Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

PARLA IL LEADER PACIFISTA SVEDESE ULF SPARRBÅGE. «Lo status di neutralità in un’area cruciale fra Alleanza atlantica e Russia è stato sempre un fattore stabilizzante, per tutte le parti. Farlo franare è incomprensibile»
 Una protesta di Nej till Nato ("No alla Nato") a Stoccolma - Ap

Negli ultimi decenni, a partire dal 1991, i pacifisti dei paesi Nato hanno considerato un esempio quegli Stati occidentali neutrali, che non bombardavano paesi in guerre di aggressione né manovravano in guerre per procura – anche se Svezia e Finlandia avevano entrambe aderito al Partenariato per la pace promosso dalla Nato nel 1994.

La svolta atlantista inaspettata di questi ultimi mesi ha indotto due organizzazioni pacifiste attive in Svezia, Svenska Fredskommittén (Comitato per la pace) e Riksföreningen Nej till Nato (Associazione nazionale No alla Nato) a scrivere ai Parlamenti degli Stati membri dell’Alleanza atlantica chiedendo che la domanda di adesione da parte del loro paese venga respinta. Ne parliamo con Ulf Sparrbåge di Nej till Nato.

Come avete motivato la vostra richiesta di tenere fuori la Svezia?

Con due ragioni forti. Primo, in questa brusca rottura della tradizionale politica svedese di non allineamento, i cittadini non sono stati interpellati; il governo sa che c’è una diffusa opposizione e ha deciso in modo affrettato, quando in precedenza il primo ministro svedese Magdalena Andersson sosteneva che i cambiamenti improvvisi sono rischiosi. In secondo luogo, l’ingresso destabilizzerebbe la regione e renderebbe il mondo più insicuro. Vista anche la collocazione geografica di Finlandia e Svezia, il loro status di neutralità in un’area cruciale fra Nato e Russia è stato un fattore stabilizzante, ininterrottamente, per tutte le parti. È incomprensibile che si voglia far franare tutto questo.

La domanda di adesione di Stoccolma all’Alleanza atlantica è del 2022, ma Nej till Nato nasce nel 2014…

Sì. Fu quando il nostro paese firmò un accordo che permetteva alla Nato di condurre esercitazioni congiunte sul territorio svedese e ai paesi membri dell’Alleanza di dispiegare truppe in Svezia in risposta a presunte minacce alla sicurezza nazionale. Fu un fulmine a ciel sereno, un anno dopo le elezioni, senza tempo per informare, studiare le conseguenze. Dal 2014 protestiamo nelle strade, raccogliamo firme, prendiamo parte a dibattiti, distribuiamo volantini, scriviamo articoli. Ma ci sono anche divisioni nel mondo pacifista. E non c’è ricambio generazionale. I giovani non sembrano molto attratti dall’attivismo anti-guerra…

A maggio la Svezia ha firmato la domanda, il 5 luglio i membri dell’Alleanza hanno firmato i protocolli per l’adesione di Svezia e Finlandia ed è iniziato così il processo di ratifica che potrebbe concludersi in 6-8 mesi. Cosa pensate di fare?

La situazione è pessima. Comunque sono circa 40 le organizzazioni che lavorano per fermare questa marcia. E se la Svezia entrerà, ebbene continueremo a lottare. Per l’uscita. Come fate voi.

I partiti politici e la popolazione non temono l’impiantarsi di basi Nato e Usa, e la conseguente partecipazione diretta a conflitti all’estero?

Ormai solo due partiti sono contrari. Rappresentano insieme il 15% dei voti in Parlamento. Il Miljöpartiet (partito verde) e il Vänsterpartiet (sinistra). Chiedono di aspettare almeno fino all’esito delle elezioni di settembre per il rinnovo del Parlamento. In precedenza, nel paese la stragrande maggioranza era per la neutralità. È difficile interpretare il pensiero degli svedesi a proposito della Nato. Va detto che i media sono un grande problema. La copertura della crisi/guerra in Ucraina è sbilanciata in modo eclatante.

Ci sono ancora in Occidente paesi neutrali (Svezia e Finlandia, poi Austria, Svizzera, Irlanda, Moldavia, Serbia, Malta, la stessa Ucraina…). Se, per (improbabilissima) ipotesi, questa lista si allungasse, aiuterebbe la pace?

I paesi non allineati servono a controbilanciare le alleanze militari. E possono mostrare che le controversie vanno risolte sui tavoli negoziali. Piccoli e grandi Stati dovrebbero formare una rete di paesi militarmente non allineati, i quali lavorano affinché la guerra non sia mai più un meccanismo di risoluzione dei conflitti.

Era la proposta, tanti decenni fa, dell’economista indiano J. C. Kumarappa. E invece, dopo il vertice di Madrid lo scorso giugno, la Nato rafforzata che farà?

È un’alleanza che ha già una storia aggressiva, non certo di difesa. Lavorerà per espandersi a Est, anche in Asia. Ha puntato la Cina come il grande problema, insieme alla Russia naturalmente. La vediamo così: la Nato è il braccio militare degli Stati uniti e serve i loro interessi geopolitici, da difendere anche a mano armata, se occorre. Lavora in due modi. L’attore bellico a seconda dei casi può essere la Nato o suoi singoli Stati membri. E tutto ciò è reso possibile dal fatto che i leader europei sono deboli, molto deboli.

Nella guerra in corso la Nato agisce, oltre che politicamente, inviando armi a Kiev. Molti pacifisti ma anche analisti di diversi paesi sostengono che, senza questa fornitura militare, si sarebbero salvate molte vite perché sarebbe stato più facile condurre entrambe le parti a negoziare, sulla base degli accordi di Minsk. Che ne pensate?

È certamente un grande errore armare l’Ucraina. Prolunga la guerra, allontana il negoziato, aumenta le sofferenze e le vittime. Pochi vogliono ammettere che sulla pelle degli ucraini si gioca una guerra per procura fra Stati uniti e Russia. L’Ucraina, terra di frontiera, è il pedone da sacrificare, come nel gioco degli scacchi. Gli accordi di Minsk? La maggior parte dei giornalisti nemmeno li conosce. Eppure sarebbero il migliore punto di partenza per il peace building.

E la resa svedese alle richieste della Turchia di Erdogan?

Nel nostro paese ci sono molti curdi, in gran parte rifugiati. Era stato dato loro un porto sicuro. Adesso tutto cambia, è come un tradimento. E tradendo i principi non si ottiene rispetto nel mondo.