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Le toglieranno le catene, dovranno aprirle la cella. L’Ungheria concede, dopo 15 mesi di carcere duro, i domiciliari a Ilaria Salis. Resta a Budapest, ma la candidatura europea è già servita. Ora va liberata

OLTRE LE SBARRE. L’antifascista resterà a Budapest con il braccialetto elettronico. La famiglia dovrà dare una cauzione da 41.000 euro. Il giudice: «Pericolo di fuga attenuato». Il padre: «Ilaria non è uscita dal pozzo». Le ipotesi per il rimpatrio

Niente più prigione e niente più catene, Salis va ai domiciliari 

Uscirà di prigione, Ilaria Salis. Ieri pomeriggio il tribunale di Budapest ha concesso all’antifascista italiana gli arresti domiciliari, sempre in Ungheria, «fino alla sentenza di primo grado». Dal 28 marzo, quando lo stesso tribunale ha detto no alla scarcerazione, a questo nuovo, clamoroso, pronunciamento non è in realtà cambiato nulla dal punto di vista giudiziario. L’unica vera novità riguarda la candidatura dell’imputata Salis alle europee con l’Alleanza Verdi Sinistra. Era il 18 aprile e così si è arrivati al massimo grado di politicizzazione di questa storia: l’esatto contrario del «silenzio» che secondo il governo italiano è prerogativa ineludibile di ogni intervento diplomatico. Ma in realtà è stato il rumore provocato dallo scandalo che ha portato Salis a ottenere i domiciliari. C’è anche dell’altro.

L’annunciata uscita di galera è con ogni probabilità frutto anche di un calcolo (cinico) del governo ungherese – che controlla l’apparato giudiziario del paese molto più di quanto sia disposto ad ammettere -: il tentativo è quello di spegnere la vicenda, il poter dire «vedete, è libera, cosa c’è di strano?».

E questo è da leggere anche nell’ottica interessata dell’alleata italiana, Giorgia Meloni, che dopo le europee accoglierà nel gruppo dei conservatori il partito del premier magiaro. Infine c’è una questione di opportunità: se Salis venisse eletta mentre si trova in prigione, la sua uscita (pressoché obbligatoria secondo le normative comunitarie) avrebbe regalato al mondo l’immagine di una clamorosa sconfitta di Orbán al cospetto dell’Europa. L’immagine di una prigioniera evidentemente politica che va via dal carcere per diventare europarlamentare. Intanto, e in ogni caso, Salis potrà andare ai domiciliari. Resterà a Budapest, ospite di una privata cittadina, con il braccialetto elettronico alla caviglia. Adesso manca solo un passaggio: il versamento di una cauzione di 160.000.000 di fiorini (circa 41mila euro). Questione di pochi giorni, assicurano i suoi avvocati italiani Eugenio Losco e Mauro Straini.

«ILARIA È ENTUSIASTA di poter finalmente uscire dal carcere e noi siamo felicissimi di poterla finalmente riabbracciare», così, a caldo, Roberto Salis, il padre. Che poi usa la metafora coniata da Zerocalcare per spiegare che la vicenda è ancora ben lontana dal potersi dire conclusa: «Non è ancora uscita dal pozzo». Aggiunge l’avvocato Straini: «Siamo ovviamente soddisfatti, ma la battaglia non è finita qui».

Il prossimo passo (comunque non immediato) sarà chiedere il trasferimento di Ilaria Salis in Italia, per farle scontare qui gli arresti domiciliari. «È una richiesta che sarà inviata alle autorità giudiziarie ungheresi – spiega l’avvocato Losco, che la settimana prossima si recherà a Budapest -, sono loro che devono ritenere se questa misura sia più o meno idonea a tutelare quel pericolo di fuga che loro ritengono possibile, sebbene attenuato».

SULLA POSSIBILITÀ che il trasferimento in Italia possa avvenire, la giurisprudenza non dà risposte univoche. Esiste una decisione quadro del Consiglio d’Europa del 2009 (la numero 829) che riguarda proprio il «principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare», ma la sua applicazione nel nostro paese è controversa. Il 19 dicembre del 2023 la VI sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso di un cittadino spagnolo che stava scontando gli arresti domiciliari in Italia e chiedeva di poter tornare in Spagna.

Secondo la Corte, la decisione quadro mira a rendere possibile l’esecuzione in uno stato estero di misure non detentive, dunque non i domiciliari. Lo scorso 8 maggio, però, il tribunale del Riesame di Torino, sempre sulla base della convenzione quadro del 2009, è arrivato a conclusioni opposte, dando ragione a un cittadino tedesco. I giudici torinesi ritengono la loro decisione «coerente con i principi di libertà e di presunzione di innocenza che costituiscono e devono costituire l’humus giuridico e culturale dell’Unione Europea». In ogni caso, si legge ancora nell’ordinanza del Riesame di Torino, l’interpretazione della convenzione quadro «meriterebbe, considerata anche l’importanza della materia, l’intervento delle Sezioni Unite».

AL DI LÀ DI TUTTO QUESTO, per Ilaria Salis si apre uno spiraglio che va anche oltre la sospirata uscita dal carcere di Budapest, dove fino all’esplosione mediatica del suo caso, ha vissuto mesi infernali, tra scarafaggi, condizioni igieniche drammatiche, scarso vitto e un trattamento che ha fatto gridare mezza Europa allo scandalo.

La concessione dei domiciliari, inoltre, porta a un altro sostanziale cambiamento della vicenda: il prossimo 24 maggio, quando si terrà la nuova udienza del processo che la vede imputata, Ilaria Salis potrà entrare in aula senza catene ai polsi, senza schiavettoni ai piedi e senza guinzaglio tenuto da una guardia. Così, libera, si troverà di fronte ai testimoni dell’accusa, cioè i militanti neonazisti che nel febbraio del 2023, durante la serie di iniziative che ogni anno celebrano le imprese militari delle SS durante la Seconda guerra mondiale, sarebbero stati aggrediti dagli antifascisti