INTERVISTA. Gianfranco Viesti, economista all'università di Bari, tra i principali critici della "secessione dei ricchi" e promotore della proposta di legge contro il progetto Calderoli: "Le destre creeranno un’Italia irriconoscibile: un potere statale ridotto al lumicino e città schiacciate da Regioni-stato che andrebbero ciascuna per conto proprio"
Gianfranco Viesti (Università di Bari)
Gianfranco Viesti, economista dell’Università di Bari, lei è uno dei principali critici dell’«autonomia differenziata». Sulla rivista «Il Mulino» ha scritto un articolo in cui sostiene che il Pd è responsabile quanto la Lega della «secessione dei ricchi». Perché?
Cerco di avere un atteggiamento costruttivo e auspico che il futuro sia diverso dal passato. Però se guardo al passato vedo un ruolo decisivo dell’Emilia Romagna, e del suo presidente Stefano Bonaccini, oggi candidato alla segreteria del Pd, nel fare diventare le richieste estreme del Veneto e della Lombardia, governate dai leghisti, una materia su cui discutere seriamente. Ho ricostruito nel dettaglio queste vicende dal 2017 a oggi. Da allora il Pd ha molte difficoltà a esprimersi su un tema di assoluta rilevanza politica. Sicuramente al suo interno ci sono idee anche molto diverse. Io non partecipo alle loro vicende congressuali e ho rispetto dell’importanza della discussione in corso. Ma mi auguro che prendano una posizione forte e unitaria su una questione che interessa il futuro della scuola e dell’università, della sanità e dei trasporti, delle politiche ambientali, dell’energia o dei beni culturali. Decidere chi fa queste politiche significa dire quale Italia si vuole.
In cosa si differenzia la proposta di Bonaccini da quella leghista di Calderoli?
Prendo atto con piacere che Bonaccini dichiari di non volere, al contrario di altre regioni, più risorse a danno di altri territori. E non vuole regionalizzare la scuola. Però nelle carte trovo tanti riferimenti anche per l’Emilia a fondi speciali.
Cosa sono?
Vorrei saperlo anch’io. Cosa si intende per «fondo integrativo per il personale sanitario»? La sostanza è proprio nei dettagli. E finora l’Emilia ha accettato la logica per cui si fanno intese generali e poi la definizione dei dettagli è demandata a commissioni paritetiche Stato-regioni.
E chiede per sé molte competenze…
Sì, non sono tutte, ma sono molto pesanti. L’Emilia Romagna vuole la regionalizzazione dei musei statali, ad esempio. Cosa accadrebbe se lo facesse anche il Lazio? Ci piacerebbe un paese senza una rete di istituzioni culturali nazionali?
Bonaccini le ha risposto su twitter che ha la posizione del Pd. Peppe Provenzano ha ribattuto che non è così: il Pd ha criticato le pre-intese del 2018 e il lavoro del «Conte 1». E sono d’accordo sulla definizione dei Lep. Elly Schlein, l’ex vice di Bonaccini e candidata alla segreteria Pd, ha detto che vogliono discuterne in Parlamento. Invece di un’autonomia diversamente differenziata non dovrebbero opporsi all’intero progetto?
Secondo me sì. Un conto è parlare di decentrare alcune competenze amministrative; ma allora ci si deve chiedere: perché solo ad alcune regioni? Se invece parliamo, come in questo caso, di competenze legislative, allora il discorso cambia. Davvero vogliamo dare alle regioni potere sovrano sulle politiche energetiche? O cancellare quello che resta del Servizio sanitario nazionale?
Ha capito che tipo di regionalismo vuole il Pd?
Di base, da una forza di centro-sinistra, mi aspetterei un regionalismo bene organizzato, equilibrato, e una battaglia per fare funzionare lo Stato. Prima di parlare di differenziazione, bisognerebbe mettere a posto il regionalismo varato nel 2001. Funziona malissimo. Mancano le leggi cornice che sono compito dello Stato. Tutta la parte finanziaria è inattuata. Ci vuole una riflessione sul riparto delle competenze. Penso alle grandi infrastrutture di rete e all’energia per cominciare. Le proposte sull’autonomia, e oggi il testo di Calderoli, non risolvono questi problemi e ne aggiungono altri.
Se passasse il progetto delle destre che tipo di paese avremo?
Sarà irriconoscibile, diverso da qualsiasi altro nel mondo, con un potere statale ridotto al lumicino, le città schiacciate dalle regioni e Regioni-stato che andrebbero ciascuna per conto proprio.
Ci sarà lo scambio tra Meloni che vuole il presidenzialismo, e i leghisti che si giocano tutto sull’autonomia?
Lo vedremo. Storicamente hanno visioni quasi opposte. Non dimentichiamo che nel 2014 Giorgia Meloni è stata prima firmataria di un progetto di legge di riforma costituzionale che voleva abolire le regioni.
Lei è uno dei promotori della proposta di legge di iniziativa popolare di riforma degli articoli 116 e 117 della Costituzione. In cosa consiste, perché firmarla e a cosa servirà?
Ho aderito all’iniziativa di Massimo Villone. Firmarla serve per costringere il Parlamento a discuterne, animare il dibattito politico su questi temi che è sopito per intelligente scelta dei cosiddetti secessionisti. Gli italiani infatti non ne sanno niente e loro su questo ci marciano. Nel merito la proposta tende non a cancellare il terzo comma dell’articolo 116 ma a introdurre due principi importanti: ci deve essere una motivazione chiara del perché una regione chiede una competenza specifica; bisogna lasciare la parola finale agli italiani prevedendo la possibilità di un referendum. Oggi è impossibile.
Perché?
Questa legge è rinforzata. Significa che non può essere oggetto di consultazione popolare, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale. Se il Parlamento ratifica un’intesa grazie al testo Calderoli l’autonomia differenziata sarà irreversibile. Pensiamoci