Ho letto con interesse l'articolo su il Manifesto degli amici Silvia Zamboni e Paolo Galetti “I Verdi, in Italia ci sono già. E hanno le porte aperte”. Bene! Viene da dire.
E' una apertura verso altre esperienze analoghe: qualcuno che si definisce un po' più di sinistra, altri più attenti ai diritti sociali e del lavoro, insieme alle questioni ambientali e climatiche. Alcuni fanno ancora riferimento a qualche struttura organizzata nazionale, altri operano prevalentemente a livello locale e al massimo si tengono in rete con esperienze simili. Tutti, con maggiore o minore radicalità e coerenza, (ma chi può dire di non avere mai sbagliato?) comunque aspirano a cambiare lo stato di cose presente; vorrebbero una riconversione di questo modello sociale, produttivo, economico, “di sviluppo”.
Il problema della politica non è solo quello di declamare delle aspirazioni, ma di creare i rapporti di forza necessari per realizzarle. Invece non ci stiamo (ancora) riuscendo.
In una piccola realtà locale come Faenza, nella prospettiva delle imminenti elezioni amministrative, da mesi ci stiamo ancora provando. Protagonisti sono cinque aggregazioni politiche: l'Altra Faenza, Art.1 (Mdp), i Socialisti, i Verdi e il M5S, con storie e identità specifiche (in riferimento all’Amministrazione in scadenza, alcune all'opposizione altre nella maggioranza) hanno stretto un patto di consultazione ed hanno elaborato posizioni comuni per fare pesare le idee ecologiste, sociali e dei diritti nella nuova amministrazione della città.
Alla fine questa “Piccola Coalizione” (così si sono autodefiniti) ha stilato con Massimo Isola, candidato del PD, un "Nuovo patto per Faenza" che già nel titolo marca la differenza col passato e si sintonizza con l'attuale delicatissima fase.
Sarebbe stato logico che queste forze avessero anche presentato un’unica lista (al massimo due, tenuto conto dei vincoli dichiarati dal M5S) allo scopo anche di poter pesare di più dentro una alleanza di centro sinistra, che rischia di essere condizionata da posizioni moderate e continuiste.
Non ce l'abbiamo fatta (anche per interferenze esterne) quindi si presenteranno: “Faenza Coraggiosa, Ecologista, Progressista, Solidale” ; ”Verdi Europa”, il Movimento 5 stelle, ma il progetto della “Piccola coalizione” può e deve proseguire.
Interloquendo in particolare con le realtà dell'associazionismo, del volontariato, dei movimenti impegnati in tante battaglie sociali, ambientali, urbanistiche, sulla scuola, ecc. per costruire nella società, ancor prima che nel Consiglio Comunale, una nuova e reale partecipazione, con le necessarie iniziative e mobilitazioni, per un'altra idea di città ambientalmente e socialmente sostenibile, contro le diseguaglianze e a sostegno dei diritti sociali, a partire da quelli dei più deboli.
Pur con tutti i limiti, questa esperienza locale, si inserisce nei tentativi, di tanti altri in Italia, per costruire una convergenza rosso-verde, e una rete eco-solidale; tentativi che hanno bisogno di evitare la propaganda, di abbassare qualche bandierina e costruire, soprattutto, qualche esperienza effettivamente unitaria, pur nel rispetto delle diversità, a partire dai territori.
Proviamoci ancora, allora, ma facciamolo in fretta, “Per non ridursi ad essere un effimero tentativo di riciclare il déjà-vu” , come giustamente ricordano Silvia e Paolo.
Vittorio Bardi
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In questa fase di grande incertezza sia per i candidati del centrosinistra, con le grandi contraddizioni interne al PD, sia nel centrodestra, con i litigi interni alle varie componenti, da sinistra arriva la prima candidatura a Sindaco.
"Potere al Popolo!”ufficializza la candidatura di Roberto Gentilini (detto Piumino). Nel dicembre del 2019 aveva già corso per il Consiglio Regionale nelle ultime elezioni in Emilia Romagna. A Faenza la lista di “Potere al Popolo” ha ottenuto 177 voti (0,6%). Abbiamo voluto intervistarlo per capire le motivazioni della sua candidatura.
(Red)
Roberto Gentilini, non vi sembra un po' azzardato presentarsi da soli col rischio di non raggiungere il quorum per eleggere qualcuno?
