Parlamento all'oscuro Domani la riunione "tecnica" decisiva: i Lep disegnati per favorire le disuguaglianze
Che fine ha fatto l’autonomia differenziata? Il disegno di legge Calderoli è stato approvato a fine giugno, ma non si hanno notizie delle trattative tra le Regioni che hanno guidato la campagna autonomista e il governo, comunque ben intenzionato (almeno nella parte leghista) a fare concessioni. Eppure il presidente del Veneto Luca Zaia aveva detto e ripetuto che avrebbe chiesto la devoluzione «il giorno dopo» l’approvazione definitiva della legge Calderoli. Cosa possibile almeno per le materie non soggette ai famosi “Lep”, cioè i Livelli essenziali delle prestazioni alla definizione dei quali sta lavorando ormai da marzo 2023 un Comitato presieduto da Sabino Cassese che avrebbe anche finito i suoi lavori, ma che è stato prorogato. Mancava infatti la parte fondamentale, la definizione economica di questi «livelli» che sono il cuore di tutta la riforma visto che lo stato centrale una volta chiuso il cerchio della riforma si impegnerà a garantire solo quelli, almeno nelle regioni che avranno meno risorse per andare oltre l’«essenziale».
C’È UNA RAGIONE per la quale languono le trattative tra le regioni aspiranti autonomiste e lo stato, ed è che un’accelerazione nei mesi in cui sono state raccolte le firme per il referendum abrogativo della legge Calderoli avrebbe finito per dare slancio alla campagna di chi si oppone all’autonomia. Questo non vuol dire che tutto sia rimasto fermo, le cose importanti com’è noto vanno avanti sottotraccia.
Così siamo già arrivati a un passaggio fondamentale: domani dopo parecchio tempo tornerà a riunirsi il Comitato Cassese per ascoltare le proposte della Commissione tecnica sui fabbisogni standard. L’autonomia differenziata è infatti anche un gioco di scatole cinesi dove i protagonisti si sovrappongono e si nascondono dietro acronimi, restando tutti fondamentalmente d’accordo e soprattutto al riparo dal controllo del parlamento e dell’opinione pubblica.
La Commissione tecnica sui fabbisogni standard (Ctfs), nominata dalla presidenza del Consiglio dei ministri, è un organo che precede la riforma Calderoli e negli anni è stata sempre presieduta da un economista (Alberto Zanardi, Luigi Marattin, Giampaolo Arachi tra gli ultimi), dall’aprile del 2023 (in concomitanza dunque con la nascita del Comitato Cassese) a guidarla è stata scelta invece la giurista Elena d’Orlando che è stata a lungo e contemporaneamente anche nella delegazione trattante del Veneto con la stato: proprio quella che negoziava i margini di autonomia. Di questa delegazione trattante scelta da Zaia fa ancora parte il professor Andrea Giovanardi, anche lui nella Commissione “tecnica” sui fabbisogni standard, inseme al segretario generale della giunta della Regione Lombardia (cioè di Attilio Fontana, l’altro campione dell’autonomismo spinto) Antonello Turturiello.
Non è finita qui, perché nel gioco di scatole cinesi il Comitato Cassese che è composto da una sessantina di membri ha nominato anche il «sottogruppo 12» con il compito di coordinarsi con la Commissione tecnica fabbisogni standard e anche di questo sottogruppo fa parte la professoressa d’Orlando, coordinante e coordinata al tempo stesso. Insieme a lei nella scatola cinese più piccola ci sono tra gli altri di nuovo Giovanardi e il costituzionalista Giovanni Guzzetta, consigliere giuridico del gabinetto Meloni.
SOTTOTRACCIA, tutti questi tecnici e consiglieri stanno dando forma concreta all’autonomia differenziata, proprio quando è invece sparita dal dibattito pubblico e soprattutto è nascosta al parlamento che, a questo punto, potrà solo prendere o lasciare le intese che deciderà di firmare il governo.
