GERMANIA. Nove mesi dopo la chiusura dell’ultima centrale il cancelliere Olaf Scholz pronuncia la sentenza di morte definitiva per l’energia atomica
«Il nucleare è un cavallo morto». Nove mesi dopo la chiusura dell’ultima centrale il cancelliere Olaf Scholz pronuncia la sentenza di morte definitiva per l’energia atomica in Germania. «Non tornerà mai più» è la promessa alla radio pubblica Deutschlandfunk, supportata dai dati incontrovertibili che dimostrano come il Paese più industrializzato d’Europa abbia perfettamente digerito lo storico “phase out”, al contrario di quanto pronosticavano i nuclearisti.
Il mix energetico tedesco nei primi sei mesi del 2023, appena certificato dall’Istituto Fraunhofer di Monaco, restituisce la generazione di watt da fonti rinnovabili ormai a quota 57,7% (era il 51,8% nello stesso periodo del 2022) con il drastico calo della produzione da lignite (- 21%), carbone fossile (- 23%) e gas naturale (- 4%).
Insomma, dati alla mano, Berlino ha completato il distacco dall’atomo con successo. Anche se rimangono
le accuse di «autolesionismo» e «suicidio economico» dei liberali di Fdp e dell’estrema destra di Alternative für Deutschland, gli unici rimasti a difendere l’atomo morto ma non definitivamente sepolto.
Rimane sotto terra, lontanissima dai riflettori, la tossica eredità del programma nucleare civile tedesco avviato in pompa magna negli anni Sessanta e chiuso nel 2011 da Angela Merkel all’indomani del disastro di Fukushima, dopo anni di proteste degli ambientalisti del Sole che Ride.
Il lascito alle generazioni future sono tonnellate di metri cubi di scarti altamente radioattivi stivati «temporaneamente» da decenni nelle miniere fra la Bassa Sassonia e il Brandeburgo. In ambiente tutt’altro che sicuro, vista la fretta del governo federale di trovare il famigerato «Endlager» (il deposito finale) entro il 2030: un buco sotto terra «profondo almeno un chilometro con tenuta stagna per minimo un milione di anni» come si legge nell’inquietante relazione tecnica presentata dagli esperti ai governatori dei 16 Land.
Solo su questo d’ora in poi in Germania verterà il dibattito sul nucleare, con buona pace del ministro Christian Lindner, segretario di Fdp e falco delle finanze perfettamente consapevole che al di là degli annunci i margini per il ritorno dell’atomo sono pari a zero: mancano investitori e compagnie di assicurazione disposti a sobbarcarsi impianti che in media funzionano poco più di metà anno, la cui vita tecnica viene prorogata d’ufficio per rientrare dei costi faraonici.
In altre parole senza più aiuti pubblici il nucleare non ha l’energia per stare in piedi, è il sottotesto del cancelliere Scholz (che ieri ha messo sui social una buffa foto con benda da pirata a causa di un incidente), pronto a sottolineare come «anche volendo chiunque oggi volesse costruire centrali nucleari avrebbe bisogno come minimo di tre lustri per farlo e dovrebbe spendere dai 15 ai 20 miliardi ciascuna».
Dal punto di vista del business come puntare su un ronzino, anzi un «cavallo morto» che non corre più nemmeno a Parigi, come evidenzia la ripetuta esportazione di energia tedesca verso la rete francese colpita da continue interruzioni