Per il Cavaliere la rottura con Meloni è definitiva. Farà partire il governo ma punta a logorarla con Ronzulli capogruppo al senato. Salvini professa ottimismo, in campo i pontieri. Forza Italia alza il prezzo sui ministeri ma resta lontana dalla giustizia
Silvio Berlusconi giovedì scorso al senato - Ansa
Non è la quiete dopo la tempesta. È solo una tregua resa indispensabile dalla necessità di mettere una pezza al disastro dei giorni precedenti. Per due giorni nessun incontro, lavori per la costruzione del governo fermi: la parola passa ai mediatori. I principali in campo sono l’eterno Gianni Letta, ricomparso dopo un lungo ostracismo, il nuovo presidente del senato La Russa, che a Berlusconi è sempre stato vicino, e Salvini che prova a spargere ottimismo: «Sono sicuro che tra Giorgia e Silvio tornerà l’armonia fondamentale per governare, bene e insieme, nei prossimi cinque anni».
Se davvero Salvini nutre questa sicurezza è l’unico. Certo, passati i due giorni necessari per placare un po’ gli animi, e forse anche prima, i contatti riprenderanno. La futura premier offrirà qualcosa al Cavaliere umiliato e offeso, anche se difficilmente quel ministero della giustizia che potrebbe forse rabbonirlo un po’: un pacchetto di ministeri con dentro certamente gli esteri per Tajani, vicepremier con Salvini, e probabilmente università, pubblica amministrazione, istruzione. I nomi nel bussolotto sono quelli di Anna Maria Bernini, Cattaneo, Pichetto Fratin: qualcosa potrà cambiare ma di certo non ricomparirà Licia Ronzulli, a questo punto futura capogruppo al senato.
Berlusconi fingerà di accondiscendere alla riappacificazione. Le indiscrezioni da Arcore lo dicono «pronto a ripartire», giurano che il problema non è mai stato una questione personale su Ronzulli ma l’atteggiamento autoritario e tanto decisionista da risultare offensivo della leader tricolore. Anche da via della Scrofa fanno sapere che per Meloni non ci sono problemi personali ma solo politici, dunque risolvibili con la politica. Il governo partirà nei tempi preventivati, cioè nel giro di due o tre giorni dal momento del conferimento dell’incarico, previsto per mercoledì sera.
La squadra non è completa, la settimana prossima sarà a tratti incandescente ma alcune caselle chiave sembrano ormai a posto: l’economia a Giorgetti, l’ingresso di Salvini probabilmente alle infrastrutture, la famiglia a Rampelli, un ruolo, forse le pari opportunità, per Isabella Rauti, la giustizia a Nordio sempre che non la spunti in extremis Berlusconi. Sembrerà la pace però non lo sarà. Gli alleati che in passato hanno avuto modo di conoscere e frequentare Berlusconi sanno perfettamente che per lui non esiste confine tra il politico e il personale e le rotture sul piano personale sono irrecuperabili. Sanno anche che quel foglio di carta con il verdetto senza appello contro l’alleata, che nessuno crede sia stato esposto solo per imprudenza, sigla appunto una frattura definitiva. Non tanto per i numerosi e ben poco gratificanti epiteti quanto per le conclusioni perentorie: «Una persona con cui non si può andare d’accordo». Berlusconi non perdonerà l’umiliazione subìta al senato, di fronte alle telecamere impietose, e neppure quella che considera una imperdonabile mancanza di rispetto nelle risposte alle sue richieste.
Ma il Cavaliere è un tipo concreto, riconosce i rapporti di forza. Non può permettersi di impedire la nascita del governo e lo sa. Sa anche che in questa legislatura e con questa composizione delle camere le formule adoperate più volte nell’ultimo decennio, un qualche tipo di ribaltone per cambiare la maggioranza, sono impraticabili. Nessuno può permettersi di dar vita a una maggioranza bizzarra contro FdI e M5S, perché il prezzo nelle urne sarebbe poi esiziale. Quindi punterà sul logoramento: di questo, almeno, sono convinti nello stato maggiore di via della Scrofa.
La chiave sarà proprio la guida del gruppo al senato affidata all’avvelenatissima Ronzulli. In aula il vantaggio, pur limitato, non desta preoccupazioni. Ma nelle commissioni il discorso è ben diverso: lì lo scarto sarà spesso di un solo voto e, se davvero il capo punterà sul logoramento, la capogruppo non avrà problemi nel far mancare a piacimento il numero legale. I dubbi di Meloni sulla promozione a ministri dei senatori si spiegano, più che con un intento punitivo, con la necessità di non sguarnire il senato perdendo proprio i senatori sui quali più può contare. Ma la situazione è questa e per ora l’importante è partire. Poi si vedrà.