Fronte orientale Offensiva diplomatica degli uomini di Washington, dalla Nato alle terre rare di Kiev
Vladimir Putin nell'ufficio presidenziale a Mosca – Ansa
Il primo passo verso l’apertura dei negoziati per la tregua in Ucraina è stato compiuto. Ieri Donald Trump ha annunciato sul suo social network Truth di aver avuto un colloquio telefonico con Vladimir Putin e, subito dopo, ha chiamato Volodymyr Zelensky, per «informarlo» di quanto si era detto con il leader russo. Quasi in contemporanea la diplomazia statunitense si è mossa su più fronti: Pete Hegseth, segretario alla difesa, ha lanciato dichiarazioni perentorie sui confini dell’Europa orientale post-bellica e sulla Nato dalla riunione del Gruppo di contatto per l’Ucraina a Bruxelles; Scott Bessent, segretario al tesoro, ha incontrato Zelensky a Kiev per negoziare la cessione delle terre rare in cambio di ulteriori aiuti economici e militari e la segreteria di Stato si è occupata della liberazione del cyber-criminale russo Alexander Vinnik in vista di ulteriori scambio di prigionieri con Mosca dopo la visita a sorpresa di Steve Witkoff al Cremlino martedì sera.
NON È PIÙ il tempo delle dichiarazioni a incomplete e delle risposte senza conferme né smentite. «Ho appena avuto una telefonata – lunga e molto produttiva – con il presidente russo Vladimir Putin» ha scritto a metà pomeriggio Trump, «abbiamo parlato di Ucraina, del Medio Oriente, di energia, intelligenza artificiale, del potere del dollaro e molto altro. Insieme abbiamo riflettuto sulla grande storia delle nostre nazioni, e sul fatto che insieme abbiamo combattuto – con grande successo – la seconda guerra mondiale. Abbiamo ricordato che la Russia ha perso decine di milioni di persone, e che anche noi ne abbiamo perse molte!».
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In Ucraina la tregua fa pauraE dopo questo momento proustiano i due leader hanno «convenuto» di voler «fermare le milioni di vittime che la guerra tra Russia e Ucraina sta causando. Abbiamo anche concordato di far iniziare immediatamente ai nostri team i negoziati, e inizieremo chiamando subito il presidente ucraino Zelensky per informarlo della conversazione». Il tycoon ha concluso ringraziando Putin «per il suo tempo» e per la liberazione di Marc Fogel e auspicando che la soluzione del conflitto arrivi presto. I due capi di stato visiteranno «ciascuno la nazione dell’altro» e, secondo Ria novosti che cita il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, Putin ha già invitato Trump a Mosca.
IN UN’ORA E MEZZA i due presidenti hanno affrontato tutti i dossier internazionali aperti, ma ciò che colpisce è il ruolo riservato a Zelensky. Il presidente ucraino andava «informato», come se non fosse direttamente coinvolto nella guerra che da tre anni lacera il suo Paese. In ogni caso, «anche lui, come il presidente Putin, vuole la pace», rivela ancora Trump, il quale ha sottolineato di aver discusso con l’omologo ucraino «soprattutto dell’incontro che si terrà venerdì a Monaco». Se per Washington la speranza è che i «risultati di quell’incontro saranno positivi» significa che effettivamente gli uomini di Trump non arriveranno in Germania a mani vuote. Che si tratti del momento fatidico in cui verrà esposto il famoso piano di pace della Casa bianca a questo punto sembra sempre più probabile. Non è detto, tuttavia, che l’incontro di Monaco coinciderà con la rivelazione pubblica dei prossimi passi per avviare formalmente i negoziati. Trump non vuole colpi di scena e ha chiaramente indicato ai suoi di riferirgli personalmente le reazioni di Kiev e degli altri leader europei. I quali forse ora iniziano ad accorgersi che è già troppo tardi per avere voce in capitolo.
I MINISTRI degli esteri di Francia, Germania e Spagna riuniti ieri a Parigi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta nella quale affermano che «non ci può essere un accordo per la pace in Ucraina senza la partecipazione di Kiev e dell’Europa». Zelensky l’ha detto per mesi, seppure da una posizione opposta a quella dei Paesi Ue, fino a dover ammettere che le sole garanzie di sicurezza dei paesi europei non sarebbero state sufficienti senza gli Usa alle spalle.
Il presidente ucraino ha definito «significativa» la conversazione di ieri con Trump e ha ricordato il suo incontro con il segretario del tesoro Bessent. Ma quelli che Zelensky chiamo accordi di cooperazione sono in realtà aut aut. Per gli inviati di Trump è il momento di battere cassa, sia con le terre rare e le altre risorse ucraine, sia mediante l’acquisto di armi made in Usa con i 300 miliardi di asset russi congelati (come proposto da Kiev). Le dichiarazioni altisonanti sulla difesa della democrazia non servono neanche più come specchi per le allodole.
È irrealistico, ha detto Pete Hegseth, pensare a un’Ucraina nella Nato, così come a un ritorno ai confini pre-2014. Dunque la Crimea è perduta, forse anche il Donbass, cos’altro? La Nato d’ora in avanti avrà come priorità l’Indo-pacifico e il Vecchio continente dovrà pensare alla sua «difesa convenzionale» da solo: «gli Usa non sono più focalizzati principalmente sulla sicurezza dell’Europa», ha detto. È il mondo di Trump: chi non è utile viene abbandonato, chi non si piega è un nemico.