altro che 3,7 miliardi. A questa cifra va sommato il miliardo già messo in manovra l’anno scorso per il 2025, e così non si arriva nemmeno a due. A chiarirlo è anche il Documento programmatico di bilancio (Dpb) inviato ieri a Bruxelles, in cui le spese previste dal governo nel triennio 2024-2026 sono messe nero su bianco. Secondo il Dpb i tre miliardi promessi arriveranno solo nel 2026, quando la spesa sanitaria salirà dello 0,15% del Pil.
Nel 2025, l’aumento della spesa sanitaria sarà in linea con l’inflazione e con la variazione del Pil come auspica Giorgetti. In sostanza, per la sanità non cambierà quasi niente. Secondo il ministro dell’economia è già qualcosa: «Credo che il meno deluso debba essere Schillaci», ha detto alludendo allo scontento degli altri membri del governo a cui toccheranno tagli lineari. Ma ora in tanti lamentano l’inconsistenza di un ministro della salute che si spreca negli annunci e poi raccoglie regolarmente le briciole senza fiatare. «Si fanno piani e promesse molto ambiziosi – osserva Marina Sereni, responsabile salute nella segreteria del Pd – e poi non si trovano le risorse necessarie per realizzare tutto questo». «Se non ti danno i finanziamenti sei un tecnico, devi battere i pugni, devi farti valere e nel caso metti sul tavolo le dimissioni» consiglia Giuseppe Conte a Schillaci. Ironico e amaro Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe: «Il ministero della Salute può ormai essere considerato senza portafoglio».
Anche lo stop al numero chiuso nelle facoltà di medicina annunciato dalla ministra Bernini non è quel che sembra. Bernini ha provato a accontentare necessità opposte: da un lato, quella di aumentare il numero di medici soprattutto in alcuni settori come la medicina d’urgenza e la rianimazione; dall’altro, l’opposizione storica dell’ordine dei medici e della associazioni di categoria alla liberalizzazione delle facoltà. Sullo sfondo, i tagli che non hanno certo risparmiato le università. E allora la ministra ha preferito varare un compromesso al ribasso.
Il disegno di legge delega approvato ieri dalla Commissione istruzione del Senato prevede che a medicina ci si potrà iscrivere liberamente ma con una selezione rimandata al primo semestre dopo esami «caratterizzanti» e in base a criteri ancora da stabilire. Tutto senza un euro in più. E infatti il presidente dell’ordine dei medici Filippo Anelli festeggia: «L’abolizione del test di accesso a Medicina non toglierà il numero programmato: è sicuramente una buona notizia». Mentre le opposizioni protestano perché il numero chiuso è solo spostato di qualche mese, senza risorse per accogliere gli studenti in più e con un prevedibile scadimento della didattica. Dura la segreteria Pd, per voce di Sereni e del responsabile università Alfredo D’Attorre: «Un puro imbroglio a fini propagandistici»