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Le disuguaglianze ereditate (famiglia, genere, territorio, etnia) hanno un impatto maggiore sulle opportunità. A dirlo lo studio dei ricercatori Uniba e Lse

dan-meyers / unsplash dan-meyers / unsplash

L’Italia è uno dei Paesi occidentali dove le disuguaglianze ereditate hanno un impatto più forte che altrove. Famiglia, genere, regione in cui si vive, colore della pelle sono fattori di partenza che incidono in modo straordinario sulle opportunità delle persone. Hanno in comune la circostanza di essere ereditati, cioè di essere fuori dal controllo degli individui, e giustificano insieme quasi il 40 per cento dei divari di reddito. Un livello maggiore rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Germania, Danimarca, che ci inchioda alla stessa situazione di 20 anni fa.

DATA BASE INTERNAZIONALE

A rivelarlo è il data base internazionale “Global estimates of opportunity and mobility”, un progetto frutto di un decennio di lavoro svolto da un gruppo di ricercatori dell’università di Bari e della London School of Economics, che hanno messo sotto la lente la mobilità intergenerazionale e le disuguaglianze in 70 Paesi.

Secondo il Geom, che è accessibile online, alle disuguaglianze dei redditi si aggiungono quelle territoriali, quelle nell’istruzione e nella salute in questo caso sempre crescenti e legate a nascita e contesto. Unico ambito in cui l’Italia, come altri Paesi europei, ha registrato un processo di progressiva uguaglianza delle opportunità è quello dell’accesso all’istruzione. Un dato positivo che non è bastato a migliorare la mobilità tra generazioni sul fronte del reddito.

DISUGUAGLIANZE ED EQUITÀ

“Il data base Geom – spiega Vito Peragine, direttore del dipartimento di economia e finanza dell’università di Bari e componente del gruppo di ricerca – si focalizza sulle disuguaglianze ereditate perché si ritiene che queste siano le più rilevanti dal punto di vista etico, di giustizia sociale e di equità. Inoltre, sono anche le più nocive per la crescita e per il funzionamento del mercato e dell’economia”.

La gestazione è stata lunga. I ricercatori hanno utilizzato più di 160 banche dati diverse con dati disomogenei e senza coerenza. Il lavoro più difficile è stato rendere comparabili le stime. Il risultato è il primo database con numeri e valutazioni confrontabili.

DAL SUDAFRICA AL NORD EUROPA

“Il Paese dove le disuguaglianze sono maggiori è il Sudafrica, e questa non è una sorpresa – riprende Peragine -, come pure molti altri Paesi dell’Africa e del Sud America. In Occidente, gli Usa sono il Paese dove sono più forti le disuguaglianze delle opportunità, al di là della retorica, mentre gli Stati del Nord Europa sono quelli più egualitari”.

Secondo il Wold Inequality Database, negli Usa dal 1980 al 2022 l’1 per cento più ricco della popolazione ha raddoppiato il suo reddito passando dal 10 al 20 per cento, mentre l’1 per cento più ricco al mondo è passato dal 16 al 20 per cento di reddito.

Stesso trend in Italia dove negli stessi anni l’1 per cento più ricco della popolazione ha visto aumentare il suo reddito dal 5 al 14 (e la ricchezza dal 13 al 22). Tendenza opposta per il 50 per cento più povero, che ha visto abbassarsi il reddito dal 22 al 15 e la ricchezza dal 12 al 2 per cento nello stesso arco di tempo.

CRESCITA FERMA

“La ricerca dimostra che in Italia l’ascensore sociale è bloccato, che c’è meno mobilità rispetto ad altri Paesi occidentali – prosegue il professore dell’Uniba -. Geom guarda oltre il condizionamento rappresentato dalla famiglia di appartenenza, che è una delle circostanze ereditate, anche se piuttosto determinante. Sebbene negli ultimi decenni ci sia stato un miglioramento delle disuguaglianze di genere, che tuttora ci sono, dagli anni Settanta in poi si è registrato un generale peggioramento, dovuto soprattutto a fattori territoriali. D’altra parte la nostra crescita è ferma da trent’anni e in un’economia che non cresce è difficile che ci sia un ascensore sociale che funziona. Non è solo una questione di distribuzione di risorse, ma di investimenti su produttività e innovazione”.

LE PROPOSTE DEGLI ESPERTI

Per questo, oltre cento docenti di prestigiose università, da New York a Tel Aviv, da Parigi a Stoccolma, e in Italia Milano, Bologna, Trento, in convegno a Bari hanno lanciato un appello ai leader del G7 con una serie di proposte.

Sono quattro gli ambiti in cui bisognerebbe intervenire secondo i ricercatori: l’istruzione, che necessita di investimenti a tutti i livelli, soprattutto nella scuola primaria dove c’è maggiore inadeguatezza e nella terziaria. L’Italia è uno dei Paesi avanzati con il più basso tasso di laureati. Il secondo è quello del genere: studi sui divari ci dicono che questi sono dovuti principalmente alla maternità.

Terzo, le migrazioni: tra le disuguaglianze crescenti ci sono quelle tra i nativi e gli immigrati, la risposta sono le politiche dell’accoglienza e dell’integrazione, che renderebbero più efficiente ed equa l’economia, e si sposerebbero con un andamento democratico del Paese. Quarto: le politiche di coesione tra i territori.

IL MALE DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

“Della legge sull’autonomia differenziata penso tutto il male possibile – conclude Peragine -, perché credo che porterà danni sia alle popolazioni del Sud che a quelle del Nord, generando inefficienze e iniquità in tutta la Penisola. Potranno giovarsene solo le classi politiche locali, il cui interesse non è necessariamente allineato a quello delle popolazioni locali. Si affidano funzioni a livelli che non sono pronti a svolgere quei compiti e si creerà una babele di legislazioni e di burocrazia che non gioverà a nessuno”.