Comunicato stampa
Il dibattito sul riordino dei presidi ospedalieri nell’ambito dell’Ausl Romagna registra di quando in quando interessanti interventi, ma nel suo insieme appare frammentario e inadeguato rispetto alla rilevanza del tema. Ci pare, innanzi tutto, che non colga due dati ineludibili:
1 – il sistema sanitario è oggetto di un evidente processo di privatizzazione che, di fatto, sta determinando la possibilità di accedere alla prevenzione e alle cure sulla base del reddito e non di un diritto universale. Va in effetti profilandosi un assetto a due facce, con la parte pubblica sempre meno efficiente e riservata alle categorie sociali più deboli. Ciò avviene mentre si assiste ad un progressivo aumento delle malattie croniche (ipertensione, diabete, patologie cardiovascolari, tumori, disturbi cognitivi), dovuto anche all’invecchiamento della popolazione, e mentre si sta smantellando uno dei fattori che qualificavano la sanità nel nostro Paese: la prevenzione. Il decreto sulla “appropriatezza prescrittiva”, a ragione contestato dai medici, non è che un aspetto di questa politica;
2 – i pesantissimi effetti della crisi (con la chiusura di molte aziende, la perdita di posti di lavoro, la precarietà, l’estendersi di aree di povertà, il diffuso senso di insicurezza e di smarrimento), determinano un contesto che rende necessari maggiori protezioni sociali e servizi prossimi e inclusivi. Non cogliamo segnali di attenzione in questo senso. Anzi, resta tuttora senza risposta la richiesta più volte avanzata da parte de “L’Altra Faenza” di attivare un osservatorio in grado di monitorare le dinamiche economiche e dell’occupazione e quindi gli effettivi bisogni dei faentini, anche sul versante dei servizi socio sanitari.
Riassumiamo, in premessa, i riferimenti contenuti nel “decreto Balduzzi” (proposta di Giunta della Regione Emilia Romagna 2189/2015) a proposito dell’assistenza ospedaliera e dei possibili effetti per il faentino:
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numero di posti letto al 3,7/mille, incrementato al 3,9/mille per mobilità attiva (utenza proveniente da altri territori): allo stato attuale non si prevedono ulteriori riduzioni di posti letto a carico dell’ospedale di Faenza, ma poiché si prende a riferimento l’Area vasta Romagna, si tratta di verificare la situazione nei singoli presidi;
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indicatore del tasso di ospedalizzazione: anche in questo caso è indicato il dato riferito all’Area vasta Romagna;
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indicatore OM (occupazione media) dei posti letto: Faenza risulta nella media alta con l’85,2%;
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indicatore bacino di utenza: il dato è ancora indicato, in via temporanea, sulla base degli ex Distretti, con Faenza che dispone di un bacino attorno agli 85mila utenti;
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indicatore volumi ed esiti: vengono calcolati prendendo a riferimento l’Area vasta Romagna.
Ciò chiarito, quale futuro si prospetta per l’ospedale di Faenza?
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si può rientrare nell’obiettivo del 3,7/mille dei posti letto riconvertendo i posti del Day hospital in prestazioni ambulatoriali, soprattutto per la rete oncologica; andrebbe tuttavia garantita l’esenzione dal pagamento del ticket;
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la Regione ha fino ad oggi evitato la classificazione degli ospedali, tuttavia resta concreto il rischio che i presidi di Faenza e di Lugo vengano considerati Ospedali di Base, vale a dire dotati unicamente di reparti tali da giustificare la presenza del Pronto soccorso (chirurgia generale, medicina, ortopedia, anestesia), con la scomparsa di tutte le altre specialistiche (rianimazione, neurologia, oncologia, cardiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, neonatalità, pediatria, ecc.);
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appare evidente che ciò significherebbe un’ulteriore gravissima dequalificazione del nostro ospedale, rendendo più aleatori - ovvero improbabili - gli investimenti in strutture e in dotazioni strumentali e tecnologiche, oltre a provocare un’inevitabile minor presenza di professionisti e una consistente diminuzione di posti di lavoro;
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una prospettiva simile porrebbe i faentini, e gli utenti di altri Comuni che gravitano sull’ospedale di Faenza, nella necessità di decidere a quale struttura ospedaliera di primo livello o specializzato fare riferimento. Su questo argomento, importante e delicatissimo, le opinioni appaiono discordi, mentre permangono difficoltà nel potersi rivolgersi a tutte le strutture dell’Area vasta per accertamenti diagnostici e visite specialistiche. Il direttore generale dell’Ausl Romagna, Marcello Tonini, non esclude che ci si possa orientare verso Forlì (Vecchiazzano); nei mesi scorsi le coordinatrici del Pd della Romagna faentina e della Bassa Romagna, pur sollecitando la nomina del direttore sanitario e l’assegnazione dei primari, hanno insistito perché Faenza e Lugo facciano riferimento all’ospedale di Ravenna per prestazioni specialistiche di alto livello.
