SCAFFALE. «I non rappresentati. Esclusi, arrabbiati, disillusi» di Valentina Pazé, pubblicato da Ega
«Tra rappresentanza e democrazia è in corso un divorzio»: è netto il giudizio espresso da Valentina Pazé nel suo ultimo libro, I non rappresentati. Esclusi, arrabbiati, disillusi (Ega, Edizioni Gruppo Abele pp. 144, euro 14), un’incalzante riflessione sulla crisi della partecipazione collettiva: probabilmente, il male principale della politica contemporanea.
Democratico – argomenta l’autrice – è il sistema in cui tutti coloro che sono tenuti a obbedire alle leggi (in quanto sudditi) hanno il diritto di contribuire, direttamente o indirettamente, alla loro elaborazione (in quanto cittadini). È questa la ragione per cui i non rappresentati, a cui è intitolato il libro, mettono in crisi il paradigma democratico.
MA, CHI SONO i non rappresentati? L’autrice distingue tre categorie: coloro cui è negato il diritto di voto (gli esclusi di diritto); coloro che sono privati di rappresentanti dal sistema elettorale (gli esclusi di fatto); coloro che si astengono (gli autoesclusi).
Esclusi di diritto sono gli stranieri. Ma perché sono esclusi? «Ciò su cui mi sembra interessante riflettere – scrive Pazé – è l’assenza di qualsivoglia motivazione a sostegno di questo tipo di esclusione». Se in passato le esclusioni di diritto dei poveri e delle donne erano motivate da incapacità (stato di minorità), dipendenza (dai datori di lavoro o dai mariti), disinteresse (dal momento che si riteneva che cuore della decisione politica fosse la proprietà), già in Aristotele l’esclusione degli stranieri rimane immotivata: esattamente com’è oggi.
Gli esclusi di fatto sono tali per effetto della forma di governo e della legge elettorale. A produrre esclusione sono il presidenzialismo e il maggioritario; generano invece inclusione i sistemi parlamentari a rappresentanza proporzionale. Più in generale, a incidere sulla torsione escludente dei sistemi costituzionali è la polemica contro i partiti, che in Italia si è espressa, e si esprime, in due filoni: l’antipartitismo, che dall’Uomo qualunque arriva al Movimento 5 Stelle; e la democrazia d’investitura, che dalla «grande riforma» di Amato e Craxi arriva all’odierno premierato.
INFINE, GLI AUTOESCLUSI, vale a dire gli astenuti, in relazione ai quali la questione è se siano tali davvero per loro scelta. L’astensione è un fenomeno alimentato da sentimenti politici diversissimi: alcuni si astengono per apatia, altri, all’opposto, per protesta. È un fatto, tuttavia, che la gran parte dei non votanti siano persone socialmente svantaggiate. A colpire – afferma Pazé – è soprattutto «il fatto, per molti versi sorprendente e paradossale, che coloro che oggi sembrano non volere essere rappresentati corrispondono, ormai da qualche decennio, a coloro a cui un tempo la partecipazione era negata» di diritto. Per i titolari del potere, è tutt’altro che un problema.
LE TESI DI STUART MILL sul voto plurimo, la polemica di Schumpeter contro il «cittadino medio», il rapporto alla Trilateral Commission sull’«eccesso di democrazia» si sposano perfettamente con la visione degli odierni fautori della tecnocrazia neoliberista, per i quali è compito dei «migliori» proteggere il popolo dai suoi stessi errori.
Per combattere questa deriva sarebbe necessario ricostruire forme di aggregazione politica capaci di produrre inclusione sociale, così come un tempo la producevano i partiti, ma ad agire da ostacolo – spiega Pazé – è il «singolarismo radicale», versione estrema dell’individualismo che, reclamando immediatezza contro il compromesso e l’intermediazione, risulta naturalmente esposto alle sirene della democrazia diretta, del sorteggio, della democrazia partecipativa e simili. Il risultato è il proliferare di rivendicazioni microidentitarie, incentrate sul sé, mentre oggetto di rifiuto è la dimensione politica incentrata sul collettivo.
Ricostruire la dimensione sovraindividuale è la sfida: il punto è tornare a comprendere che la politica non può limitarsi a registrare le istanze provenienti dalle singole componenti della società (cosa che, pure, oggi sarebbe già molto), ma deve ricominciare a elaborare identità sovraindividuali in cui le persone possano trovare coscienza che i problemi che le riguardano hanno natura collettiva e sono, dunque, bisognosi di soluzioni collettive