Dove ci sarebbe da riformare si sceglie di “deformare".
Il triste caso dell’elezione dei giudici della Corte Costituzionale.
Una premessa: lo spettacolo di questi giorni, il Parlamento in seduta comune che dopo 28 votazioni non riesce ancora ad eleggere tre giudici della Corte Costituzionale (ben 3, dovrebbe essere più facile in una logica spartitoria!), viene presentato come una dimostrazione dell’incapacità del Parlamento e porta acqua al mulino del discredito delle istituzioni parlamentari e della rappresentanza dei cittadini.
È invece l’ennesima dimostrazione dell’arroganza del Governo e del redivivo patto del Nazareno, cioè dell’abusiva (dato che deriva dal Porcellum dichiarato incostituzionale) maggioranza renziana + le truppe di Berlusconi sgangherate sì, ma sempre pronte al supporto in cambio di qualche elemosina di potere.
Vediamo un po’, la Costituzione richiede una maggioranza “qualificata” dei componenti dei 2/3 nei primi 2 scrutini e dei 3/5 nei successivi.
Insomma, ben consapevoli dei rischi di politicizzazione spinta dei membri di nomina parlamentare (gli altri 10 li nominano il PdR e la magistratura) i costituenti avevano richiesto un largo consenso parlamentare allo scopo, se non altro, di garantire un’equa distribuzione degli orientamenti politici o giurisprudenziali dei nuovi giudici. Poi, se il dissidio è profondo o il Parlamento molto frammentato si ripiega (i 3/5) su di un consenso più ridotto, ma sempre più ampio di una semplice maggioranza di governo. Pensate che quando la Costituzione (1948) e l’ultima legge costituzionale che regola la materia (1967) furono scritte vigeva ed era considerata scontata una legge elettorale pienamente proporzionale: insomma i 3/5 dei parlamentari volevano dire proprio circa i 3/5 degli lettori, che per parte loro, andavano a votare in massa alle politiche (affluenza di circa o più dell’80%.
E così, giusto per fare la parte degli arroganti, Renzi – Verdini – Berlusconi nemmeno li consultano quelli che in parlamento rappresentano più del 35% degli elettori e cercano di imporre una spartizione dei posti che gode dell’appoggio di misura dei 3/5 dei parlamentari.
C’è da stupirsi allora che non si riesca ad eleggerli? E di chi è la colpa? Tanto più se si presentano candidati che proprio asettici non sembrano: Paolo Sisto è parlamentare ed è stato relatore
nella Commissione Affari Costituzionali (quella delle Riforme costituzionali) Pitruzzella, che si è ritirato, è iscritto nel registro degli indagati a Catania, Barbera è un costituzionalista con un curriculum di tutto rispetto, ma, guarda caso, è uno dei pochi costituzionalisti di primo livello che si è proposto come pasdaran delle Riforma Boschi-Renzi della Costituzione!
Su quei nomi, è evidente a tutti, l’accordo tiene solo in una logica puramente spartitoria;: che gli altri non ci stiano mi sembra il minimo (altrimenti sorgerebbe il sospetto di occulte contropartite o peggio …) e se qualcuno dei potenziali contraenti del patto pensa di non guadagnarci nulla è ovvio che quei nomi non passeranno.
Colpa del Parlamento?
Eppure in questo punto qualcosa che non va c’è di sicuro. La previsione costituzionale di una Corte super partes, organo di inevitabile rilevanza politica, ma di formazione tecnica ed istituzionale rischia di scontrarsi con una composizione del parlamento distorta da leggi elettorali ultramaggioritarie (porcellum e ancor peggio forse italicum) e soprattutto con la degenerazione del sistema politico nelle mani di capi e capetti e nell’astensionismo di massa degli elettori.
Lo sappiamo tutti perché la partita è così importante: la Corte dovrà giudicare presto la costituzionalità dell’Italicum e forse di alcune norme della stessa riforma costituzionale. Per Renzi piuttosto che adeguare quelle alla Costituzione è meglio adeguare la Corte Costituzionale alle proprie esigenze!
Avendo deciso di metter mano alla Costituzione (ahimè sarebbe meglio dire di manomettere la Costituzione) un intervento ragionato sull’elezione della Corte sarebbe stato opportuno. Ma in quale direzione? Quella di garantirne appunto il ruolo più tecnico che politico e quello di sottrarla alle tirate di giacchetta alle quali non fu certo estraneo Berlusconi ed anche, forse in modo un po’ più soft, ma mica tanto, Renzi.
Si poteva quindi magari stabilire requisiti personali più stringenti, una assoluta ineleggibilità a chi è stato deputato o senatore o consigliere regionale nei precedenti 20 anni, o magari anche coinvolgere le Regioni, ma attraverso i governi regionali, e cioè garantendo l’appoggio di un vasto numero di Regioni ad una candidatura, prevedere un vaglio pubblico delle candidature, oppure perfino modificando a favore degli altri 2 grandi elettori la composizione della Corte. Di possibilità da analizzare con cura e valutare nel merito ce ne potrebbero essere tante, basta che sia chiaro qual è il problema: non l’incapacità del parlamento ma il rischio di politicizzazione della Corte.
E invece? Nella riforma costituzionale in corso di approvazione non c’è nessuna riflessione sulla Corte, anzi c’è un bel pasticcio. La Camera dei deputati eleggerà da sola 3 giudici, e così il Governo con le maggioranze ultra garantite alla miglior minoranza, potrà avere 2 giudici sicuri concedendone 1 ad una minoranza a sua scelta. Altri 2 li manderà alla Consulta il Senato che, con la situazione attuale nelle Regioni e nei Comuni, darebbe al Pd quasi i 2/3 dei senatori consiglieri regionali e sindaci.
In questo modo la politicizzazione della Corte e la sua trasformazione in pura emanazione della maggioranza di Governo sarebbe cosa fatta! Alla faccia del ruolo di “garanzia” che la Corte costituzionale dovrebbe svolgere nell’impianto originario della nostra Carta fondamentale.
Insomma ancora una volta siamo di fronte ad un tentativo esplicito di deformare e non di riformare la Costituzione.
Alessandro Messina