Una figura complessa come quella di Enrico Berlinguer ha lasciato dietro di sé un ampio spettro di immagini e di memorie diverse. Innanzitutto, la sua personalità, la sua onestà intellettuale, il modo di porsi di fronte all’opinione pubblica hanno incarnato più ancora che le sue proposte politiche il senso di un certo modo di concepire la politica e di essere comunisti. Per questo è stato spesso contrapposto ai democristiani, o a Craxi, giudicati antropologicamente agli antipodi.
C’è però anche un rovescio della medaglia: negli anni dell’accordo con la Dc (’76-’79), Berlinguer fu accusato di voler blindare il quadro politico e tradire i trent’anni precedenti del suo partito, così come nell’ultima fase della sua segreteria, la crescente distanza del Pci da alcune tendenze della società, l’isolamento a cui la sua linea sembrava condannarlo, la «questione morale», furono stigmatizzati dai suoi avversari e da gran parte dei mass media.
NEGLI ULTIMI DUE DECENNI proprio per quella «diversità comunista» Berlinguer è stato spesso dipinto, sul web in particolare, come un profeta dell’antipolitica ante litteram. Con un rovesciamento completo e del tutto anacronistico rispetto alla storia e alla visione politica proprie del politico sardo. Perché fu profondamente un uomo di partito e della forza politica più identitaria e novecentesca di tutte.
Quando nel 1972 Berlinguer divenne leader del Pci era poco conosciuto. Ciononostante, anche grazie al suo inaspettato carisma, il Pci conquistò un crescente consenso in un Paese che stava vivendo una grave crisi economica e politica. Una credibilità che traeva origine anche dalle sue coraggiose scelte in campo internazionale: l’eurocomunismo e il crescente distacco dall’Urss.
Nell’Italia del «lungo ‘68», che vide il più duraturo e intenso ciclo di lotte sociali dell‘Occidente, la segreteria di Berlinguer conobbe però alcuni dei suoi punti più critici. A cominciare dalla vittoria del «no» nel referendum sull’abolizione del divorzio. Se il Pci contribuì attivamente alla sconfitta del quesito abrogativo, Berlinguer si adoperò fino all’ultimo per evitare quel voto, temendo una contrapposizione tra laici e cattolici.
Del resto, il Pci, come quasi tutto il sistema dei partiti, non aveva compreso la profondità della «grande trasformazione», frutto dello sviluppo economico, che aveva cambiato il volto dell’Italia. E questo nonostante il fatto che Berlinguer si mostrò molto sensibile rispetto al più importante movimento del periodo, quello femminista, nei confronti del quale il Pci non manifestò quella volontà di disciplinamento che spesso caratterizzò la sua azione rispetto ad altri movimenti.
ANCHE LE VITTORIE ELETTORALI come quella del 1975, che portò il Pci ad amministrare mezza Italia, e quella del 1976, in cui raggiunse il 34,4%, furono segnate da profonde contraddizioni. Partito più votato dai giovani, pochi mesi dopo il Pci si trovò in rotta con una parte di quel mondo giovanile, il movimento del ’77. Inoltre, se è vero che il Pci intercettò quella potente spinta modernizzatrice che veniva dalla società e che si presentò a quegli appuntamenti sulla base della discussa linea del compromesso storico, è vero anche che i voti del ’75-’76 erano contro la Dc, erano per cambiare.
Ciò aprì una tensione molto forte nel Paese e nel Pci stesso. Negli anni in cui il partito comunista fu nella maggioranza di governo, nelle ricette per uscire dalla crisi economica – l’«austerità», i «sacrifici» -, Berlinguer si mise di traverso rispetto alla spinta potente della società dei consumi. L’offensiva terroristica, di poi, costrinse il Pci alla logica dell’emergenza: a quella economica si sommò quindi quella democratica.
IN CONCLUSIONE, Berlinguer ritenne che l’ingresso delle masse rappresentate dal Pci nell’area di governo fosse la principale riforma, che fosse possibile introdurre «elementi di socialismo», ma fu, per molti versi, un’illusione. Questo non gli fece vedere che i risultati ottenuti, ancorché non scevri di criticità, erano stati rilevanti: sistema sanitario nazionale, legge Basaglia e legge sull’aborto. Riforme «bidone» ma soltanto per chi nel decennio Settanta aveva sperato in una rivoluzione.