Sulla carta, tutto procede come da programma: Fit for 55, il progetto per ridurre la Co2 del 55% entro il 2030 (con l’obiettivo delle neutralità carbonio nel 2050) è in movimento, almeno due stati (Lussemburgo e Austria) e alcune organizzazioni ecologiste si preparano a portare alla Corte di giustizia europea l’inserimento del gas e del nucleare nella tassonomia come energie di transizione, opzione approvata obtorto collo dall’Europarlamento mercoledì, che poi ha preso posizione a favore di un’accelerazione nella decarbonizzazione dell’aviazione. Ma, dietro le quinte, sta andando in onda un programma del tutto diverso.
L’OPZIONE CLIMATICA è messa decisamente da parte, quello che conta adesso è come evitare una penuria di energia nella Ue per il prossimo inverno e che i prezzi si alzino ancora, con il rischio di scatenare un movimento di gilet gialli dappertutto in Europa, di fronte a governi indeboliti (a cominciare da Francia e Italia).
Il tempo stringe: da lunedì, inizia la “riparazione” del gasdotto NordStream1, che collega Russia e Germania. Dovrebbe durare fino al 21 luglio, ma nessuno si fida di Mosca, che potrebbe trovare delle “anomalie” che giustifichino un prolungamento del blocco. Questa chiusura rende difficile realizzare la richiesta della Commissione, approvata al Consiglio europeo del 27 giugno: riempire all’80% le riserve di gas entro il 1° novembre (adesso siamo al 56%). La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha avvertito il 6 luglio: «Dobbiamo prepararci a nuove perturbazioni nelle forniture di gas se non addirittura a un taglio completo». Non ci saranno sanzioni sul gas russo, ma sarà Mosca a chiudere il rubinetto.
IL 20 LUGLIO, la Commissione deve presentare un «piano di emergenza» per la riduzione della domanda di energia, per far fronte al taglio del gas russo, in parte già attuato in parte sotto minaccia, dopo che ad agosto entrano in vigore le sanzioni sul carbone di Mosca e a fine anno toccherà al petrolio. Bruxelles cerca di mettere in piedi una “solidarietà” europea, sul modello dei vaccini del Covid, cercando di evitare il disordine e la concorrenza che si era scatenata tra paesi membri nei primi mesi della pandemia, con la corsa alle mascherine e al materiale sanitario che mancava in un’Europa impreparata.
I 27 PERÒ, FINORA, non sono riusciti a mettersi d’accordo su acquisti congiunti di gas e ognuno ha fatto da sé alla ricerca di fornitori alternativi stato per stato. L’ipotesi di un price cap al gas è messa da parte, tanto più che la concorrenza tra stati non ha fatto che far aumentare il prezzo del gas.
Il commissario all’Energia, Kadri Simson, allerta che oggi gli arrivi di gas in Europa sono la metà rispetto a quelli dello scorso anno alla stessa epoca. Francia (per il nucleare), Italia (per la ricerca di altri fornitori) e Spagna sono meno affannati, ma la Germania deve fare i conti con una forte minaccia di penuria: dovrebbe diminuire la domanda intorno al 30%, i Baltici a più del 50%.
La Commissione è divisa: per Kadri Simson si dovrà arrivare a un razionamento dell’energia per l’attività industriale (ma il prezzo è la cassa integrazione e la disoccupazione all’orizzonte, oltre alle proteste in stile gilet gialli subito). Per i commissari Paolo Gentiloni (Economia) e Thierry Breton (Mercato interno) bisogna accelerare sulla differenziazione degli approvvigionamenti.
PRIMA DELL’INVASIONE dell’Ucraina, dalla Russia arrivava in Europa il 40% del gas consumato, pari a 155 miliardi di metri cubi. Poi ci sono state le prime chiusure: il 27 aprile, Mosca ha chiuso il rubinetto a Polonia e Bulgaria, il 21 maggio alla Finlandia (per punirla della richiesta di adesione alla Nato), il 30 maggio alla Danimarca (in parallelo al varo dell’embargo sul petrolio). Una dozzina di paesi ha subito tagli o e già a secco. Delle alternative sono state attivate: Usa, Egitto, Qatar, Africa occidentale, Norvegia, Azerbaijan. Ma il passaggio non è immediato, il gas deve arrivare sotto forma liquida se non esistono pipelines, in Europa ci sono pochi terminal (li hanno Spagna e Francia, mentre la Germania era a zero e ne sta costruendo uno a tutta velocità): tra un anno, potrebbe sostituire un terzo del gas russo.
L’industria, in alcuni casi, potrebbe rimpiazzare il gas con il petrolio (si parla di 7-8 miliardi di metri cubi). Poi c’è il temuto ritorno alle centrali a carbone: Polonia e Bulgaria non le hanno mai abbandonate e le fanno funzionare a fondo, Germania, Olanda, Francia e persino la tanto ecologica Austria si sono rassegnate, l’Italia dovrebbe seguire.