Abbiamo cercato contatti con altre forze a sinistra, per esempio nel febbraio scorso ci siamo incontrati con L'Altra Faenza, è stato un incontro cordiale e costruttivo con un riconoscimento reciproco per verificare la volontà di un percorso comune; altri contatti li abbiamo avuti coi Verdi.
Per noi il vincolo era la presenza del nostro simbolo e della nostra identità, non escludendo la possibilità di aggregarsi in una lista comune con altri simboli, ma in alternativa al Partito Democratico.
Ci è sembrato che i nostri interlocutori, pur non escludendo completamente questa ipotesi, volessero prima verificare le posizioni e le proposte delle altre forze di centrosinistra.
Per questo, in questa fase di stallo, la nostra assemblea ha deciso di rompere gli indugi, abbiamo presentato una nostra candidatura per smuovere la situazione.
Questo significa che adesso escludete confronti per una aggregazione più ampia con altre forze?
Bisognerebbe vedere quando ampia e poi se fosse chiara l'indipendenza dal Partito Democratico.
Allora facciamo una ipotesi: supponiamo che il Partito Democratico, per sue contraddizioni interne, non intenda fare nessuna apertura alla sua sinistra e contemporaneamente che il confronto attualmente in corso tra L'Altra Faenza, Art.1, Verdi, M5S e Partito Socialista, porti all'idea di presentare una lista civica “progressista, ambientalista, di sinistra” con una propria candidatura autonoma. Potrebbe interessarvi?
Questa sarebbe una proposta nuova, non ci sembra fosse tra le possibilità che si discutevano, noi non vogliamo annacquare i nostri contenuti, credo sarebbe difficile partecipare ad una aggregazione di questo tipo, al momento non sarebbe fattibile.
In questo periodo nell'emergenza dovuta al Covid-19, spesso si è detto “non tutto deve tornare come prima” (sulle questioni ambientali, economiche, sociali) non pensi che anche nella politica, in particolare a sinistra, andrebbero superate le frammentazioni ?
Certo, a noi interessa una battaglia per qualcosa di nuovo a sinistra, l'esempio delle ultime elezioni regionali dove erano presenti 3 liste a sinistra (Potere al Popolo, L'altra Emilia-Romagna, Partito Comunista) che insieme non hanno raggiunto l'1%, è un problema; ma in politica non sempre 1 più 1 fa 2, non sempre i voti si riescono a sommare.
Anche tra il vostro elettorato, qualcuno si preoccupa che possa vincere la destra, tant'è che qualcuno ha dichiarato “poi al secondo turno voteremo per il candidato del PD”, non ti sembra una contraddizione?
Ci possono essere opinioni diverse, ma non credo daremo indicazioni di voto al secondo turno; inviteremo tutti ad andare a votare, ma lasciando libertà di coscienza.
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Serve una iniziativa politica all’altezza della rottura rappresentata dalla Pandemia. Non funziona questa precarietà del rapporto politico che non vede in campo forze sufficienti per trasformarla in progetto condiviso.
I 5S sono in una crisi strutturale. Il Pd si è predisposto fin dall’inizio a fare la parte responsabile, fino ad abbassare il proprio profilo.
Proprio perché non agisce nella maggioranza una forza dotata di una propria visione strategica, tanto forte da ricomprendere anche le ragioni migliori degli alleati, la precarietà tende ad accentuarsi invece di diminuire.
Ecco il circolo vizioso che potrebbe essere spezzato solo dal Pd,ma che il Pd non sembra fare niente per spezzare.
C’è bisogno di una forza che parli a un paese colpito, sofferente, disorientato anche, ma con energie profonde, bisognoso di una rotta e che va chiamato ad interpretarla, arricchirla, portarla avanti da protagonista.
E non è proprio questo il ruolo della Politica? Ma non è proprio nelle situazioni di crisi che c’è bisogno massimamente di questa funzione? E se non la copre la politica, chi? Chi si preoccuperà di immaginare forme nuove per la società?
Forze potenti ci sono che spingono per tornare al prima: quelle stesse forze dominanti del capitale, del mercato, del profitto, nuovi Dei del Mondo, alle quali la democrazia va stretta e che anzi hanno già dichiarato da tempo guerra ad essa.
Non c’è questione sulla quale il Pd si predispone a far vivere nella società, nella mobilitazione delle sue forze, nel lavoro di confronto un pensiero proprio agente.
Naturalmente avere responsabilità di direzione del paese in un passaggio del genere è cosa da far tremare le vene dei polsi, che c’è una destra che non perde occasione per scivolare con la sua opposizione assolutamente legittima in canea bavosa .
