Quando nelle grandi città non va al voto più della metà degli elettori, e il dato nazionale si ferma al 54%, perdono tutti, anche quelli che hanno vinto la sfida di questo primo turno delle elezioni amministrative. Ci sarà modo di analizzare più a fondo la geografia politica del paese consegnata dalle urne, e quali saranno i riflessi sui partiti e sul governo.
Ma tre sono i messaggi molto semplici già chiarissimi.
Il primo, di gran lunga prevalente, ci parla della più bassa affluenza di sempre. E d’altra parte, al netto dello storico, progressivo distacco tra chi governa e chi è governato, in questa competizione amministrativa, ed è il secondo messaggio del voto, i partiti, e specialmente quelli del centrodestra, hanno presentato candidature di terza scelta, testimoniando, oltre i problemi di una coalizione senza leader, la crisi di una classe dirigente che ha gonfiato l’astensionismo, specialmente leghista.
Naturalmente lo sciopero del voto riguarda anche il centrosinistra, con il Pd senza popolo, forte nei centri storici, e i 5Stelle sprofondati, con un risultato drammatico per chi tutt’ora rappresenta la forza di maggioranza relativa. Espulsi dalla contesa più importante della Capitale, con la dignitosa ma sonora sconfitta dell’ex sindaca Raggi.
Tuttavia se i candidati portano la croce, bisogna anche chiedersi perché mai un cittadino, che ha visto tutti i partiti confondersi nel governo di un economista che guida il paese con il pilota automatico, dovrebbe improvvisamente appassionarsi a una competizione elettorale.
Anche per questo, la soddisfazione del segretario Letta per il risultato del Pd «in sintonia con il paese», e del voto in generale «che rafforza Draghi», è comprensibile ma tutt’altro che rassicurante di fronte a una democrazia dimezzata.
Infine, il terzo elemento evidente che le urne ci consegnano è finalmente positivo, dice che chi comunque è andato a votare, ha decretato la sconfitta del centrodestra e premiato le prime prove di unità del centrosinistra, come a Napoli e a Bologna (Milano fa caso a se).
È una indicazione politica per il futuro: le destre si possono battere solo se di fronte hanno l’unità delle forze di centrosinistra.