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Fanno campagna elettorale su regalie e condoni, o (indegnamente) sui Cpr in Albania. Vogliamo premiarli i partiti che distraggono lo sguardo dall’orrore planetario che avanza?

 Donetsk, Ucraina - foto Libkos/Ap

Questo è solo un sospiro filosofico. Forse un singhiozzo. Metodologico. Ma chiede ascolto. La domanda è: perché un elettore dovrebbe essere “realista”? Con questo termine, solitamente si intende l’una o l’altra di queste accezioni: 1) Non buttare via il tuo voto; 2) Non si vota per i principi e gli ideali, ma per influire sulla realtà; 3) Le anime belle sono degli irresponsabili; 4) Devi avere una visione strategica, una visione meramente ideale è troppo comoda; 5) Di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno.

La sola prescrizione alla quale la mia risposta è debole, anche ai miei occhi, è la prima. E può darsi sia quella decisiva, capirei gli amici chi la seguisse. Anche se i sondaggi sono predittivi, ma non profetici. E non sta scritto da nessuna parte che non ci siano grandi sommovimenti sotto i nostri piedi e nelle nostre anime: lì i sondaggi non bastano, ci vorrebbero i profeti. Il fatto è che i profeti, per definizione, non li ascolta nessuno in patria. Ed è questa la cosa più stupefacente. Siamo seduti sulle basi americane, in questo paese, siamo certi che in caso di guerra mondiale il campo di battaglia sarebbe qui o appena più in là in Europa, e sentiamo far campagna elettorale sugli spiccioli da regalare in giro e i condoni, oppure (vergognosamente) sui CPR da costruire in Albania. E vogliamo premiarli, i partiti che distraggono lo sguardo dall’orrore planetario che avanza?

Le prescrizioni 2-5 dicono suppergiù la stessa cosa, tutte. Mi è successo tante volte di notare che se c’è una cosa che definisce lo spirito – le idee, l’etica, iddio, il bello, il giusto – è che queste cose ravvivano, risvegliano, incendiano perfino. Lo diceva meglio il prete una volta: «Salirò all’altare di dio – di dio che ravviva la mia giovinezza». Che l’allieta. Sì, le idee hanno un potere felicitante, e si constata spesso che solo il felice è buono. Buono a tutto: perfino a far politica meglio dell’infelice, che diventa timoroso e confuso.

Tante volte mi è accaduto di notarlo: che senza il respiro dell’alto la democrazia muore asfissiata nel conflitto degli interessi economici e nazionali, smette di motivare la giovinezza, e perde la sua essenza, che è di rinnovarsi ogni giorno dalle sue fonti etiche: non c’è speranza di futuro senza respiro delle idee, del giusto, del bello – o magari, semplicemente, senza il rispetto dell’umanità, oggi piuttosto sfigurata in noi, in tutti noi, che facciamo colazione e andiamo a letto senza batter ciglio alla visione della carne umana schizzata a mucchietti sanguinolenti fra le macerie delle scuole bombardate, a un paio d’ore d’aereo da qui. E soprattutto senza amore del vero: e veri non sono solo i fatti, veri sono i principi, se sono solidamente fondati e infinitamente verificabili o rivedibili. Un principio, oggi, è che la guerra è l’equivalente penale internazionale dell’omicidio. Luigi Ferrajoli e il diritto internazionale specificano: la guerra d’aggressione. Ma forse oggi dobbiamo lasciare cadere la restrizione, per come sono fatte ormai le guerre, e per la sopravvenuta incapacità delle elites dirigenti a definire i loro fini, e quindi i loro limiti.

D’altra parte se lasciamo cadere questa restrizione cade la dottrina della guerra giusta. E comunque, vergogna discenda su chi ci ha fatto credere che la logica amico-nemico fosse l’essenza della politica, la sua definizione. Perché questa “politica” non può che essere o inizio o continuazione di guerra. E vergogna ai filosofi che non ce lo ricordano, che la filosofia è nata, invece, dalle menti che nella guerra hanno sì visto il presupposto reale e tragico di tutta l’avventura umana, ma proprio per questo, e per decenza, e per amor di dio, hanno anche visto che la politica è il solo mezzo per spegnerla, la guerra. Il solo, disperato, mezzo per salvare un pezzettino di umanità in noi