Il Pd sembra bloccato, forse perché semplicemente dal suo orizzonte tutto questo è fuori. Ormai è un’altra cosa : una forza di governo che vive del governo e del gioco per non allontanarvisi troppo, prigioniera poi di satrapie territoriali che essa stessa alimenta e legittima. Una forza che deve stare al centro per poter sopravvivere. Una forza camaleontica, che deve sapersi adattare a tutte le posizioni e per la quale averne una di posizione è di intralcio. Disancorata da qualsiasi aspirazione a costruire nuova rappresentanza e nuovo conflitto sociale.
E allora, qui siamo sul terreno di una contraddizione che può diventare esplosiva. C’è ancora qualcosa che Zingaretti non ci ha detto? E allora dica, il tempo è agli sgoccioli.
E ci dicano gli spezzoni di Sinistra critica che non sono riusciti a ritrovarsi dopo il voto politico ultimo per avviare un percorso costituente di nuova soggettività politica per ritrovarsi invece insieme nel Governo dove non c’è ne Art. 1 e né SI ma Leu. Bene. E allora, dite anche voi. Fate.
E comunque, ma davvero tante forze nuove, impegnate in tante esperienze di movimento e associative sui terreni più diversi, espressione di una alterità potenziale e reale alle logiche dominanti; tanto lavoro vecchio e nuovo, precario e qualificato; tante forze della cultura e dei saperi; tantissimi 50/60enni orfani di qualsiasi casa politica e fuori dall’idea che la politica possa ridursi a scontro di ceti politici; tante relazioni cresciute tra le generazioni Erasmus e nell’uso della Rete tali da configurare un potenziale Demos europeo di cui Sardine e Friday For Future sono stati in qualche modo esempi; e il movimento Non una di meno, con tutta la carica critica che in esso si concentra: ecco, ma davvero tutto questo deve essere condannato a rimanere senza rappresentanza?
Io penso che questo discorso, in un modo o nell’altro, dovrà costituirsi come Politica nuova, moderna critica agente delle forme presenti del capitalismo e fare sì che proprio nel passaggio di questi tempi cruciali, si incontri di nuovo con i bisogni del Paese.
* Dall’editoriale di INFINITIMONDI Bimestrale di pensieri di libertà, 14/2020 PROFILI DI UNA PANDEMIA in distribuzione dall’11 giugno.
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La sentenza della Corte costituzionale t edesca ha messo in evidenza – paradossalmente – problemi politici. Il primo è che la Corte costituzionale di uno stato dell’Unione non riconosce come unica sede di giudizio per decisioni e materie europee la Corte Europea, o almeno non completamente e arriva a chiedere perentoriamente alla BCE, istituzione europea, di giustificare entro tre mesi le sue azioni di interventi di politica monetaria minacciando il divieto alle sedi tedesche, in particolare alla Bundesbank, di contribuire a queste azioni a livello europeo e intima al parlamento e al governo tedesco di pronunciarsi su tutta la materia. Forse per questo il Ministro delle Finanze ha preannunciato che il Bundestag sarà chiamato a pronunciarsi sulle misure anticrisi. Questo intervento a gamba tesa della Corte tedesca, se diventasse realtà, metterebbe in discussione un principio fondamentale degli accordi sovranazionali in Europa e cioè la non possibilità per le Corti costituzionali dei singoli paesi di invadere lo spazio europeo, essendo chiaro che se il cattivo esempio venisse dalla Germania non si capisce perchè dovrebbero rinunciare a dire la loro le altre Corti costituzionali nazionali, con la conseguenza che il processo di integrazione si avvierebbe sul viale del tramonto, apparentemente non per una scelta politica.
