C’era trepidazione ieri a piazza del Popolo, soprattutto nei minuti che hanno preceduto l’arrivo di Greta Thunberg, simbolo del movimento ambientalista globale. Cielo vivido e una folla colorata di 20mila persone ad animare un altro Friday for Future, l’azione di protesta che da mesi sta portando ogni venerdì milioni di ragazzi e ragazze in piazza. L’appuntamento romano è reso speciale dalla presenza di Greta, che ha parlato per ultima, in inglese, dopo due ore di interventi e musica. «Il problema di fondo è che non si sta facendo nulla per fermare o anche solo rallentare il disastro ambientale, le emissioni continuano a crescere, dobbiamo prepararci al fatto che questa lotta andrà avanti per molto tempo, non settimane, non mesi, ma anni».
IL DISCORSO di Greta è intervallato da applausi e grida, la sua voce è emozionata ma potente: «Noi ragazzi non stiamo sacrificando la nostra istruzione per farci da adulti e politici quello che loro considerano sia politicamente realizzabile, non stiamo scendendo in piazza perché si facciano dei selfie insieme a noi, stiamo facendo questo perché vogliamo che agiscano».
Le trecce bionde e il corpo minuto, la ragazza sprigiona un inusuale carisma e le sue parole risuonano come una disarmante verità. Ma oltre a Greta in piazza del Popolo c’è soprattutto un movimento appena nato e già capace di una sorprendente lucidità. Lo striscione principale non ha simboli né disegni e recita soltanto «Non c’è più tempo».
PRIMA DI THUNBERG hanno parlato insegnanti, scienziati ma sopratutto ragazzi e ragazze, la più giovane Alice, di nove anni. Alessia che frequenta la terza media grida dal palco: «Dobbiamo fermarci e renderci conto che siamo tutti collegati, bisogna ripulire il pianeta dai rifiuti ma anche dall’odio, da chi ci insegna a considerare come scarti, i poveri, i deboli, coloro che stanno ai margini». Parole che smuovono per la loro immediatezza, una virtù che sembrava perduta tra coloro che ambiscono a cambiare il mondo.
Emergono negli interventi anche gli aspetti soggettivi della crisi attuale, che oltre che climatica viene definita esistenziale. Si racconta la solitudine, l’aridità del consumismo e il malessere. «Quando mi partono le paranoie e le ecoansie mi viene da pensare: c’era una volta un futuro, un futuro per il quale si studiava, un futuro per il quale si lavorava, cosa c’è adesso?» dice col respiro affannato Miriam, di Milano.
NELLA LOTTA TRANSNAZIONALE in difesa del clima sono presenti le istanze ambientaliste e territoriali che da anni combattono in prima linea, No tav, No Muos e i Comitati contro le grandi opere. La chiamata è per il 4 maggio a Taranto per una manifestazione nazionale che chieda la riconversione ecologica dell’Ilva, tra le fabbriche più inquinanti d’Europa. Alle vittime di inquinamento viene dedicato un minuto di silenzio, che cala drasticamente spezzando il chiasso della piazza.
Il surriscaldamento globale getta luce sulle contraddizioni della nostra epoca. «Per fermare il disastro bisogna cambiare l’idea di società, bisogna porre fine allo sfruttamento delle risorse e delle persone, siamo la parte del mondo che ama» dice dal microfono un ragazzo di 20 anni. I riferimenti alle responsabilità della classe politica sono continui e spietati, «alcuni ministri di questo governo hanno votato no all’adozione degli Accordi di Parigi in Europa» dice Luca, studente di un liceo romano. Ma la volontà di sfuggire a ogni etichetta politica è, per fortuna, chiara ed esplicita «noi non vogliamo essere strumentalizzati, noi vogliamo essere ascoltati, confido nelle vostre capacità, confido nell’umanità, daje raga spacchiamo», conclude il suo intervento Miriam di Milano. Prossimo sciopero globale, il 24 maggio.
Commenta (0 Commenti)Adesso IN DIRETTA da Roma.... Questa sera 18 - 19,30 a FAENZA
Si è svolta oggi presso l’aula magna Levi dell’Università Statale di Milano la prima Assemblea costituente di FridaysForFuture, il movimento nato sulla scia dell’esempio della giovane attivista svedese Greta Thunberg. Per buona parte della giornata si sono susseguiti sul palco i portavoce di oltre 100 città italiane, grandi e piccole, dove questo movimento si è attivato e sta agendo. Da Torino, Roma, Napoli e Palermo a Fano, Acireale, Ladispoli, Alcamo, Pomigliano (solo per citarne alcune), giovani soprattutto, ma qualcuno anche meno giovane, hanno portato la loro esperienza e hanno espresso le loro necessità e aspettative sulla costruzione di questa nuova realtà che sta cominciando a prendere corpo.
Praticamente unanime la definizione del movimento: pacifista, aperto, politico ma apartitico, consapevole del rischio di manipolazione da parte di “loro” e determinato a portare avanti la lotta, non sono per il futuro proprio ma anche di quelli che verranno dopo. “E che sia chiaro che i problemi del clima nascono da un sistema economico!”.
E’ una nuova sensibilità che sta finalmente emergendo. Una sensibilità che si sta manifestando in un mondo che ne ha grande necessità: una sensibilità che rispetta, protegge, cura. Non la propria nazione, non il proprio orticello, non soltanto i propri esseri cari, ma tutti gli esseri viventi. La giustizia climatica si accompagna alla giustizia sociale perché sono correlate, e i diritti sono diritti di tutti gli esseri. Quindi no agli allevamenti intensivi e no alla deforestazione. No allo sfruttamento nel nome del profitto: “dobbiamo unirci alle lotte dei lavoratori”. No alle grandi opere inutili e dannose: “con 3 metri di TAV si possono fare 4 aule di scuola materna”. “Avvelenano il nostro spirito”, dice qualcuno.
