A Gaza, indisturbato, Israele continua a bombardare: ieri altri quaranta palestinesi uccisi. In Egitto la trattativa per il cessate il fuoco slitta di altri due giorni: ormai nessuno più ci crede. A Chicago i delegati democratici pro Palestina allontanati dal palco: non vogliono sentirli
Striscia di sangue. Benyamin Netanyahu non rinuncia al controllo del confine tra Gaza e l’Egitto. Secco no di Hamas. Si riaffaccia la risposta di Hezbollah e iraniani alle uccisioni compiute da Tel Aviv a luglio
Gaza. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant sul Corridoio Filadelfia - Ansa
Guidata dal capo del Mossad David Barnea e dal generale Eliezer Toledano, una delegazione israeliana è partita ieri per il Cairo per preparare i colloqui sulla tregua a Gaza e lo scambio di prigionieri con Hamas, che dovrebbero tenersi domenica. Al Cairo era atteso anche il capo della Cia Williams Burns. La notizia non deve creare illusioni sulla possibilità di arrivare in tempi stretti al cessate il fuoco. La trattativa resta incagliata sulle ultime condizioni poste da Benyamin Netanyahu, macigni che nelle intenzioni del premier dovranno garantire il controllo israeliano, almeno parziale, dei Corridoi Filadelfia e Netzarim a Gaza. Secondo la stampa americana, Israele intende alzare otto torri o punti di osservazione sul Filadelfia, al confine tra Gaza e l’Egitto. Gli Usa ne propongono due. Un esito che Hamas non intende accettare perché la mancata uscita completa da Gaza delle forze di occupazione israeliane segnerebbe la sua sconfitta e darebbe a Netanyahu la vittoria militare che insegue anche a scopo politico.
Il premier israeliano non manca di astuzia. Mandando la delegazione al Cairo si mostra disponibile al cessate il fuoco come gli chiedono gli alleati americani e le famiglie degli ostaggi a Gaza. Allo stesso tempo ribadendo con forza le sue ultime condizioni in nome della sicurezza di Israele – accolte in parte da Washington – tranquillizza i partner di governo di estrema destra che premono per la rioccupazione permanente di Gaza. Rispondendo a David Ignatius del Washington Post che scrive di un Netanyahu più «flessibile» rispetto a qualche giorno fa, un funzionario del governo ha precisato che il primo ministro non ha cambiato idea in alcun modo sul controllo israeliano dei due corridoi a Gaza.
La redazione consiglia:
Dall’Irgun ai coloni di oggi, l’obiettivo è scacciare i palestinesi dalle loro terre
L’onere della ricerca di un via d’uscita alla paralisi in atto è dell’Amministrazione Usa. Secondo il quotidiano qatariota al Araby al Jadeed, il segretario di stato Antony Blinken avrebbe proposto che l’Egitto partecipi alle forze internazionali che, nei disegni di Washington, dovrebbero sorvegliare il Corridoio Filadelfia in accoglimento delle pressioni di Israele che comunque avrebbe la supervisione della striscia di terra di 14 chilometri che divide Gaza dall’Egitto. Altre fonti dicono che la gestione di sicurezza del valico di
Rafah, occupato da Israele a inizio maggio – con conseguente aggravamento dell’emergenza umanitaria nella Striscia – andrebbe ad agenti dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen, in collaborazione con monitor dell’Unione europea. In quel caso potrebbe tornare operativo l’Eubam che ebbe, tra il 2005 e il 2007, il compito di monitorare il terminal di Rafah.
Hamas non pare intenzionato ad accettare queste e altre soluzioni che hanno lo scopo palese di escluderlo dal controllo dell’importante frontiera con l’Egitto a vantaggio di Israele e dei rivali dell’Anp. Senza una tregua definitiva in vista e con Israele che reclama anche la deportazione dei prigionieri politici palestinesi più noti e importanti, come Marwan Barghouti, in cambio della liberazione degli ostaggi, il capo di Hamas, Yahya Sinwar, potrebbe scegliere la resistenza ad oltranza con la speranza che un attacco militare iraniano e di Hezbollah a Israele – in risposta alle uccisioni, a fine luglio, di Ismail Haniyeh e Fuad Shukr – serva a ribaltare la situazione e a creare condizioni più favorevoli.
Gaza intanto è inferno per i suoi abitanti. I carri armati israeliani premono da est su Deir al Balah che ospita un milione di sfollati molti dei quali sono di nuovo in fuga. Tante famiglie dormono per strada, altre sulla spiaggia, perché non riescono a trovare alcun riparo. Le cosiddette «zone sicure» sono sempre più ridotte e senza posto. Le incursioni israeliane si spingono in profondità nella Striscia. Ieri hanno ucciso almeno 27 persone. A Beit Lahiya, nel nord, un attacco contro una casa è costato la vita a 11 persone, tra cui bambini e donne.
Un raid aereo ha ucciso sei persone, tra cui un giornalista, nel campo profughi di Al-Maghazi. Altre cinque sono morte in un bombardamento a Khan Younis. I comandi israeliani non fanno cenno nei loro comunicati alle vittime palestinesi e riferiscono solo di raid «conclusi con successo» contro «infrastrutture e depositi di armi di Hamas» – sarebbero stati ritrovati esplosivi in una sede dell’Unrwa (Onu) – e dell’uccisione di «50 militanti» a Rafah negli ultimi giorni. Lanciano inoltre accuse di esecuzioni sommarie di ostaggi da parte di Hamas perché l’autopsia sui corpi di sei sequestrati recuperati dall’esercito in un tunnel, ha rivelato la presenza di proiettili. L’ala armata di Hamas da parte sua annuncia che i suoi combattenti hanno teso un’imboscata alle truppe israeliane, uccidendo e ferendo diversi soldati. Israele ha ammesso ieri la morte in combattimento nel su di Gaza di un suo militare. In Cisgiordania, a Tulkarem, ieri un drone israeliano ha ucciso tre palestinesi durante un raid dell’esercito