Il secondo è che la Corte tedesca, a differenza di quella italiana, si pronuncia su istanza di singoli e di associazioni. Da noi questo non è possibile, l’accesso alla Corte non può avvenire da parte di singole persone, per quanto autorevoli, o di settori della società. I ricorrenti sono evidentemente difensori strenui della politica di austerità, su posizioni apertamente conservatrici, se non di destra, ed è la Corte tedesca che amplifica la loro voce con una evidente scelta politica perché arriva ad intimare chiarimenti alla Bce, pena il blocco del meccanismo per affrontare la crisi economica, che deve cercare di recuperare i danni economici e sociali della pandemia, in particolare nei paesi più colpiti, di cui la politica monetaria e di acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario è un punto decisivo, anche se insufficiente. Inoltre questi sono i giorni in cui dovrebbero essere chiariti gli altri punti di intervento: dal meccanismo di sostegno al reddito di chi rimane senza lavoro (Sure) agli interventi a favore degli investimenti delle aziende attraverso la Bei, all’eventuale utilizzo del Mes, senza trascurare il punto di caduta degli interventi ulteriori sotto l’ombrello del recovery fund europeo che dovrebbe valere secondo alcune versioni almeno 1500 miliardi aggiuntivi. Del resto tutti gli stati importanti del mondo hanno previsto interventi massicci per uscire dalla crisi e l’insieme di questi filoni costituirebbe l’intervento europeo.
Se tutto questo dovesse fermarsi, ad esempio per l’improvvida sentenza tedesca, l’Europa entrerebbe in una fase di sofferenza dagli esiti imprevedibili.
Sia la Commissione europea che la Bce hanno avvertito il pericolo e hanno subito rivendicato l’autonomia delle decisioni europea. Oggi è arrivata anche la sentenza della Corte europea che ha rivendicato in modo chiaro la propria esclusiva competenza, escludendo che interventi nazionali, come quello della Corte tedesca, possano bloccare questo percorso provocando la crisi del disegno europeo. Su questo piano i chiarimenti ci sono stati, anche se le risposte istituzionali tedesche avrebbero potuto essere più forti e rapide. La riunione dell’Eurogruppo ha sciolto alcuni nodi ancora aggrovigliati. Era ormai chiaro che il Mes era la via più rapida per gli interventi. Rimanevano ambiguità da sciogliere come la possibilità di avere parti non scritte all’inizio ma in grado di essere poste anche dopo l’utilizzo del Mes. È vero che la Commissione europea potrebbe anche senza il Mes chiedere misure aggiuntive per fare rientrare i bilanci pubblici nel sentiero previsto prima della pandemia, tuttavia è evidente che questo non è possibile vista la situazione. Per evitare che questo possa avvenire successivamente occorrono patti chiari e qualche affermazione recente ha mantenuto un’alea di incertezza. È necessario che la decisione sull’intervento del Mes sia netta. Anche cambiargli nome non sarebbe male. Se i tempi per i prestiti saranno mediamente di 10 anni si sarà fatto un bel passo avanti. Anche i tassi siano debbono essere molto bassi e non un cappio che si stringerà più avanti.
Resta ancora invece vago il Recovery fund. Cambiare nome non è una tragedia, ciò che conta è che arrivi rapidamente a costituire un fondo di intervento per la ripresa di grande forza, che abbia la dimensione adeguata e che operi con strumenti a medio lungo sia con tassi bassissimi che con interventi a fondo perduto. La Presidente Von der Leyen aveva ipotizzato interventi 50 % con prestiti e 50 % con interventi a fondo perduto, sarebbe un punto di partenza rilevante. Per ora c’è un rinvio, sia pure con impegni confermati e la crisi morde ora. Tutto questo per partire ha bisogno dell’intervento della Bce a sostegno della raccolta di fondi a costi pressoché inesistenti per finanziare i diversi capitoli di intervento, quindi è necessario che non solo la Corte tedesca rinunci alle sue intemerate ma anche che la Bundesbank partecipi a pieno titolo alle iniziative della BCE. È giunto anche il momento di andare oltre l’emergenza e ridiscutere i trattati in vigore, da Maastricht fino ad oggi. Ci sono aspetti degli interventi di emergenza che possono essere l’inizio di innovazioni di fondo, modificando il rapporto tra intervento pubblico e mercato, tra mercato e solidarietà. Resta da esaminare un aspetto rilevante, cosa accadrà in Italia? Non si può dare l’impressione che tutto dipende dall’Europa. Certo molto dipenderà dagli interventi europei che possono essere anche l’occasione per un passo avanti verso una vera Unione Europea.
