Li fermi chi può. Il premier israeliano descrive come fondamentale il controllo del confine tra l’Egitto e la Striscia, dove ieri ci sono stati 50 morti
La musica come inno alla vita e regalo ai bambini. È la sfida che lancia alla morte Yusef Saad, talento 15enne dell’oud arabo. Ogni giorno, incurante della minaccia dei raid aerei israeliani, con lo strumento legato alla schiena, Yusef percorre in bicicletta le strade devastate del campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza. Canta e suona per i bambini che da 11 mesi vivono orrori quotidiani. «Un tempo le case di Jabalia erano piene di sogni», ha detto il giovane musicista a una agenzia di stampa, osservando le macerie del campo profughi che prima della guerra era edificato e densamente popolato. «Quei sogni se ne sono andati, ma noi ragazzi della Palestina ci sforziamo di restare resilienti, anche di fronte al genocidio» ha aggiunto Yusef che studiava al Conservatorio nazionale di musica «Edward Said» ridotto dalle bombe in un cumulo di pietre e tubi contorti di metallo come gran parte della Striscia.
Essere bambini a Gaza è una lotta quotidiana per la sopravvivenza, con la speranza che restino vivi i propri genitori. Gli orfani sono alcune migliaia, vivono con parenti quando va bene o con estranei. Ieri mentre i funzionari dell’Onu e dell’Oms continuavano la campagna vaccinale che dovrà scongiurare la poliomielite – sono 187mila su 640mila i bambini già vaccinati – i bombardamenti israeliani facevano altri morti a Gaza. Quasi 50 da martedì, di cui 18 ieri. In Cisgiordania, a Kafr Dan, si sono celebrati i funerali di Lujain Musleh, la ragazza di 16 anni uccisa due giorni durante una incursione dell’esercito israeliano. Jenin e il campo profughi di Nur Shams (Tulkarem) sono al centro dell’operazione «Campi Estivi» che in una settimana ha ucciso 33 palestinesi, in gran parte combattenti ma anche civili, e distrutto strade, edifici, infrastrutture. Hebron, nel sud della Cisgiordania, è isolata da quando, a inizio settimana, un palestinese ha ucciso tre poliziotti.
Non finirà presto la guerra, non ci sarà il cessate il fuoco a Gaza nonostante a richiederlo non siano più solo i palestinesi e la società civile internazionale. Anche centinaia di migliaia di israeliani invocano lo stop alla guerra come unica strada per riportare a casa i 101 ostaggi nella Striscia. Il premier israeliano Netanyahu, durante un incontro ieri sera con la stampa estera, ha ribadito numerose volte che Israele non rinuncerà al controllo del Corridoio Filadelfia tra Gaza e l’Egitto, unica strada, a suo dire, per liberare gli ostaggi. Appena poche ore prima il ministro degli Affari strategici Ron Dermer, in un’intervista con Bloomberg aveva lasciato aperta la possibilità di un ritiro completo dell’esercito israeliano nella seconda fase dell’accordo di tregua che propongono Usa, Qatar e Egitto. Al contrario Netanyahu è stato categorico nell’escludere questa soluzione. «Gaza non può avere un futuro se rimane porosa e se si consentirà il riarmo di Hamas attraverso il Corridoio Filadelfia». Ai giornalisti che gli hanno fatto notare che le famiglie degli ostaggi lo accusano di aver scelto il controllo del confine tra Gaza e l’Egitto e di aver rinunciato a salvare i sequestrati, il primo ministro ha risposto che Hamas potrebbe far uscire gli ostaggi da Gaza per portarli in Iran o nello Yemen se Israele non controllasse più il Corridoio Filadelfia. All’inizio della conferenza stampa, Netanyahu aveva parlato di Israele come di un «piccolo paese, uno dei più piccoli al mondo» minacciato da Hamas e l’Iran. Avrebbe dovuto aggiungere che «il piccolo Israele» è uno degli Stati più forti militarmente al mondo, che possiede la bomba atomica e gode del sostegno degli Stati uniti