Crimini di casa nostra Il punto di origine di tutta questa vicenda è il Memorandum Italia-Libia, firmato nel febbraio 2017 dall’ex premier Pd Gentiloni e dall’allora presidente del governo di Tripoli, Serraj
Marco Minniti quando era ministro degli Interni del governo Gentiloni – LaPresse
Non è un caso che da anni in Italia passino impunemente guardiacoste, carcerieri e vertici dei servizi di sicurezza libici sui quali pendono accuse o perfino mandati di cattura da parte delle istituzioni a tutela del diritto internazionale.
Al Bija, Almasri, Al Kikli e tanti altri hanno rappresentato, a vario titolo, i partner dell’altra sponda per le politiche migratorie nazionali e comunitarie che hanno l’obiettivo di ostacolare a ogni costo le traversate.
Il punto di origine di tutta questa vicenda è il Memorandum Italia-Libia, firmato nel febbraio 2017 dall’ex premier Pd Gentiloni e dall’allora presidente del governo di Tripoli, Serraj. Un formidabile punto di svolta delle forze politiche di centrosinistra, verso destra, sul tema delle migrazioni. L’accordo nasce per riorganizzare la guerra alle migrazioni dopo l’estate della “crisi dei rifugiati”, che aveva visto nel 2015 l’arrivo di centinaia di migliaia di persone in Italia e Grecia. L’agenda europea per la migrazione, pubblicata dalla Commissione nel 2016, spingeva gli Stati membri a sottoscrivere intese con i paesi di transito, nel tentativo di delegare il blocco delle persone in fuga subappaltando crimini e violazioni dei diritti fondamentali.
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Le opposizioni insorgono. «Il silenzio è complicitàL’allora ministro dell’interno Minniti, oggi presidente della fondazione Med-Or, ha avuto in questo contesto un ruolo fondamentale nel promuovere l’accordo e sviluppare i rapporti con i «partner» libici.
Nello specifico, il Memorandum ha consentito all’Italia di fornire al governo di Tripoli finanziamenti, navi, tecnologie e soprattutto legittimazione politica, in cambio del blocco delle partenze e delle intercettazioni in alto mare, con il fine di ricondurre le e i migranti in Libia. Qui, come noto, sono sistematicamente costretti a lunghi periodi in centri di detenzione ufficiali e non, sottoposti a torture, estorsione e lavori forzati.
Al Memorandum è seguita nel 2018 la creazione della zona Sar libica, un’ampia area di acque internazionali in cui formalmente è la Libia ad essere responsabile per il coordinamento dei soccorsi in mare. Tuttavia, è solo grazie alle navi donate dall’Italia, al supporto logistico e comunicativo fornito dalle autorità italiane presenti a Tripoli con la nave militare Caprera e alla collaborazione con Mrcc Roma, che le autorità e le milizie libiche riescono materialmente ad intercettare le persone in fuga.
A partire dal 2018, quando una chiamata di soccorso arriva alle autorità italiane da un’imbarcazione che si trova nella Sar libica, queste – forti del rapporto che deriva anche dal Memorandum – inoltrano tutte le informazioni al «centro di coordinamento» libico e cercano di fare in modo che siano le motovedette di Tripoli (ex motovedette italiane) a recarsi sulla scena. Questo accade anche quando ci sarebbero altri mezzi in grado di prestare aiuto e garantire lo sbarco in un luogo sicuro, come le navi ong, fortemente criminalizzate proprio dal 2017.
Queste circostanze, sono oggetto ormai di diverse pronunce giurisprudenziali, come la sentenza del tribunale di Roma di agosto 2024, che, nel caso della «Asso 29», stabilisce la responsabilità delle autorità italiane per il coordinamento di un respingimento operato dai libici con il mercantile italiano.
La condizione di violenza e sfruttamento in cui vivono le persone straniere in Libia era già nota all’epoca della sottoscrizione del Memorandum: è del 2012 la famosa sentenza Cedu «Hirsi Jamaa e altri», che ha condannato l’Italia per aver riconsegnato un gruppo di naufraghi nel 2009. Questa condizione e le pratiche disumane cui le e i migranti sono sottoposti, aggravatesi dopo il 2011, erano ben documentate dalle più autorevoli organizzazioni internazionali.
L’Alto Commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr) pubblica da anni rapporti in cui riferisce che esistono ragioni molto serie per ritenere che in Libia si verifichino veri e propri crimini contro l’umanità nei confronti dei e delle migranti, gli stessi su cui indaga la Corte penale internazionale.
In questo contesto, aver sottoscritto un accordo in cui la controparte si impegna proprio a cercare in tutti i modi di bloccare le persone in Libia dimostra che violenze, stupri, torture, omicidi non sono un effetto collaterale del Memorandum: ne rappresentano lo scopo.
Per questo le autorità italiane vanno considerate complici di queste condotte gravissime e della violazione degli impegni presi nel secondo dopoguerra sul contrasto ai crimini di guerra e contro l’umanità.
Il caso Almasri è stato solo l’ennesima dimostrazione della totale mancanza di volontà di perseguire questi crimini, consentendo anzi che la Libia continui ad essere un moderno mercato di schiavi in cui si arricchiscono le milizie finanziate dall’Europa. Sarebbe illusorio pensare che quanto continua ad accadere si fermerà dall’altro lato dal mare. Quei crimini parlano della nostra società e dello stato delle nostre democrazie.
Confermare nei prossimi mesi la validità di questo accordo significa continuare a legalizzare crimini gravissimi e far venir meno il limite, anche retorico, di quanto imposto dai principi di uguaglianza e giustizia nel nostro ordinamento.