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Siamo in Ucraina, ma il Donbass è lontano. La caccia ai renitenti alla leva non riguarda chi ha soldi da spendere. E chi era sfruttato in tempo di pace, continua a esserlo ora

 Odessa, la vista dalla Scalinata Potëmkine sul palazzo della Marina danneggiato da un missile russo - foto Viacheslav Onyshchenko/Sopa Images

 Odessa, campagna arruolamento: «Proteggiamo insieme l’Ucraina» Ap

C’è un sottile e incostante senso di fastidio che trasmettono alcune notti di Odessa, quando la corrente non è interrotta a causa dei bombardamenti russi. Troppe luci al neon, troppo rumore di pessima musica da discoteca, troppe promesse di divertimento a buon mercato. Alcol e night club, vestiti estivi appariscenti e scollati, locali nuovi dove i gestori sistemano le scritte luminose fornite da qualche marchio di superalcolici, suv costosi parcheggiati sui marciapiedi e bartender da speakeasy.

PASSI LO «SPIRITO di adattamento», capiamo «la vita che continua», accettiamo persino la tanto sbandierata «resilienza» degli hipster del pensiero. Ma c’è una guerra sanguinosa che si combatte nello stesso Paese, a qualche migliaio di chilometri, dove muoiono ogni giorno centinaia di persone, molte delle quali vengono anche da qui. Amici, fratelli, mariti, padri che portano sulle proprie spalle il peso di questa «voglia di normalità» e che in molti casi se lo portano nella tomba.

MORALISMO? Potrebbe darsi. Continuiamo a camminare. Una ragazza, fuori da un locale illuminato da grossi bulbi a incandescenza che si chiama Burlesque, invita a dare un’occhiata oltre le tende spesse viola. Ma non c’è il coprifuoco tra poco? La ragazza lascia intendere che un modo si trova. Fuori degli uomini palestrati con le magliette aderenti sui bicipiti e le barbe ben rifinite parlano a voce alta e ridono sguaiati. Sono tutti in età da leva. Ieri un amico è stato fermato in periferia da due poliziotti in borghese che credevano fosse un imboscato e volevano portarlo al centro di reclutamento. Tre giorni fa a Kharkiv alcuni agenti hanno malmenato due ragazzi che non avevano intenzione di farsi arruolare. Dopo essere stati presi a schiaffi ed essere stati portati in caserma uno di loro è già partito per il campo di addestramento, l’altro non si sa. La comunicazione governativa non censura queste notizie, anzi vuole che si sappia che per i renitenti la punizione è severa. Ma allora questi energumeni ubriachi? Insieme alle goccioline e al troppo profumo trasudano benessere, spendono soldi con una leggerezza che alla maggior parte degli ucraini è preclusa.

CON GLI STIPENDI MEDI che si guadagnavano qui prima della guerra, la situazione per chi era povero è solo peggiorata. E infatti molti si sono arruolati volontari sperando, magari, di non essere spediti proprio in prima linea. Gli altri, li vedi tutti i giorni: sono i gommisti, i magazzinieri, i cassieri, i netturbini… quelli che facevano fatica ad arrivare a fine mese prima del 24 febbraio 2022 e faticano ancora. La differenza è che i prezzi si sono alzati e la società è tutta rivolta allo sforzo bellico. Tutta? Non proprio, c’è chi ha fatto corsi accelerati di retorica e ora assegna certificati di patriottismo e accorate reprimende.

SU DERIBASOVSKA, la via centrale della città, intitolata all’ammiraglio napoletano Juan de Ribas, che di Odessa fu l’ideatore e il primo governatore per conto di Caterina II, il fastidio cresce. In un chiosco di legno e lamiera un gruppo di statunitensi gioca al tiro a bersaglio con degli ucraini. Non hanno l’uniforme ma si assomigliano tutti: cappellino verde o nero, barba e magliette con simboli vari che richiamano alla guerra. A poca distanza una camionetta della polizia e diversi agenti chiamati a far rispettare il coprifuoco imminente. Una banda di motociclisti con tanto di gilet di pelle poco più in là è riunita intorno a una cassa dalla quale stridono gli Ac/Dc. Tiratori da fiera e motociclisti, più la maggior parte degli avventori del bar: tutti in età da leva.

EPPURE IN DONBASS la situazione è tremenda, i russi sono a 8 chilometri da Pokrovsk e la strada per Konstyantinivka è già persa. Anche nel Kursk i russi si stanno riorganizzando e secondo il ministero della Difesa di Mosca ieri le forze russe sono riuscite a recuperare terreno – «10 villaggi riconquistati», Kiev non conferma. Odessa invece è ancora piena di vacanzieri: famiglie che scattano selfie in cima alla scalinata Potëmkin e mangiano nei ristoranti del centro. Di giorno c’è persino chi fa il bagno sulla spiaggia di Arcadia, «tanto c’è il frangiflutti, se arriva una mina si infrange lì».

Ma in periferia gli anziani fanno incetta di coperte per l’inverno, al mercato si compra ogni dispositivo possibile per far fronte alle lunghe giornate senza luce che tra poco arriveranno. Chi può compra stufe alogene o piccoli caloriferi da collegare alle bombole del gas. Le strade fuori dal centro sono nere come la notte, la lunga notte della guerra che avvolge chiunque non abbia i mezzi per affrontare una crisi che si aggiunge a una vita già difficile. Servirebbero migliaia di generatori, ma molti di questi sono usati per alimentare i locali e i negozi dove la ricchezza esige il suo sfogo.

È UNA QUESTIONE DI CENSO, dunque, di soldi, di provenienza sociale, di amicizie, di opportunismo. Il fastidio è per quest’ingiustizia che si inserisce nella somma crudeltà già rappresentata da una guerra. Chi era sfruttato in tempo di pace, continua a esserlo ora. L’unica consolazione è che almeno si annulla l’ipocrisia del capitalismo. Gli si toglie la vita direttamente senza spezzargli la schiena fino a raggiungere una pensione da 2300 grivnia (circa 50 euro) con la quale a malapena si può comprare una torcia e una stufa.

Il fastidio scompare di fronte ai giardini comunali dove decine di adolescenti riuniti intorno a un piccolo gruppo musicale di coetanei cantano classici ucraini e internazionali. Urlano, si dimenano, ridono forte. Le loro grida coprono gli altri rumori e trasmettono una tenerezza amara. L’autentico bisogno di normalità di chi è stato privato della gioventù da adulti simili a quelli che poco più in là pontificano sul patriottismo.

SI AVVICINA UN GRUPPETTO di naziskin, anche loro molto giovani, con le magliette della «Fratellanza ariana» o di «Settore destro», restano un po’ in disparte a guardare minacciosi, uno di loro parla con una ragazza e poi compatti si allontanano