Striscia continua Incontrando il re giordano Abdullah, il presidente Usa ha anche detto che l’annessione della Cisgiordania a Israele sarà automatica. Il piano americano per Gaza incrina i rapporti tra Usa ed Egitto: El Sisi non parte per Washington
Una abitazione distrutta a Khan Yunis, nel sud di Gaza – Rahim Khatib/dpa/Ap
«Un inferno peggiore di quello che abbiamo già? Un inferno peggiore della morte?», diceva ieri a una agenzia di stampa Jomaa Abu Kosh, palestinese di Rafah accanto alle case devastate di Gaza. «Siamo umiliati – ha aggiunto una donna, Samira Al Sabea – i cani randagi vivono una vita migliore della nostra». E invece la Striscia rischia di trasformarsi in un inferno persino peggiore se il governo Netanyahu riprenderà l’offensiva militare in accoglimento parziale dell’ultimatum lanciato lunedì notte da Donald Trump ad Hamas: tutti gli ostaggi israeliani a Gaza dovranno essere liberati entro le 12 di sabato, altrimenti non ci sarà più tregua.
Ma il tycoon corre un po’ troppo pure per Netanyahu. Il premier è stato vago sui numeri quando in un video ha comunicato la decisione presa all’unanimità dal gabinetto di sicurezza che «se Hamas non restituirà gli ostaggi entro sabato a mezzogiorno il cessate il fuoco verrà interrotto e le forze armate torneranno a combattere finché Hamas non sarà definitivamente sconfitto». Non ha parlato di tutti e 76 ostaggi – vivi o deceduti – da rilasciare nel fine settimana. Israele preme, si diceva ieri sera, per ottenere il rilascio non di tre-quattro bensì di nove ostaggi entro sabato. Da Washington invece Trump ha ribadito che Hamas deve liberare tutti gli ostaggi. Con il presidente Usa si è schierato il ministro delle Finanze israeliano di estrema destra Bezalel Smotrich che ha invocato un attacco senza precedenti contro Gaza se il gruppo armato palestinese non rilascerà gli ostaggi. «Occorre informare Hamas in modo inequivocabile: o tutti gli ostaggi vengono rilasciati entro sabato – niente più fasi, niente più giochi – o apriremo loro le porte dell’inferno».
Nessuno crede che Hamas, che lunedì aveva annunciato lo stop alla liberazione dei sequestrati denunciando ampie violazioni israeliane dell’accordo di tregua, si piegherà all’intimazione di Trump dopo aver sopportato per 15 mesi i bombardamenti violenti e incessanti di Israele con l’obiettivo di arrivare all’accordo di scambio tra ostaggi israeliani e migliaia di prigionieri palestinesi. Un suo leader ha ribadito ieri che gli israeliani prigionieri a Gaza torneranno casa da Gaza solo se Tel Aviv rispetterà l’accordo di cessate il fuoco. Per Hamas aver costretto Israele ad aprire le sue prigioni rappresenta una vittoria, anche di immagine, a cui non intende rinunciare. In serata i dirigenti islamisti hanno fatto sapere che non rilasceranno gli ostaggi se Israele non rispetterà le condizioni dell’accordo di Gaza. Nel braccio di ferro in corso, se i mediatori non troveranno una via d’uscita nei prossimi tre giorni, resteranno stritolati ancora una volta i civili palestinesi.
L’eventuale ripresa della guerra potrebbe aprire, a crederlo non sono pochi, la strada al piano di Trump – condannato globalmente – per cacciare via per sempre gli abitanti di Gaza e fare del piccolo lembo di terra palestinese una presunta «Riviera del Medio oriente». Per Netanyahu è questa la soluzione per il cosiddetto «dopo Hamas» nella Striscia. Tanto che ne ha parlato lungamente, riferisce il ben informato sito Axios, durante la sua visita a Washington, con Jared Kushner, genero e consigliere non ufficiale del presidente americano. Già l’anno scorso in un discorso ad Harvard, Kushner aveva accennato alla pulizia etnica di Gaza mascherandola con la volontà di «ripulire tutto». Come era prevedibile Trump ha evocato uno stop agli aiuti annuali economici e militari all’Egitto (1 miliardo e 300 milioni di dollari) e alla Giordania (quasi 900 milioni di dollari) se non accoglieranno i palestinesi di Gaza. Un aut aut che sta mettendo in crisi i rapporti degli Usa con l’Egitto. Secondo al Arabiya il presidente Abdel Fattah El Sisi avrebbe annullato il suo viaggio a Washington il 18 febbraio. E lunedì il Cairo ha fatto capire che potrebbe arrivare a stracciare il trattato di pace con Israele se non sarà dimenticato il piano per mandare una buona parte dei 2,3 milioni di palestinesi dalla Striscia in territorio egiziano. All’Egitto è stato affidato il compito di guidare gran parte della risposta del mondo arabo al progetto di Trump.
Re Abdullah di Giordania – paese che già ospita oltre due milioni di profughi palestinesi -, ha lasciato nel suo palazzo reale i propositi bellicosi annunciati dalla stampa di Amman prima del suo viaggio a Washington. Durante il faccia a faccia ieri con il presidente Usa, Abdullah ha adottato toni morbidi e non ha dato una risposta diretta sull’accoglienza dei palestinesi in Giordania o sull’eventuale taglio degli aiuti statunitensi minacciato da Trump. Piuttosto ha assicurato che collaborerà con lui per portare la pace nella regione. Ha poi spiegato che i leader arabi stanno cercando di capire come far funzionare nel modo giusto le idee di Trump sul futuro di Gaza. Abdullah ha anche annunciato che la Giordania accoglierà 2.000 bambini malati da Gaza. Sebbene queste migliaia di persone rappresentino una frazione minuscola degli oltre 2 milioni di palestinesi che vuole deportare in modo permanente, Trump ha definito un «gesto meraviglioso» l’annuncio di Abdullah, storico alleato degli Usa e dell’Occidente. Interrogato sulla proposta di Trump, il sovrano hashemita ha risposto soltanto: «Aspettiamo che gli egiziani presentino le proprie idee». Il monarca non si è scomposto neppure quando alla domanda sui piani di Israele di annettere la Cisgiordania occupata, Trump ha detto: «Funzioneranno». Un primo messaggio che, denunciano i palestinesi, sarà seguito nel prossimo futuro da piani veri e propri per cacciare via anche la popolazione della Cisgiordania occupata. Ciò nonostante, Abdallah di Giordania ha presentato Trump come «qualcuno che può portarci al traguardo e portare stabilità, pace e prosperità a tutti noi nella regione»