«Le condizioni disperate di Gaza sono ormai una minaccia alla sicurezza del mondo intero». Il segretario dell’Onu Guterres apre una procedura straordinaria, mai usata nel mandato, e chiede il cessate il fuoco. Ma Israele bombarda ancora e lo attacca: la minaccia è lui
Vita agra a Huwara, al crocevia per Tel Aviv e Gerusalemme, assediata dagli insediamenti
Soldati israeliani circondando Huwara - foto Ap/Ayman Nobani
Ghassan Salman ha riaperto ieri, dopo due mesi, il suo negozio di polli e uova all’angolo di un palazzo che affaccia sullo stradone principale di Huwara, a sud di Nablus, in Cisgiordania. «Questa non è la prima volta che i coloni israeliani assaltano e distruggono il mio negozio e quelli che vedete qui intorno», ci dice mentre sistema dei barattoli su di uno scaffale.
All’interno il figlio affetta petti di pollo e segue il colloquio senza aprire bocca. «Il 7 ottobre (quando Hamas ha attaccato il sud di Israele, ndr) – ci racconta – mi sono consultato con gli altri negozianti, abbiamo deciso di chiudere prima del solito e di andare a casa, per sicurezza. Non abbiamo fatto in tempo, poco dopo le 13 sono arrivati i coloni, a decine. Sono riuscito ad allontanarmi, ma hanno spaccato la vetrina del negozio con pietre e bastoni». I commercianti lì accanto confermano. «Erano decisi a vendicarsi contro di noi per quanto era avvenuto qualche ora prima. Nessuno li ha fermati, l’esercito ha lasciato fare», aggiunge il proprietario di una rosticceria.
MENTRE PARLIAMO, dall’altra parte della strada, una pattuglia di militari israeliani nota il capannello di persone. Si avvicinano, i commercianti si allarmano. «Basta, ognuno torni al suo negozio, allontanati anche tu, subito. Qui non si scherza» ci intima Ghassan Salman. In pochi attimi torna il silenzio in tutto il villaggio, i soldati si posizionano dietro barriere di cemento armato. Lo stradone è quasi vuoto, con poche auto che transitano dopo aver passato i controlli dell’esercito. Qualche chilometro più a nord c’è Nablus, la più importante delle città palestinesi nel nord della Cisgiordania, chiusa da due mesi e circondata da reparti militari israeliani.
Ghassan Salman, Huwara
Non abbiamo fatto in tempo a chiudere, sono arrivati con pietre e bastoni, l’esercito ha lasciato fare. Ho rimesso a posto il negozio distrutto ma so che dovrò farlo ancora
HUWARA È UN VILLAGGIO senza particolari attrazioni, può vantare solo la produzione di un buon olio d’oliva. E sarebbe rimasto un posto anonimo, dimenticato da tutti, se l’occupazione israeliana della Cisgiordania non gli avesse costruito intorno alcune delle colonie ebraiche più radicali. Elon Moreh, Itamar, Yizhar, solo per citarne alcune. Huwara è un passaggio obbligato per i coloni diretti allo svincolo di Zaatara per Tel Aviv e Gerusalemme. E con il riaccendersi negli ultimi due anni della tensione in Cisgiordania e della lotta armata all’occupazione, il villaggio è diventato un campo di battaglia e lo sfogatoio di militanti dell’estrema destra religiosa decisi a vendicare le uccisioni di soldati e coloni sulle strade dei Territori occupati compiute da cellule palestinesi armate.
NE SA QUALCOSA Ziad Dmeidi, il barbiere del villaggio, uno dei tanti abitanti di Huwara che alla fine dello scorso febbraio hanno avuto la casa incendiata o l’auto distrutta durante il più ampio e grave dei raid compiuti da centinaia di coloni israeliano. «Avevano ucciso un israeliano all’ingresso del villaggio, perciò sapevo che i coloni si sarebbero vendicati» ci racconta mentre accorcia i capelli a un giovane dalla chioma folta e nera «ho portato l’auto lontano, per salvarla. Non immaginavo che sarebbero arrivati in centinaia e che avrebbero cercato di dare fuoco alle nostre case. Sono state ore di grande paura. Hanno dato fuoco alla porta di casa, noi eravamo dentro. Non potevamo scappare perché fuori c’erano cento, forse 150 coloni che urlavano come pazzi e brandivano dei bastoni. Per fortuna sono giunti in soccorso i nostri vicini e sono andati via». Ore di panico vissute da tante famiglie quella notte. Furono decine le case e 150 le automobili date alle fiamme. Un palestinese fu ucciso, non si è mai saputo se da spari dell’esercito o di un colono.
