Striscia di sangue. Pesanti raid su Gaza City, nuovo ordine di evacuazione a Beit Lahiya. L’Anp: «Preludio all’annessione». E dentro casa, il governo israeliano fa arrestare chi distribuisce volantini
Una donna ferita da un raid israeliano su Khan Younis - Ap/Mohammed Dahman
Tra i tanti rivoli dell’offensiva che Israele sta conducendo contro la popolazione di Gaza c’è anche la repressione interna. Se quella esercitata contro i palestinesi cittadini israeliani, fatta di censure, arresti e licenziamenti, è di fatto invisibile, a generare più imbarazzo agli occhi dell’opinione pubblica interna è il tentativo di silenziare le famiglie degli ostaggi e chi chiede l’accordo di scambio con Hamas.
Giovedì tre donne sono state arrestate e detenute per otto ore per aver poggiato dei volantini con appelli alla liberazione degli ostaggi sulle panche di una sinagoga a Herziliya. Ieri la polizia ha aperto un’inchiesta sulla condotta degli agenti che le hanno ammanettate.
DISSENTIRE non si può, il governo avanza come uno schiacciasassi a difesa di se stesso. Perché la questione degli ostaggi (101 quelli che si reputano sia ancora vivi) è la sola che fa traballare la coalizione di ultradestra e garantisce frecce all’arco di opposizioni altrimenti silenti, non il genocidio in corso a Gaza – di cui quella stessa opinione pubblica non parla – né i massacri che vanno in mondo visione.
Ieri a Gaza l’aviazione ha colpito due scuole. Ormai si è perso il conto. I video pubblicati sulle piattaforme social mostrano scene simili a quelle di stragi precedenti: soccorritori che a mani nude scavano tra le macerie della scuola Dar al-Arqam, a nord ovest di Gaza City, e in quella Shuhada al-Zeitoun, nella stessa città. In entrambi i casi ieri pomeriggio erano stati recuperati cinque corpi senza vita. E in entrambi i casi l’esercito israeliano ha detto di aver preso di mira centri di comando di Hamas usati per pianificare attacchi alle truppe di terra e per produrre ordigni.
Sempre a Gaza City la protezione civile ha recuperato undici cadaveri nel quartiere al-Tuffah, dopo un raid israeliano: erano tutti membri della famiglia Bustan, tra loro quattro bambini e tre donne, dice all’Afp il portavoce della protezione civile Mahmoud Basal. Solo ieri in tutta la Striscia si sono registrate almeno 64 vittime, che portano il bilancio accertato dal 7 ottobre a 41.182 (oltre 10mila dispersi, un numero che tende a restare stabile tra i cadaveri via via identificati e nuove vittime rimaste sotto le macerie).
Ad annunciare un nuovo ordine di evacuazione a nord è stato l’ormai noto Avichay Adraee, il portavoce dell’esercito per la lingua araba: i civili devono lasciare la zona orientale di Beit Lahiya, tre diversi quartieri. Si restringe così ulteriormente lo spazio dichiarato sicuro dalle forze di Tel Aviv, sebbene i mesi passati abbiano dimostrato come una simile etichetta sia quasi del tutto inutile: meno del 15% della Striscia ricade oggi nella classificazione «area umanitaria».
UNA LETTURA dei continui ordini di evacuazione emessi dall’esercito israeliano – nelle ultime settimane a cadenza quasi giornaliera – la dava ieri il ministero degli esteri dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) secondo cui «la cacciata di palestinesi dal nord di Gaza…prelude all’annessione di significative parti del territorio a fini di colonizzazione».
Nelle stesse ore a Didim, lungo la costa ovest turca, si tenevano i funerali della giovane attivista turco-statunitense dell’International Solidarity Movement, Aysenur Ezgi Eygi, uccisa una settimana fa da un cecchino israeliano a Beita, vicino Nablus. Dopo quella dell’Anp, è stata la Turchia a svolgere un’autopsia che conferma la prima: un colpo diretto e non di rimbalzo