Riarmo Leader in gravi ambasce ripiegano su se stessi. In piena involuzione culturale, hanno riscoperto lo spirito del branco, col suo contorno di razzismo più o meno esplicito
Il 5 marzo scorso Emmanuel Macron ha indirizzato un solenne discorso alla nazione. La Francia, ha detto, deve difendersi, il pericolo russo è grave, è l’ora di riarmare la Francia e tutta l’Europa.
Il più impopolare presidente della quinta Repubblica, devastato da un doppio fallimento elettorale, incapace di contrastare l’avanzata dell’ultradestra, dante causa di quel che in Italia si chiamava un governicchio, tenta il rilancio indossando i panni del chef de guerre continentale, forte di qualche dozzina di bombe atomiche. Il riarmo sarebbe pure un buon affare, dato il florido stato dell’industria francese degli armamenti.
Non è diversa la condizione di Starmer. Vinte le elezioni per il collasso conservatore più che per meriti propri, sondaggi a lungo in caduta, stritolato dai danni provocati dai governi precedenti, condizioni economiche infauste, servizi pubblici disastrati, prigioniero dell’ortodossia dell’austerity, Starmer si è un po’ rilanciato col suo attivismo pro-Ucraina. Anche la Gran Bretagna è una potenza nucleare. Che diamine!
Non sta bene neanche Merz, prossimo cancelliere federale. La Germania è sofferente. I servizi pubblici sono malmessi, ma è soprattutto in crisi l’ultima trincea della manifattura europea, difesa a spese delle manifatture degli altri paesi, dove rimane qualche regione vitale, come il Nord Est italiano, ma che è l’ombra di ciò che era. Le democrazie non si fanno la guerra, ma si fanno la forca. Tra libera concorrenza, divieto d’aiuti di Stato, vincoli di bilancio, moneta unica, la Germania si è salvata, ma ha fatto molte vittime: la più tragica è la Grecia. Alla lunga, la trincea sta cedendo. Tra incremento dei costi energetici, ritardi di innovazione, concorrenza cinese, Merz punta sul riarmo.
Non stanno bene tanti leader d’Europa e le loro cerchie. Non sta bene von der Leyden, che ha una maggioranza risicata, non stanno bene lungo la frontiera orientale, non sta bene Meloni. Pur applicando con zelo le prescrizioni del patto di stabilità, la produzione industriale è in calo da 24 mesi. Per ragioni ideologiche flirta con Trump, immagina affari con Musk, ma non può dissociarsi da von der Leyden. Secondo una consolidata divisione del lavoro, lascia fare a Salvini, che prova a lucrare sul pacifismo. Anche a lei il riarmo appare un toccasana.
Ci sono ragioni di sostanza, dietro il riarmo, Putin non è un agnellino. Ma ce ne sono pure di politiche. Dopo un quarto di secolo di martellamento anti-immigrati da parte delle destre estreme, l’aggressione all’Ucraina ha offerto ai partiti mainstream un surrogato per attrarre gli elettori. Le democrazie occidentali sarebbero sotto attacco dell’autocrazia russa e dei suoi altrettanto autocratici alleati: Cina e Iran in testa. Val la pena leggere quel documento paranoico che è la risoluzione votata l’11 marzo dall’Europarlamento.
Putin, è chiaro, cova un disegno neozarista. Anche lui si trova ad affrontare terribili difficoltà interne. La Russia è un paese sterminato, ospita popolazioni eterogenee, possiede enormi risorse naturali, ma la transizione al mercato ha beneficato solo un pugno di oligarchi, arricchitisi usando mezzi legali e illegali, circondati da un ristretto strato di servizio. Sottoposta a duri metodi polizieschi e a un’intensa propaganda, la popolazione non ha migliorato granché la propria condizione. Ha aggredito l’Ucraina e prova a inquinare, non sappiamo fino a che punto, le contese elettorali in occidente. Il bellicismo sta bene pure a lui e il neozarismo è un buon narcotico per mascherare i problemi reali.
Trump a sua volta, tra brutalità e arroganza, fa appello al suprematismo bianco, fino a sostenere i neonazisti d’Europa, anche lui per affrontare una situazione scomoda. Biden aveva provato a rilanciare l’economia impostando politiche di lungo periodo. Che però hanno ben poco alleviato le condizioni di larghe fasce di popolazione. Il peso del debito pubblico è enorme e allora, tra sanzioni e ritiro della protezione militare, Trump vuole scaricare sull’Europa, il Canada e altri, le sue difficoltà. Nel mentre in quel brandello d’occidente che è Israele, Netanyahu ha fatto a pezzi quanto restava del diritto internazionale per prendersi una sproporzionata e sanguinaria vendetta sulla popolazione palestinese e rinsaldare la sua barcollante posizione politica.
La Cina osserva sorniona gli eventi. Non è sola. Osserva la congiura, non concordata, dei falliti. Leaders in gravi ambasce, e le loro cerchie, ripiegano su se stessi. In piena involuzione culturale, hanno riscoperto lo spirito del branco, col suo contorno di razzismo più o meno esplicito. Incapaci d’immaginare qualche forma di cooperazione internazionale che promuova la pace, sui temi dello sviluppo e del riscaldamento globale – del resto anche la cooperazione intraeuropea è prigioniera del principio di concorrenza – puntano su nazionalismo e armamenti.
Fa da mediocre contorno la congiura, questa sì concertata, dei falliti della sinistra italiana. Che i tempi consiglino una più intensa cooperazione europea anche militare è ovvio. Per corroborare l’ovvietà Michele Serra ha proposto la grande manifestazione popolare. Ma lui stesso si è accorto che di Europe ce ne sono parecchie. Non c’è solo la «fortezza Europa». Cui aderisce un pezzo di dirigenza Pd, mentre un’altra concorda con la segretaria sulla sua drammatica inadeguatezza e sui suoi costi enormi. È l’occasione per i falliti del Pd e dintorni, sconfitti dagli elettori e delle primarie, per liberarsi, col sostegno di stampa e tv padronali, di una segretaria non deferente, rea a quanto pare di lesa fede europeista e democratica, di stolido pacifismo. Con tripudio dell’ultradestra. Falliti sì, ma pericolosi.