Ogni città piccola o grande ha ferite da raccontare: inceneritori, industrie chimiche e petrolchimiche, alluvioni, malattie e morti causate dall’inquinamento o dalle radiazioni, sversamenti di inquinanti, ma racconta anche di azioni collettive per ripulire spiagge, strade, argini, di proposte – quasi inascoltate, “ma andremo avanti” – portate ai sindaci del proprio paese, di aperitivi in piazza con cibi in scadenza raccolti dai supermercati, di assemblee settimanali, di microfoni aperti.
Che forma prenderà questo movimento? Le proposte parlano di un coordinamento che coordini e non che rappresenti, dell’assemblea come organo decisionale, della trasversalità come punto di forza. Si chiede la massima autonomia dei territori.
Cosa vuole? Vuole il rispetto degli accordi di Parigi. Vuole smetterla con questa “ideologia tumorale” del crescere per crescere, crescere per distruggere, vuole dai politici scelte coraggiose, immediate e intransigenti.
“Siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa per questo cambiamento: salviamo il luogo in cui viviamo da chi lo ha trasformato in una immensa, sudicia società per azioni!”. “Dobbiamo andare nei libri di storia non come quelli che ci hanno provato, ma come quelli che ci sono riusciti”.
“Salviamo questo pianeta, è l’unico con la pizza…”
Elezioni europee. Il Pd di Nicola Zingaretti è disposto a fare proprie, a portare nelle piazze, le parole del manifesto elettorale del partito del socialismo europeo?
Questa volta, con le elezioni del Parlamento europeo, ciascuna elettrice, ciascun elettore si trova di fronte ad un bivio: se imboccare una strada che porta all’affermazione continentale del liberismo, travestito di austerità, che fomenta la guerra tra i più deboli, attraverso un’alleanza inedita tra popolari e razzisti, trasformando il continente in terreno di caccia tra Stati Uniti, Russia, Cina. O se percorrere quella di un’Europa, che può soltanto diventare più unita e più forte se rappresenta i molti deprivati di mezzi e di diritti. La sinistra italiana, nelle sue diverse sfumature, per corrispondere a questo bisogno diffuso, quali chiarimenti dovrebbe offrire, a meno di due mesi dalla scadenza?
Cominciamo dagli obiettivi. Il manifesto elettorale del partito del socialismo europeo, a cui il Pd appartiene, si apre con queste parole (la traduzione dall’inglese è mia perché – guarda caso – la versione completa in italiano è difficilissima da trovare):
«L’Unione Europea deve servire meglio il suo popolo. Le elezioni di maggio 2019 sono la nostra opportunità per cambiare l’Unione europea e costruire un’Europa più giusta. Le nostre società tuttora sopportano i costi della crisi economica del 2008. Abbiamo sfide urgenti cui fare fronte. L’Europa deve superare l’ineguaglianza, battersi per una giustizia fiscale, fare fronte alle minacce dei mutamenti climatici, contenere la rivoluzione digitale, assicurare un’equa trasformazione agricola, gestire meglio le migrazioni, e garantire la sicurezza di tutti gli Europei. L’Europa richiede un cambiamento di guida e indirizzo politico, relegando al passato i modelli conservatori e neoliberali dominanti, puntando su posti di lavoro di qualità per il suo popolo, un ambiente sano, sicurezza sociale e un modello economico che affronti l’ineguaglianza e i costi della vita attuali. Lo status quo non è un opzione. Un mutamento radicale è necessario per costruire un progetto per un futuro in cui tutti gli Europei possano credere».
Parole chiare, paradossalmente ispirate agli europeisti della sinistra britannica che hanno scelto come parola d’ordine: «Per un’altra Europa». Il Pd di Nicola Zingaretti è disposto a farle proprie, a portarle nelle piazze, a tradurle in opposizione a questo governo e a coloro che, puntando alle politiche, vogliono insediare un governo Salvini, o preferisce abbandonarle nei meandri di internet, continuando ad inseguire quelli che dovrebbero essere i suoi avversari politici? E i suoi candidati, Calenda compreso? La domanda non è retorica, perché l’ambiguità è reale.
Seconda domanda, rivolta alla c.d. sinistra radicale – altro paradosso – più in sintonia con il manifesto del Pse: è capace di produrre una proposta elettorale unitaria tra le sue componenti, che non rappresenti una mera contrapposizione al Pd – con cui dovrà allearsi a livello europeo – o, peggio, una dispersione di voti (la soglia, come noto, è al 4%; ben oltre quanto conseguito da LeU, il 4 marzo)? È capace di fondere in un’alleanza verdi e sinistra almeno a parole?
Poiché è alto il rischio che al silenzio politico e programmatico della sinistra italiana, nelle sue diverse articolazioni, seguano delle semplici liste di candidati, l’elettorato in attesa potrebbe formulare due semplici richieste.
1) Che ciascuno di essi renda pubblico qualsiasi finanziamento elettorale superiore ai 1000 euro. E, per favore, che nessuno accampi la c.d. privacy per sottrarsi ad una regola che i democratici statunitensi stanno già mettendo in pratica!
2) Che ciascun candidato dichiari le proprie appartenenze associative, quali che esse siano, come elemento di giudizio a disposizione dell’elettore.
Posso sbagliarmi, ma credo che molti di noi elettori, orfani di partito, sceglieremo sulla base delle risposte a questi o simili interrogativi e conseguenti richieste.
Commenta (0 Commenti)Roma. Il trasferimento dei rom prevede la separazione dei nuclei familiari. Oggi e domani cortei dell'estrema destra, sabato in piazza anche gli antifascisti
Commenta (0 Commenti)