Dopo la Columbia retate alla Nyu, ma ormai le proteste per la Palestina sono decine: cortei a Yale, Mit e Tufts, tende a Berkeley, occupazioni in California. E cariche a Torino. A Gaza ora l’Onu vuole indagini sulle fosse comuni
CAMPUS LARGO. Dopo le retate alla Columbia si agitano Nyu, Yale, Mit... Proteste da Berkeley al Cal Polytechnic, richiesta la Guardia Nazionale
La protesta per la Palestina alla Columbia University - foto di Andrea Renault/Star Max
Gli arresti a centinaia non fermano le manifestazioni per la Palestina nelle università Usa, anzi sembrano provocarne l’allargamento a sempre nuovi campus. Una tendenza che non dà cenno di rientrare.
Non è più solo la Columbia University ad avere manifestazioni e sit in permanenti. A New York anche la progressista New School e la prestigiosa Nyu sono mobilitate, e così sta accadendo a Yale, al Mit di Boston, alla Tufts, alla University of North Carolina. Sulla costa ovest ci sono accampamenti di protesta all’Università della California, a Berkeley. Studenti si sono barricati all’interno della California Polytechnic State University. Per il Seattle Times, centinaia di studenti stanno organizzando una manifestazione nella regione di Puget Sound (Washington) a cui parteciperanno due dozzine di scuole superiori e college.
LA RISPOSTA DEGLI ATENEI non si discosta da quella della rettrice della Columbia, Minouche Shafik: chiamare la polizia e cercare di tenere a casa gli studenti con la didattica da remoto. La New York University ha chiamato la polizia per disperdere la folla che continuava ad aumentare, e quando da parte degli studenti sono state lanciare alcune bottiglie si sono verificati momenti di tensione ma niente arresti. A Yale invece decine di studenti sono stati arrestati con l’accusa di trespassing (sconfinamento), e Harvard ha deciso di sospendere il Comitato per la solidarietà con la Palestina. Se la risposta dei rettori non cambia, altrettanto accade con le reazioni degli studenti: «Come ebrea, come studentessa di Yale, come americana, sono convinta di non volere che gli omicidi continuino a verificarsi in mio nome e con i miei soldi – dice la 22enne Miriam Levine – E quindi continuerò a protestare».
PARTE DEL PROBLEMA è che i rettori di queste prestigiose e costose università private non possono permettersi di perdere i grandi donatori e quindi cercano di soffocare le proteste in nome della sicurezza. «Parlano della minaccia antisemita – dice Rachel Schwartzes, studentessa del Cuny, l’università della città di New York – ma più della metà degli studenti che protesta è ebrea. Il problema è che
gente come Robert Kraft ha ritirato il sostegno alla Columbia e chiamato in causa i docenti». Laureato alla Columbia, proprietario dei New England Patriots (football americano), il miliardario ha annunciato di non essere «a suo agio» nel continuare a sostenere economicamente la sua ex università da quando sono cominciate le proteste. Lo stesso giorno la Columbia ha ordinato ai professori del suo campus principale di passare a un sistema di didattica ibrido e concludere l’anno accademico con meno problemi possibili.
In risposta la sezione della Columbia University dell’Associazione americana dei professori universitari, ha annunciato che intende presentare al Senato universitario una “Risoluzione di censura” contro la rettrice Shafik, la sua amministrazione e i copresidenti del Consiglio di amministrazione. La risoluzione è stata redatta nel fine settimana dopo che Shafik ha autorizzato la polizia a sgomberare il “Gaza Solidarity Encampment” con conseguenti arresti di massa. Il livello di tensione sembra destinato a salire, con sempre più campus occupati, la protesta che si sta estendendo anche alle scuole superiori, un’elezione presidenziale in vista e un braccio di ferro che coinvolge più soggetti.
I SENATORI REPUBBLICANI Tom Cotton e Josh Hawley hanno chiesto a Joe Biden di inviare alla Columbia la Guardia Nazionale, altri pensano che non sia una cattiva idea avere accanto un gruppo come Shirion Collective, la “rete di sorveglianza” pro-Israele che ha offerto taglie in cambio di informazioni sui manifestanti filopalestinesi, e compensi a inviati undercovered che documentino (o provochino) comportamenti raccontabili come antisemiti. Il Collettivo Shirion, concentrato soprattutto negli Usa e nel Regno Unito, si vanta della sua capacità di rilevare le tracce digitali per “smascherare in modo aggressivo gli antisemiti”, e sui social media pubblica i nomi delle persone che accusano di essere antisemite. La caccia è in corso