Italia. Nella visione del governo la guerra è da tempo diventata «umanitaria» e l’accoglienza umanitaria è tout-court «criminale». Quando dovrebbe essere evidente che chi apre i porti ai mercanti di armi e li chiude al soccorso umanitario e all’accoglienza, distrugge la civiltà, cancella il futuro e prepara il campo aperto dell’odio
Se volete avere una rappresentazione tangibile e concreta della natura del governo in carica, quello del «contratto» tra sovranismo razzista della Lega e populismo giustizialista del M5S, guardate il Belpaese da nord a sud, nei suoi due porti di Genova e di Lampedusa.
Da una parte, nella capitale ligure, è attraccata la nave saudita Bahri Yanbu, tradizionalmente carica di armamenti; dall’altra nell’estrema isola siciliana rimaneva fino a 48 ore fa confinata al largo la Sea Watch, la nave di soccorso umanitario ai profughi. Porti aperti, per decisione del governo italiano, ai carichi di armi per un paese in guerra come l’Arabia saudita e per il conflitto sanguinoso in Yemen; porti chiusi, sempre per decisione del governo italiano e in particolare del ministro dell’odio Matteo Salvini, invece per i carichi di esseri umani disperati.
Ma per entrambi, ecco la novità, di fronte ai silenzi, alle ambiguità, alla tracotanza del governo che ora si rimpalla le responsabilità, in crisi con se stesso e con la coscienza della società civile italiana, sul fronte dei porti è scesa in campo la protesta. Di chi a Genova, attivisti e sindacalisti, non vuole più contribuire ad insanguinare il mondo con i traffici di armi e blocca una nave la Bahri Yanbu di fatto militare – appartiene infatti alla società saudita che gestisce il monopolio della logistica militare di Riyadh.
A Lampedusa è scesa in strada una lenzuolata di civiltà che vuole accogliere invece che respingere chi fugge disperato dalle troppe nostre guerre e dalla miseria prodotta dal nostro modello di rapina delle risorse energetiche, in Africa e non solo.
È una sintonia di avvenimenti con la quale irrompe nell’Italietta ripiegata
Leggi tutto: Porti aperti alle armi, chiusi agli umani - di Tommaso di Francesco
Commenta (0 Commenti)Affacciati alla finestra. La rimozione forzata dello striscione di Brembate contro il ministro capo leghista provoca una reazione a catena in tutta Italia
Ormai quattro anni fa, i primi indizi che il grande consenso che si era coagulato attorno a Matteo Renzi stava sgretolandosi vennero dalle piazze. Quando ancora l’allora presidente del consiglio impazzava negli schermi televisivi e nei sondaggi, in giro per il paese cominciarono a contarsi e riconoscersi contestazioni. Dapprima episodiche, poi ricorrenti al punto che Renzi si trovò a dovere annullare apparizioni e comizi. Adesso, in uno scenario diverso e con protagonisti differenti, monta la contestazione che investe Matteo Salvini. Il quale già l’altro giorno ha improvvisamente cancellato il comizio napoletano di domani. Sabato 18 maggio la protesta lo inseguirà fino alla sua Milano. Ieri erano tantissimi gli striscioni che gli davano il polemico benvenuto a Campobasso. Nelle stesse ore si apprendeva degli accertamenti di polizia in corso nei confronti di un signore di 71 anni che il giorno prima a Carpi era salito su di un tetto per esprimere il suo dissenso nei confronti del leader leghista, mentre la piazza si riempiva di contestatori. È stato trattenuto per delle ore in questura, rischia una denuncia per «grida e manifestazioni sediziose».