Domani la Commissione tecnica fabbisogni standard presenterà al Comitato Cassese le sue proposte per quantificare le risorse necessarie a finanziare le funzioni che saranno devolute alle Regioni e le conseguenti proposte per distribuirle sul territorio. Va ricordato che secondo la legge quadro Calderoli questa redistribuzione dovrebbe avvenire a costo zero, dunque quello che sarà aumentato a qualcuno dovrà essere tolto a qualcun altro, anche se i custodi del bilancio pubblico già alle prese con il ritorno dell’austerità europea sono preoccupatissimi che l’aumento dei centri di spesa finisca per mandare fuori controllo il conto economico dello Stato.
Le slide al centro della presentazione di oggi che il Ctfs ha anticipato ai componenti del Comitato Cassese – e che il manifesto conosce – hanno fatto cadere il velo dell’ipocrisia. È in questa sede “tecnica” che si stanno definendo realmente i confini delle prestazioni essenziali, rimasti assai vaghi al termine del lavoro dei saggi di Cassese. È dunque qui che si sta decidendo quale parte del paese sarà avvantaggiata e quale penalizzata dall’autonomia.
Indovinare chi ci perderà non è difficile.
Formalmente i tecnici dovrebbero solo stimare un fabbisogno finanziario per ognuna delle funzioni Lep e fissare di conseguenza il criterio di riparto delle risorse. Praticamente come attaccare un cartellino del prezzo a ogni servizio, cosa che però è impossibile fare se quel servizio non è ben definito. A meno che, contemporaneamente, non si proceda davvero alla sua precisa definizione. Facciamo un esempio, a proposito dell’istruzione e dell’educazione fisica nelle scuole. Il Lep si limita a dire che va riconosciuto il diritto a ricevere un’adeguata formazione sportiva. Ma quanto può “costare” questo diritto? Anche molto poco, potrebbero decidere i tecnici, assumendo che sia garantito dalla disponibilità, per ogni studente, di un metro quadrato all’aria aperta dove fare le flessioni. E tanto può bastare alle regioni “povere”, pazienza se poi quelle “ricche” vorranno garantire lo stesso diritto con cinque metri quadrati di palestra al coperto e attrezzata.
Non solo, sempre a proposito di istruzione il Comitato Cassese ha evitato di considerare il tempo pieno per gli studenti della primaria un livello «essenziale». Dunque potrà continuare a non essere garantito uniformemente sul territorio nazionale, malgrado rientri tra gli obiettivi del Pnrr.
C’È POI un altro problema. Nelle slide anticipate dalla Commissione d’Orlando compare a un certo punto tra le variabili utilizzate per stimare i fabbisogni regionali anche il «costo della vita». Che presumibilmente è assai più elevato a Milano che a Crotone, sempre per esempio. Oltre a essere un modo per far rientrare dalla finestra il criterio della spesa storica, penalizzante per il Sud e che dunque si è fatto formalmente uscire dalla porta, questa previsione buttata là in sede “tecnica” non è che un trucco per riportare di attualità il feticcio leghista delle gabbie salariali.
La spesa delle regioni, per qualunque funzione «essenziale», è prevalentemente la spesa per il personale che deve assicurarle, metterle in pratica. Dunque differenziare il fabbisogno regionale sulla base del costo della vita vuol dire molto semplicemente consentire che una regione “ricca” del Nord avrà diritto alle risorse necessarie a firmare contratti integrativi migliorativi per (esempio tratto da precedenti proposte leghiste) i suoi insegnanti.
Allo stesso risultato si potrà arrivare persino aggirando il problema dei Lep, visto che Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna nelle intese preliminari sottoscritte – siamo all’epoca del governo Gentiloni – hanno già chiesto di acquisire in proprio le competenze sugli organici e sul trattamento retributivo del personale sanitario e dell’istruzione. A cosa potranno mai servire livelli «essenziali» uguali per tutti, se poi il loro contenuto sarà striminzito e se chi lavorerà per garantirli potrà essere inquadrato e retribuito in maniera difforme da Regione a Regione?