C‘è anche da decidere ciò che deve fare l’Italia. Su questo c’è una disattenzione preoccupante. Conte disse che piuttosto che ricorrere a strumenti discutibili avremmo fatto da soli, un conto è tornare alla realtà sapendo che in realtà fare da soli comporterebbe una crisi gravissima del nostro paese, ma sapendo che ci sono scelte che dipendono da noi. In sostanza gli interventi europei debbono arrivare su canali già preparati per rafforzarli, non per sostituire interventi nazionali. Gli interventi costano. Se c’è una parte del paese che rischia di essere sospinto verso la povertà e di imprese che potrebbero non riaprire occorre recuperare le risorse necessarie là dove sono, cioè dalla parte che detiene risorse e redditi sufficienti per partecipare ad una iniziativa di solidarietà. Il silenzio ogni volta che l’argomento viene sollevato è un errore e indebolisce la nostra trattativa in Europa. Questo è un problema politico di fondo, non stupisce tanto che il governo Conte 2 faccia fatica a parlarne ma che i partiti che lo sostengono non aprano su questo una discussione con lo stesso impegno che vien messo per recuperare risorse europee. Inoltre c’è un punto su cui c’è un silenzio poco comprensibile. In altri paesi europei ci sono esperienze che in diversi campi possono costituire un valido esempio, come del resto anche iniziative italiane lo sono per altri paesi. Perché non si possono studiare e copiare altre esperienze se funzionano?
Ad esempio la Cassa Depositi e Prestiti è stata riformata positivamente anni fa, oggi potremmo imitare l’esperienza tedesca sulla gestione del debito pubblico. La gestione del debito pubblico in Italia è un problema di prima grandezza e un’agenzia pubblica specializzata potrebbe aiutare non poco a risparmiare e quindi perché non adottare altre esperienze nella gestione del debito pubblico, ad esempio sul modello tedesco. Se la proposta è valida come dimostra il fatto che la Germania pur essendo in condizioni di finanza pubblica più solide assicura una gestione del debito attenta ci dice che probabilmente anche l’Italia avrebbe da guadagnare da quel modello con risultati molto maggiori, visto che il nostro debito pubblico ha un peso rilevante e richiede più attenzione di altri.
Non sarebbe uno strumento risolutivo ma potrebbe aiutare a gestire meglio un punto dolente della nostra economia.
Antonio Esposito, presidente emerito di Sezione della Cassazione, ha messo in evidenza, con rigore, un punto solo apparentemente di forma linguistica e cioè che è sbagliato definire Governatori i Presidenti delle Giunte regionali. In questo si distinguono anche troppi giornalisti che usano – per ignoranza? per piaggeria? – la definizione Governatori che nella nostra Costituzione non esiste. I Governatori sono una figura istituzionale degli Usa, stato federale, a differenza dell’Italia. Esposito ha ricordato che la Costituzione parla di Presidenti delle Giunte delle Regioni e aggiungo che la loro elezione diretta non cambia la sostanza della funzione che svolgono. Non a caso l’articolo 121 della Costituzione afferma, ad esempio, che il Presidente dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica. Inoltre i poteri sostitutivi sono attribuiti dall’articolo 120 al Governo, quando lo richiedono l’incolumità e la sicurezza pubblica e sono vietati provvedimenti che ostacolano la libera circolazione delle persone e delle cose. Questi concetti sono il contrario di quanto abbiamo potuto ascoltare, in diverse occasioni, da alcuni Presidenti.
In troppe occasioni è risultato evidente che la pandemia è stata vista da alcune Regioni come occasione per rivendicare/strappare più poteri in contrasto con il ruolo dello Stato. Ci sarà tempo per vedere meglio se l’Italia può continuare ad accettare 20 sistemi regionali diversi e comportamenti istituzionali che hanno finito per indebolire il contrasto alla diffusione del virus, o almeno lo hanno reso più confuso, a volte aumentando inevitabilmente il numero delle vittime, come è accaduto nelle Rsa e nelle case di riposo. In questo momento è prioritario fronteggiare la pandemia. È il minimo che dobbiamo al sacrificio dei sanitari che hanno lavorato in prima linea, con un numero di morti che ha raggiunto livelli inaccettabili. La leale collaborazione tra i livelli istituzionali dovrebbe essere la naturale conseguenza dopo questi sacrifici. Un segnale certamente utile sarebbe archiviare definitivamente, da subito, l’autonomia regionale differenziata, che è un segnale nella direzione opposta a quanto è necessario.