A Firenze è comparso uno striscione con la scritta «Portatela lunga la scala, sono al quinto piano». La mappa delle città e delle piazze che hanno accolto Salvini con fischi e cori antirazzisti si infittisce di giorno in giorno, insieme alle polemiche sulla solerzia delle forze dell’ordine nel rimuovere i cartelli di critica al ministro dell’interno. Sono arrivate fino al question time della camera, per di più insinuandosi nelle tensioni interne alla maggioranza gialloverde visto che le deputate Veronica Giannone e Gloria Vizzini del Movimento 5 Stelle hanno chiesto al ministro se in casi come quelli delle rimozioni degli striscioni accadute a Salerno il 6 maggio e a Brembate il 13 maggio non sia «stato censurato il pensiero non violento di liberi cittadini».
«Nel caso di Brembate – ricostruiscono le due parlamentari grilline – il comandante dei vigili del fuoco di Bergamo, Calogero Turturici, ha spiegato in una nota che si è trattato di un ‘intervento tecnico’ eseguito ‘sulla base di una decisione della questura’. L’intervento è stato deciso utilizzando i vigili del fuoco e distogliendoli da altre operazioni di soccorso urgente che sarebbero potute accadere in concomitanza. Questori e prefetti non hanno il potere, se non per comprovate ragioni di ordine pubblico, di far rimuovere striscioni presenti in abitazioni private. E le balconate fanno anch’esse parte della proprietà privata». Salvini ha risposto cercando di alleviare la tensione e di rompere l’assedio simbolico che pare stringersi attorno ai suoi eventi elettorali: «Con tutto il rispetto per tutte le infrazioni al codice civile e al codice penale preferisco occuparmi di arresti di mafiosi e spacciatori che non di rimozione di striscioni -ha detto – Anzi, per quello che mi riguarda, più sono colorati e più sono simpatici, più divertenti sono gli striscioni meglio è. Sono disposto a offrire un bel caffè a chi fa lo striscione più ironico. Non tollero minacce di morte, insulti o inviti alla violenza».
Tra due giorni Salvini sarà in piazza Duomo in compagnia di Marine Le Pen. «Vediamo cosa succede – avverte il sindaco Beppe Sala – Se dovessero essere rimossi striscioni di critica politica mi farò sentire». Luca Paladini de I Sentinelli invita ad una protesta senza «una regia unica». «Non ci sarà una unica scritta sui lenzuoli che io spero molti milanesi vorranno appendere fuori dalle finestre, come gesto di protesta», spiega. Gli antirazzisti prevedono di incontrarsi dalle 14 alle 16 in piazza del Cannone, dove è previsto un happening artistico con cori per bambini. Da lì si muoveranno verso piazza Cairoli e comincerà la parata che farà un semicerchio attorno a Salvini. «Sarà un accerchiamento – spiega Elena di Non Una di Meno, che sta lavorando all’organizzazione dell’evento insieme ad altre sigle – Vorremmo segnare il confine tra noi e loro, tra la barbarie e il resto del mondo». È significativo che queste giornate di reazione al salvinismo finiscano proprio nella città che in questo primo anno di governo gialloverde ha dato forti segnali in controtendenza. «A Milano ormai da mesi si mobilitano decine di migliaia di persone: contro il razzismo, con il nuovo movimento delle donne, in difesa dell’ambiente minacciato dal cambiamento climatico – prosegue ancora Elena – Questa vivacità rispecchia un dato sociale molto concreto. Milano non ha il volto di chi rivendica di lasciare morire di fame le persone o vuole che un bambino resti affogato in mare. Il meticciato è un elemento reale, così come l’antisessimo e la capacità di sfidare i ruoli di genere ha a che fare con la sfida al mito della purezza dell’identità. Sabato tutto questo sarà evidente».
Commenta (0 Commenti)Fascion. Il leghista chiede il ritorno del «grembiulino» nelle scuole e invoca «ordine e disciplina». E fa un comizio dallo stesso balcone del duce
Il comizio di Salvini dal balcone "mussoliniano" del palazzo comunale di Forlì
Tutto l’armamentario da ducetto. Matteo Salvini nel giro di poche ore passa dal discorso dal balcone del municipio a Forlì alla richiesta di ritorno del grembiule a scuola per riportare «ordine e disciplina» per finire a Montecatini con l’ennesimo accenno alla riapertura delle case chiuse e a Capannori (Lucca) lanciando «la castrazione chimica come cura democratica e pacifica per gli stupratori».