Dmeidi ha potuto riparare la sua abitazione, grazie a fondi del comune e a donazioni giunte da Qatar ed Emirati. Ma da allora Huwara si è trasformato in un territorio di guerra. Soldati delle unità combattenti sono stati schierati lungo la strada che attraversa il villaggio percorsa anche dalle auto dei coloni. Uno schieramento che non ha impedito gli attacchi palestinesi e le rappresaglie violente dei coloni. Qualche giorno prima del 7 ottobre, decine di estremisti hanno costruito una capanna del Sukkot ebraico nel centro di Huwara e pregato davanti alle case palestinesi. L’esercito ha risposto alla tensione punendo i palestinesi, nessun provvedimento è stato preso contro i coloni che hanno attaccato e distrutto decine di negozi per vendicare gli israeliani uccisi o rapiti da Hamas.
«SOLO DA QUALCHE giorno, dopo due mesi, l’esercito ha permesso la riapertura di una parte dei negozi, altrimenti Huwara sarebbe rimasto un villaggio fantasma», ci spiega nel suo ufficio Mouin Dmeidi, il sindaco di Huwara, con alle spalle le foto di Yasser Arafat e del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. «Ha riaperto il 40% dei 500 negozi di Huwara e la strada centrale è di nuovo percorribile» aggiunge il sindaco, membro della famiglia più importante del villaggio. «Huwara però resterà una prigione per i suoi abitanti fino a quando non costruiranno l’altra strada, quella che potranno usare solo i coloni. Intanto ci confiscano altre terre, dal 2018 in quest’area abbiamo perduto 110 ettari di campi coltivati e frutteti».
Le rappresaglie anche contro i palestinesi della Cisgiordania per l’attacco di Hamas nel sud di Israele, sono state la regola per settimane. Centinaia di uomini donne e bambini nelle zone rurali sono stati costretti ad abbandonare case e villaggi. Ieri il ministero della sanità a Ramallah ha aggiornato a 308 il numero degli attacchi contro le comunità palestinesi e a 143 quello delle famiglie (più di mille persone, tra cui 388 bambini) che hanno dovuto lasciare le loro abitazioni. Almeno sette palestinesi sono stati uccisi da coloni, decine di feriti. Dati che coincidono con quelli del centro per i diritti umani B’Tselem.
ALLE AGGRESSIONI parteciperebbero anche soldati con il volto coperto. A Susya, sulle colline a sud di Hebron, il 28 ottobre uomini armati e mascherati in uniformi militari hanno picchiato e minacciato gli abitanti del villaggio. Poi si è scoperto che erano coloni che fanno parte dei sei «battaglioni di difesa» formati di recente per presidiare gli insediamenti coloniali in Cisgiordania. «Coloni violenti, due o tre mesi fa, attaccavano e molestavano le comunità palestinesi per cacciarle dalle loro terre. Ora sono stati reclutati dall’esercito, indossano l’uniforme e hanno piena autorità, come soldati. I palestinesi non hanno alcun cuscinetto tra loro e gli estremisti. I coloni operano con più impunità del solito», denuncia Yehuda Shaul, condirettore dell’associazione pacifista Ofek. Gli attacchi più recenti sono avvenuti a Qarawat Bani Hassan, alle porte di Salfit, dove un palestinese è stato ucciso e altre tre feriti, e a Farasiya dove un attivista della sinistra israeliana, Alex Povolotsky, è stato preso a calci alla testa e a sassate e portato all’ospedale.
Messo sotto pressione dalle continue violenze dei coloni, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha ordinato tre giorni fa la detenzione amministrativa (senza processo) di un colono e annunciato misure punitive. Ghassan Salman non si fa illusioni. «In Cisgiordania i coloni faranno ancora ciò che vogliono e noi palestinesi siamo indifesi» ci dice «qui a Huwara continueranno a compiere le loro rappresaglie. Ho rimesso a posto il mio negozio distrutto il 7 ottobre, sono certo che dovrò farlo ancora».