“L’Altra Faenza” considera inaccettabile la “politica del carciofo” in atto ormai da troppo tempo, tradottasi in un progressivo depauperamento di quello che era unanimemente considerato un buon ospedale. Chi governa la sanità in ambito locale – amministratori, politici e tecnici – deve chiarire in termini certi e impegnativi cosa si intende farne, così da consentire alle popolazioni interessate di conoscere – com’è loro diritto – e di giudicare.
Se la decisione non può prescindere da valutazioni di ordine economico, al tempo stesso essa deve puntare al migliore utilizzo delle strutture, delle strumentazioni e delle professionalità esistenti. Deve inoltre tener conto del bacino d’utenza che gravita sul presidio ospedaliero di Faenza così da non esporre migliaia di persone, in particolare quelle residenti nei Comuni collinari, a evidenti disagi, a maggiori costi e a rischi qualora dovessero rivolgersi a strutture distanti decine e decine di chilometri.
Dell’ospedale di Faenza non va inoltre sottovalutata la positiva configurazione strutturale, tale – a differenza di altri – da consentire interventi rapidi da parte degli specialisti nei casi di urgenze. E’ superfluo a tale proposito ricordare che pochi minuti possono fare la differenza fra la vita e la morte.
La strada percorribile per impedire un declassamento dell’ospedale al rango di struttura di base, con le conseguenze sopra richiamate, è un accordo con Lugo che renda possibile disporre sui due territori (con oltre 200 mila abitanti, ai quali va aggiunta la mobilità attiva) di un ospedale di primo livello articolato su due presidi, quello di Faenza e quello di Lugo.
Le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil della nostra provincia si sono già pronunciate in tal senso. “L’Altra Faenza” condivide e sostiene questa ipotesi. Perché essa si concretizzi è necessario un impegno coerente dei sindaci dei due comprensori, in primo luogo di quelli delle due città più grandi, in sede di Conferenza sanitaria.
Quanto alla possibilità di rivolgersi a strutture in grado di fornire prestazioni di alto livello, dev’essere chiaro a tutti che i cittadini sono e devono essere liberi di scegliere se andare a Ravenna, a Forlì, a Bologna o altrove. E che debbono poter avvalersi comunque del trasporto gratuito da parte del Servizio sanitario.
In ogni caso, le situazioni nuove che vanno configurandosi implicano di fatto il superamento dei vecchi Distretti socio-sanitari.
Punto nevralgico dell’ospedale è il Pronto soccorso. I lavori in corso per il suo ampliamento, stando alle dichiarazioni rese al momento dell’avvio del cantiere, stanno prolungandosi ben oltre i tempi previsti. E’ necessario procedere speditamente affinché possano essere superate situazioni inaccettabili: tempi di attesa che per un codice Verde raggiungono e superano le dieci ore, pazienti in barella spesso sofferenti parcheggiati nei corridoi in condizioni di scarso rispetto sul piano umano e della riservatezza, spazi di accoglienza e servizi inadeguati. All’adeguamento strutturale dovranno dunque accompagnarsi l’assegnazione di personale medico e paramedico e le opportune misure organizzative. Rientra in questo quadro la necessità di alleggerire la domanda di prestazioni che si riversa quotidianamente sul Pronto soccorso, attraverso il potenziamento della Guardia medica (anche dotandola di strumentazioni), attivando la Casa della salute e promuovendo un’informazione costante e puntuale che metta in condizione gli utenti di sapere a chi rivolgersi: medico di base, Casa della salute, Guardia medica, Pronto soccorso.
A monte di tutto, il nodo centrale resta la difesa dell’ospedale di Faenza – pur nell’ambito della riorganizzazione dei presidi e del raggiungimento degli obiettivi proposti dalla Regione – per ciò che rappresenta in termini di servizio, di dotazioni, di posti di lavoro e di professionalità.
Dobbiamo rilevare – altri l’hanno già fatto – come in occasione del decesso nei mesi scorsi di un nascituro nel punto nascita di Faenza, si sia dato spazio impropriamente a versioni che finivano per mettere sotto accusa l’affidabilità della struttura e il comportamento del personale. In realtà il punto nascita di Faenza risulta in linea con le statistiche in ambito romagnolo per questi infausti episodi.
La sensazione, piuttosto, è che si sia voluto cogliere l’occasione per alimentare un clima di sfiducia tale da far ritenere preferibile, o comunque accettabile, la chiusura del punto nascita a Faenza. I rischi sarebbero forse minori se un parto in emergenza dovesse essere portato a termine a 40 o 50 km di distanza?