LA CAMPAGNA ELETTORALE del vicepremier e capo leghista è un succedaneo, un distillato, un bignami delle parole d’ordine del ventennio. E allo stesso tempo un tipico esercizio di distrazione di massa in stile berlusconiano, un elenco di slogan e falsi problemi per far parlare delle sue sparate e non affrontare i problemi del paese – come la bambina di Napoli per la quale da ministro degli Interni dice solo «prego per lei» – e della maggioranza in bilico per la poltrona di Siri.
La sparata del giorno è comunque quella sul grembiule: «Nelle scuole elementari e medie va reintrodotto il grembiule o la divisa». Una sparata che si basa su una falsa premessa e su motivazioni finte: «Abbiamo nuovamente previsto l’educazione civica a scuola e vorrei che tornasse il grembiule per evitare che vi sia il bambino con la felpa da 700 euro e quello che l’ha di terza mano perché non può permettersela», dice Salvini durante un breve comizio a San Giuliano Terme (Pisa). Il leader della Lega cita ad esempio la reintroduzione dell’educazione civica – votata all’unanimità alla camera in prima lettura – che in realtà più che il ritorno alla disciplina contiene la conoscenza della Costituzione, spesso disattesa e vilipesa dallo stesso vicepremier, fin dalla scuola dell’infanzia.
Sul ritorno del grembiule i presidi sono scettici e denunciano ben altre priorità per le scuole. «E’ possibile, non mi sembra ci siano problemi particolari nel farlo, certo abbiamo altre priorità, non mi sembra, insomma, una questione fondamentale», commenta il presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), Antonello Giannelli. «L’emergenza più importante – prosegue il dirigente scolastico – è un’altra: abbiamo solai e controsoffitti delle scuole che andrebbero monitorati, ogni settimana c’è un crollo; a volte si tratta di fatti lievi, a volte cadono interi pezzi di soffitto: questa è una cosa molto urgente su cui intervenire, con un monitoraggio che andrebbe fatto subito e non costa quasi nulla. Invece – osserva ancora Giannelli – si pensa a prendere le impronte digitali ai presidi, una misura che costerà 100 milioni che potrebbero essere dedicati ad altro».
La campagna di conquista delle (ormai ex) regioni rosse va avanti con parecchi segnali contrastanti. I contro comizi di venerdì a Modena, con le pacifiche proteste sedate a manganellate dalla polizia, sono diventati, la stessa sera a Forlì, un coro – «Siamo tutti antifascisti» – che ha sovrastato la voce di Salvini dal balcone del municipio. Lo stesso balcone dal quale Mussolini aveva assistito all’uccisione dei partigiani – impiccati ai lampioni – e aveva tenuto diversi comizi.
«Usare il balcone del municipio su piazza Saffi per parlare a una (per la verità scarsa) platea di un comizio sembra scimmiottare le adunate anteguerra del regime», attacca il sindaco dem uscente, Davide Drei. «Usare la funzione di ministro dell’Interno per utilizzare ogni spazio al di fuori dei regolamenti comunali, confondendo il ruolo istituzionale con quello del segretario di un partito, è un dispetto ai valori costituzionali basilari su cui si fonda l’Italia», continua il sindaco romagnolo.
DI «SFREGIO» ALLA CITTÀ parla anche la Cgil locale: uno sfregio, scrive la segretaria cittadina Maria Giorgini, in particolare «alla piazza intitolata alla memoria di Aurelio Saffi che custodisce il sacrario ai caduti per la libertà a memoria dei 465 partigiani morti per restituire la democrazia e la libertà alla nostra città e al nostro paese».
