ULTIMA CHIAMATA. Parte l’offensiva, poi arriva il sì di Hamas all’accordo per la tregua e lo scambio di prigionieri. L’attacco prosegue ma si negozia.
Un coro ultraradicale guidato dai ministri Itamar Ben Gvir e Nir Barkat incitava ieri il governo Netanyahu a dare il via libera all’attacco Rafah e a ignorare l’accettazione da parte di Hamas, comunicata ufficialmente ieri dal capo dell’ufficio politico del movimento, Ismail Haniyeh, della proposta di Egitto e Qatar per un accordo di cessate il fuoco a Gaza. «Gli esercizi e i giochi di Hamas hanno una sola risposta: occupare Rafah. Aumentiamo la pressione militare e continuiamo fino alla completa sconfitta di Hamas», ha esortato Ben Gvir. E il no alla mossa di Hamas, almeno fino a ieri sera, appariva l’orientamento prevalente dei comandi politici e militari israeliani. «Israele si sta preparando all’operazione di terra a Rafah» ha confernato il portavoce militare Daniel Hagari. Il premier Netanyahu fa di tutto per emergere da questa guerra come il vincitore e non rinuncia al pugno duro. Ma, in realtà, lui e il gabinetto di guerra valutano cosa fare perché mezzo mondo vuole che Israele metta fine alla sua offensiva militare che ha ucciso circa 35mila abitanti di Gaza di ogni età e che siano realizzate le storiche aspirazioni dei palestinesi alla libertà e all’indipendenza. Sullo sfondo ci sono le famiglie degli ostaggi e le altre migliaia di israeliani che chiedono, ora con ancora più forza, al governo di non respingere il compromesso accettato da Hamas.
Sotto pressione è anche il movimento islamico. Appaiono credibili le indiscrezioni che riferiscono di un dibattito acceso tra l’ala politica guidata da Haniyeh più flessibile e quella militare che fa capo a Yahya Sinwar che la tregua la vuole solo se saranno soddisfatte tutte le richieste di Hamas. Il movimento islamico sa che deve tenere conto di ciò che vuole la popolazione di Gaza, gettata dall’offensiva israeliana in una catastrofe umanitaria senza precedenti. E i palestinesi di Gaza vogliono il cessate il fuoco subito, anche se non saranno accolte tutte le condizioni di Hamas. Un desiderio apparso evidente ieri quando, dopo l’annuncio di Haniyeh, migliaia di persone hanno festeggiato nelle strade martoriate di Gaza.
Secondo una fonte citata da Al Jazeera la proposta di Egitto e Qatar prevede tre fasi, ciascuna della durata di 42 giorni. Nella prima fase inizierebbe una tregua, insieme al ritiro israeliano dal Corridoio Netzarim che le forze di occupazione utilizzano per dividere il nord e il sud di Gaza. Una seconda fase include negoziati per la cessazione permanente delle operazioni militari e il ritiro completo delle forze israeliane da Gaza. Nella terza si negozierà anche il blocco della Striscia. Hamas dice di aver avuto una forte garanzia, soprattutto da parte degli americani e dei mediatori, che al cessate il fuoco temporaneo seguirà una tregua permanente. «Sappiamo che questo è un piano graduale – ha detto l’analista Hashem Al Barra – sappiamo che si basa su uno scambio tra prigionieri come parte di un cessate il fuoco».
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La giornata era cominciata con la rappresaglia israeliana per i quattro soldati uccisi domenica dai razzi lanciati da Hamas verso il valico di Kerem Shalom. I soccorritori alle prime luci del giorno hanno estratto i cadaveri di almeno 20 palestinesi dalle macerie di dieci case di Rafah prese di mira dagli attacchi aerei. Quindi sono arrivati gli sms, i volantini e le telefonate dell’esercito israeliano che ha intimato alla popolazione dei quartieri orientali di Rafah – Salam, Janina, Shoka, Tabet Ziraa – di scappare subito e di andare in quella che i comandi militari chiamano «zona umanitaria estesa» nell’area dei Mawasi, a circa 15 km di distanza. Un ordine che ha seminato paura tra i civili molti dei quali hanno preparato i loro pochi averi e li hanno caricati assieme ai bambini su carretti tirati da asinelli, in vista dell’attacco contro Rafah a lungo minacciato da Israele. Altri se ne sono andati a piedi per strade rese fangose da insolite piogge per questo mese dell’anno. Persino il tempo non è clemente con la gente di Gaza.
Quindi sono arrivate altre bombe e cannonate, per confermare che Israele non rinuncia ad attaccare, con o senza la liberazione degli ostaggi a Gaza. La vittoria è impossibile senza la presa di Rafah, ripete Netanyahu. In serata il gabinetto di guerra ha deciso di continuare a preparare l’attacco a Rafah anche se manderà una delegazione al Cairo. A nulla sono servite sino a oggi le pressioni dell’Egitto, che ha esortato Israele a esercitare i «più alti livelli di autocontrollo» a Gaza. Inutile è stata anche l’opposizione al nuovo attacco militare espressa a più riprese dall’Amministrazione Biden che, allo stesso tempo, fornisce le munizioni di cui Israele ha bisogno per continuare la guerra, in particolare le bombe che sganciano su Gaza gli F16.
Nick Maynard, un chirurgo britannico che ieri mattina con altre persone ha provato a lasciare Gaza, ha riferito alla Reuters di «Due enormi bombe esplose fuori dal valico di Rafah. Ci sono molti spari intorno, a 100 metri da noi. Non è molto chiaro se usciremo». Guidando nelle strade di Rafah, il medico ha raccontato che «la tensione era palpabile con le persone che si allontanavano il più rapidamente possibile». L’ordine di evacuazione dei civili impartito dall’esercito israeliano è «disumano, contrario ai principi fondamentali del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani», ha protestato l’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, Volker Türk. Simile l’allarme lanciato da Ong e agenzie umanitarie