Nella cosiddetta fase 2 vengono al pettine diversi nodi. Un conto è adottare misure straordinarie di limitazione della libertà delle persone per una fase di emergenza e seguire regole semplificate di adozione, tuttavia dopo due mesi occorre delineare un percorso verso la normalità del funzionamento delle istituzioni. Anche perché l’uso ripetuto dei Dpcm, pur legittimati da una fonte legislativa come un decreto legge, finisce con il creare una modalità che è rapida quanto un decreto legge, con la differenza che quest’ultimo è modificabile in sede di conversione e fa entrare in scena il parlamento. Il vero problema è che il decreto legge presuppone un percorso parlamentare di approvazione e quindi è soggetto alle turbolenze parlamentari di una maggioranza non molto stabile, difficoltà che un Dpcm non ha perchè si tratta di un’azione delegata. Il parlamento deve riprendere il suo ruolo di rappresentanza del paese. È vero che questo parlamento è il frutto di una legge elettorale che lo ha separato largamente dalla rappresentanza dei cittadini, tuttavia è lecito attendersi malgrado questo difetto originale una maggiore consapevolezza sul ruolo dei singoli parlamentari e della Camera e del Senato. La pandemia non giustifica tutto e comunque non può giustificare modalità eccezionali per periodi lunghi, per questo occorre puntare ad un percorso di rientro nella normale dialettica tra le istituzioni, i loro ruoli, che è fondamento della democrazia.
Altrimenti si può diffondere un veleno che potrebbe mettere in discussione il ruolo stesso del parlamento che nella nostra Costituzione è architrave del sistema istituzionale, con conseguenza che non è difficile immaginare. Non possiamo dimenticare che pende tuttora il referendum costituzionale sul taglio del parlamento, per ora rinviato all’autunno, che deve decidere proprio sul ruolo del parlamento in Italia. È vero che le urla di Salvini e Meloni sulla democrazia in pericolo sono strumentali e non credibili, tuttavia in un paese colpito dalla pandemia e dal contraccolpo di una crisi economica e sociale senza precedenti dal dopoguerra lo smarrimento è forte e anche chi non condivide la strumentalità ha bisogno di risposte politiche e di interventi rapidi. Ad esempio la strumentalità non compensa i ritardi, che esistono, nell’applicazione delle misure di sostegno al reddito, alle imprese. La fase di avvio della chiusura delle attività ha dovuto fare i conti con novità e quantità che non hanno precedenti, questo va ricordato, ora tuttavia occorre fare funzionare le misure di sostegno con la massima rapidità possibile. Conte avrebbe dovuto dedicare più attenzione a questo aspetto davanti alle Camere.
Occorre fare corrispondere gli impegni ai fatti, al massimo possibile. Forse è troppo dire con il Manzoni che “il fulmine tenea dietro al baleno”, tuttavia un disagio diffuso per i ritardi, la sensazione di essere abbandonati può accumulare un risentimento sociale sordo e pericoloso. Inoltre la polemica sguaiata della destra sovranista contro il governo punta a coprire il clamore dei comportamenti di regioni come la Lombardia e rappresenta una sorta di preparazione di un assalto che sarà molto più pesante tra qualche settimana in occasione delle decisioni che il parlamento dovrà adottare sull’adozione degli strumenti europei di sostegno ai paesi più colpiti dalla pandemia e in crisi economica. Far montare la protesta e il malcontento rappresenta una sorta di esercitazione sovranista in vista dello scontro finale, o almeno di quello che essi sperano diventerà tale. Togliere argomenti è giusto anzitutto perché vuol dire risolvere i problemi ma nello stesso tempo è importante perché eviterebbe all’Italia una fibrillazione politica pericolosa.
Sure, Bei, Mes, interventi della BCE, Recovery fund sono fondamentali per affrontare una crisi senza precedenti. Se saranno strumenti di un sostegno reale ai paesi più esposti il risultato potrà essere positivo e quindi è importante arrivare presto ad una soluzione. Va aggiunto che l’Italia non può e non deve solo restare in attesa delle misure europee, per quanto importanti, ma deve avviare un proprio progetto di ripresa economica che non è fatto solo di riaprire quello che è rimasto di ciò che avevamo prima, già abbastanza ammaccato. Solo un intervento pubblico programmatico può decidere investimenti in settori di punta come l’innovazione tecnologica, la sistemazione del territorio, la salvaguardia dell’ambiente, la riparazione di infrastrutture che crollano, il rientro del decentramento produttivo dall’estero, una revisione della tassazione che trasferisca dai ricchi a chi ha bisogno, dalla rendita al produttivo, una gestione del debito pubblico che copiando l’esperienza tedesca costruisca una società pubblica con il compito di tenere più bassi possibili i tassi sul debito, cercando di tenere sotto controllo lo spread. Occorre coraggio e respiro politico, altrimenti il logoramento potrebbe diventare per il Governo insostenibile.
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