Davanti agli occhi Scuole e ospedali svuotati, l'Onu costretta a sospendere gli aiuti. Msf: «Un deserto senza vita». E fonti israeliano spiegano l'obiettivo: «Assumere il controllo della zona»
In fuga dai raid israeliani su Jabaliya – AbacaPress/Mahmoud Issa
L’obiettivo della rinnovata offensiva di terra israeliana «è assumere il controllo del nord di Gaza». Il (prevedibile) fine della combinazione di raid aerei e assedio terrestre delle comunità settentrionali della Striscia lo conferma alla nota agenzia di informazione Walla una fonte dell’esercito di Tel Aviv. Aggiunge: «Se andrà secondo i piani, saremo in grado di controllare un’area ampia di Gaza».
L’offensiva israeliana è ripresa con estrema durezza la scorsa settimana, in concomitanza con i nuovi ordini di evacuazione inviati alla popolazione, circa 400mila palestinesi. Tanto dura che ieri l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, ha annunciato su X la sospensione obbligata di tutti i servizi salvavita che forniva. Sette scuole, usate come rifugi dagli sfollati, si sono svuotate. Nel solo campo profughi di Jabaliya sei pozzi d’acqua su otto sono inutilizzabili.
LANCIA l’allarme anche Medici senza Frontiere: «L’ultima mossa di spingere con forza e violenza migliaia di persone dal nord di Gaza verso sud sta trasformando il nord in un deserto senza vita e aggrava la situazione nel sud, dove più di un milione di persone sono già state schiacciate in una piccola porzione della Striscia», ha spiegato ieri Sarah Vuylsteke, coordinatrice dei progetti di Msf a Gaza. L’organizzazione denuncia poi l’assenza di aiuti umanitari: il transito «non viene autorizzato (da Israele) dal primo ottobre».
La ragione sta nelle pratiche militari messe in campo, le stesse dei primi mesi di guerra: ai bombardamenti si unisce l’avanzata, metro per metro, dei carri armati e dell’artiglieria pesante. Intere comunità – Jabaliya, Nuseirat, Beit Lahiya, Beit Hanoun – sono circondate e sotto assedio. Ieri la protezione civile di Gaza riportava di strade chiuse che impediscono ai soccorsi di entrare nelle zone colpite: l’assedio va avanti da quattro giorni, spiega il direttore Ahmad al-Kahlut, e «l’esercito spara su chiunque si muova».
Tante le chiamate ricevute dalla protezione civile, richieste di aiuto che non sono esaudibili. E i cadaveri si accumulano. Di alcuni si ha notizia, del cameraman di al Jazeera, Fadi al-Wahidi, ferito da un cecchino, di 15 palestinesi uccisi nelle loro tende dopo un bombardamento a Jabaliya, di altri 20 morti la notte precedente, di un altro giornalista – Mohammed Tanani di Al Aqsa Tv – ucciso nel campo.
Le vittime continuano a moltiplicarsi: oltre 42mila dal 7 ottobre 2023, più di 52mila se si tiene conto dei dispersi. «Siamo qui all’angolo tra Jabaliya al-Balad e il campo di Jabaliya, le forze israeliane sparano su chiunque si muova – scriveva ieri il reporter Anas al-Sharif – Si sentono i rumori degli spari. Decine di persone sono state uccise, nessuno riesce a recuperare i loro corpi. Le strade sono state rase al suolo e gli israeliani hanno creato barriere con cumuli di terra per impedire qualsiasi movimento».
AL CAOS e al terrore si aggiunge il collasso della sanità. Gli ordini di evacuazione colpiscono anche gli ospedali. L’Al-Ahli di Gaza City ha dichiarato lo stato di emergenza per l’eccessivo numero di feriti in arrivo, il Kamal Adwan e l’al-Awda a nord sono di fatto inaccessibili: i medici sono fuggiti dopo l’ordine di evacuare, ne sono rimasti pochissimi a seguire i pazienti che non si possono spostare.
In serata una nuova incursione israeliana con agenti sotto copertura a Nablus, nella Cisgiordania occupata, ha lasciato dietro di sé cinque palestinesi uccisi; secondo Tel Aviv si tratta di membri delle Brigate Martiri di Al-Aqsa (Fatah). Intanto al Cairo riprendono i colloqui tra Hamas e Fatah per un futuro governo di unità, gli ultimi si erano tenuti a luglio a Pechino