Giro 2018. Parte oggi da Gerusalemme la Corsa Rosa. Successo per il governo israeliano. A 90 km, a Gaza, un nuovo venerdì di proteste
La prima maglia rosa del Giro d’Italia numero 101 sarà assegnata oggi con una crono individuale di circa 10 km che si svolgerà a Gerusalemme. Sì, avete letto bene, Gerusalemme, perché la prestigiosa corsa a tappe italiana per la prima volta comincia fuori dall’Europa. La Rcs Media Group, organizzatrice del Giro, ha fatto questa scelta allettata dai tanti milioni di euro investiti dal governo Netanyahu e soprattutto da privati israeliani per celebrare i 70 anni dalla fondazione dello Stato ebraico. E in nome di quei milioni di euro e ripetendo lo slogan abusato che «lo sport supera ogni divisione politica», ha chiuso in un cassetto la questione di Gerusalemme città occupata, mai così attuale come in questi ultimi mesi dopo la dichiarazione unilaterale fatta da Trump il 6 dicembre. Senza dimenticare il trasferimento, tra dieci giorni, da Tel Aviv a Gerusalemme dell’ambasciata Usa tra le proteste dei palestinesi. «In questi mesi, assieme ad attivisti italiani, ci siamo rivolti agli organizzatori, alla federazione ciclistica italiana, ai ciclisti stessi pregandoli di riconsiderare la loro decisione e spiegando loro tutte le ragioni per cui avrebbero dovuto evitarlo. Non abbiamo mai ricevuto una risposta. Gli organizzatori ripetono che la corsa è una occasione di dialogo attraverso lo sport ma loro dialogano solo con gli israeliani», diceva ieri sconsolata al manifesto Rana Nashashibi, un’attivista della campagna palestinese #RelocateTheRace. È caduto nel vuoto l’appello a spostare la partenza lanciato dal Bds e da 120 organizzazioni per i diritti umani, sindacati, associazioni per il turismo etico, gruppi sportivi e religiosi. Tra i firmatari il linguista Noam Chomsky, i giuristi John Dugard e Richard Falk, entrambi Relatori Speciali Onu per la Palestina, l’attore e drammaturgo Moni Ovadia.
Come la Rcs Media Group anche la stampa sportiva italiana ha scelto di non vedere nulla, perché, si sa, «lo sport non vuole pensieri». Gli inviati a Gerusalemme delle più importanti testate sportive negli ultimi giorni hanno celebrato Chris Froome, Tom Dumoulin e Fabio Aru, i tre big. E assieme a loro hanno elogiato il governo Netanyahu, gli organizzatori locali, il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat e la polizia. Oggi mentre a Gerusalemme si assegna la prima maglia rosa ad appena 90 km di distanza, lungo le linee tra Gaza e Israele si svolgeranno nuove manifestazioni di protesta palestinesi della “Grande Marcia del Ritorno”. In quattro settimane i tiratori scelti israeliani hanno ucciso una cinquantina di dimostranti. E oggi si teme un nuovo bagno di sangue. L’auspicio è che i colleghi giunti a Gerusalemme per il Giro possano prestare attenzione a quanto accade a non troppi chilometri dalla città in cui si trovano. Dovrebbero farlo anche per Alaa al Dali, il 21enne ciclista palestinese – ha partecipato ai Giochi di Giacarta – al quale i medici di Gaza hanno dovuto amputare una gamba colpita da un proiettile sparato da un soldato israeliano lo scorso 30 marzo.
Per Israele è un successo d’immagine eccezionale. È stata capillare, al limite della perfezione, l’organizzazione e la promozione di evento che celebra la sua fondazione e lo pone in un’ampia vetrina mondiale (un miliardo di telespettatori), accreditando la narrazione di Gerusalemme come sua capitale unita e indivisibile. La crono inaugurale, ad esempio, è dedicata a Gino Bartali, già “Giusto tra le nazioni”, che due giorni fa ha ricevuto la cittadinanza israeliana postuma per decisione dello Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto, per il suo contributo alla salvezza di 800 ebrei che rischiavano di essere deportati nei campi di sterminio nazisti. Sorride soddisfatto il principale investitore privato israeliano nel Giro, Sylvan Adams, di origini canadesi che ha dato vita all’Israel Cycling Academy, il team che parteciperà alla corsa a tappe e con il quale Netanyahu ha pedalato in giro per Gerusalemme appena qualche giorno fa. «Il Giro d’Italia è tra i maggiori eventi sportivi tenuti in Israele – ha notato la ministra dello sport e della cultura Miri Regev – è una operazione logistica senza precedenti». Regev e il ministro del turismo, Yariv Levin qualche mese fa furono protagonisti di una veemente protesta nei confronti degli organizzatori del Giro che avevano messo nel sito ufficiale della corsa la dizione “West”, “Ovest” (la parte ebraica), accanto a Gerusalemme. In pochi minuti la Rcs Media Group modificò tutto e Gerusalemme, senza più Ovest, divenne la sede della corsa e, quindi, la capitale unita di Israele.