E un colpo davvero basso Salvini l’ha sferrato venerdì pomeriggio a Reggio Emilia. Dove ha incontrato, fatto selfie e promesse a un gruppo di esodati beffati anche dal decreto Quota 100. Una delegazione dei seimila esclusi dalle 8 salvaguardie post Fornero e ancora senza lavoro e pensione perché sprovvisti dei tantissimi requisiti e paletti fissati dalla Ragioneria generale si sono fatti abbindolare dal vicepremier. E così se poche settimane fa il sottosegretario leghista Durigon dichiarava al manifesto che «secondo l’Inps i seimila esodati non esistono», Salvini ha promesso loro un fantomatico disegno di legge per farli rientrare nell’Ape sociale e andare in pensione a 63 anni. Peccato che nessun disegno di legge, nemmeno quello citato (della leghista Elena Murelli, del 30 aprile) sia agli atti e che gli stessi esodati siano stati ricevuti nei mesi precedenti la campagna elettorale per le politiche con le stesse promesse. La Lega li befferà per la seconda volta.
Commenta (0 Commenti)Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l'idea è il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni nella capitale francese :
"Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi".
Poi, quando si passa a decidere sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue.
Da allora ad oggi, nel mondo, molte cose sono cambiate, altre meno. Restano ancora disattesi i diritti di molti che un lavoro ce l'hanno e di quelli che non ce l'hanno, ma le forme di sfruttamento hanno trovato anche altre strade: investono non solo i diritti delle persone nel lavoro, ma in tante altre loro attività (nei consumi, nel tempo libero); con una idea di sviluppo insostenibile che rapina le risorse naturali, producendo crisi non solo sociali ma anche ambientali e climatiche.
Per questo ci piace ricordare le parole di Sharan Burrow, Segretario Generale dell’ITUC – International Trade Union Confederation:
“Non può esistere lavoro in un pianeta morente”
Il 25 aprile non è un litigio da operetta tra ‘fascisti e comunisti’, come qualcuno sprezzantemente si ostina a dire. È la data della sconfitta del nazifascismo, della liberazione dall’oppressione della dittatura, del riscatto di un popolo e dell’emancipazione dei più deboli. È la data che restituisce al nostro paese la libertà. È il momento fondativo della Repubblica italiana, della nostra democrazia, della nostra Costituzione antifascista. E per ricordarlo, quello stesso giorno, saremo in tanti in piazza.
Per noi celebrare il 25 aprile non è uno stanco rito, ma è un tratto identitario forte che ci caratterizza, ogni giorno dell’anno. Proprio pochi giorni fa abbiamo consegnato le firme della petizione Mai più fascismi mai più razzismi al presidente della Repubblica che abbiamo raccolto nei nostri circoli e nelle piazze insieme all’ANPI e a tantissime organizzazioni.
Lo è ancora più quest’anno, di fronte al continuo attacco ai diritti umani, a cui si aggiunge l’erosione di senso della Festa della Liberazione che si prova a mettere in atto direttamente da parte del governo. Il ministro dell’interno che riduce tutto a ‘sfilata’, che orgogliosamente dichiara la sua astensione dalle celebrazioni, è un fatto indegno che ci induce automaticamente a impegnarci di più perché l’anniversario della Liberazione sia la festa di tutti, la più bella del nostro calendario.
L’approccio ci indigna, ma purtroppo non stupisce. C’era da aspettarselo. Oggi questo tentativo di togliere alla storia il peso, la responsabilità e la verità è più forte che mai. È una banalizzazione che deve essere interpretata come una pericolosa variante del negazionismo. Perché non nasconde il fascismo, ma lo riduce ad evento ormai estinto, che punta a far diventare la Festa del 25 aprile come un retaggio di nostalgici. Non è così. Il fascismo, nelle sue diverse forme, infatti, si ripresenta continuamente, e non solo nel nostro Paese. È la violenza che spinge ad atti aggressivi contro la libertà di pensiero, l’uguaglianza, la dignità delle persone. Il 25 aprile non è solo il giorno un giorno di feste ma è soprattutto quello in cui si riafferma la memoria e si rinnova il valore della democrazia e della libertà. Per evitare che quanto accaduto in passato, non riaccada oggi.