ISRAELE/PALESTINA. A sei mesi esatti dal 7 ottobre, oggi riparte il dialogo indiretto tra Hamas e Israele, ma la distanza è enorme. Mentre Gaza tocca quota 33.137 uccisi, a Tel Aviv a migliaia manifestano contro Netanyahu: un'auto di sostenitori del premier investe cinque manifestanti, uno è grave
Folla sugli aiuti umanitari lanciati dal cielo a Gaza - Ap/Mahmoud Issa
Li ha chiamati un «tradimento dell’umanità» i sei mesi in cui Gaza è stata cancellata. Su X Martin Griffiths, il capo di Ocha (l’agenzia Onu per gli affari umanitari) ha parlato di oltraggio globale a cui, però, non pare esserci fine. A sei mesi esatti dal 7 ottobre, dall’attacco di Hamas e l’inizio dell’offensiva su Gaza, sono ridotte al lumicino le speranze che oggi al Cairo i negoziati indiretti tra Hamas e Israele conducano a una via d’uscita.
Il leader politico del movimento palestinese Ismail Haniyeh ha detto che aderirà alla «posizione presentata il 14 marzo»: «Cessate il fuoco completo, ritiro delle forze israeliane, ritorno degli sfollati nelle zone di provenienza, libertà di movimento e un serio scambio di ostaggi».
LA PALLA, dice Hamas, «non è nella nostra metà campo» ma in quella di Tel Aviv che, da parte sua, continua a subire la pressione delle famiglie degli ostaggi (ancora 133 quelli a Gaza). Ieri in conferenza stampa hanno di nuovo accusato il premier Netanyahu di «avere le mani sporche di sangue».
L’ultima goccia è stata l’ammissione dell’uccisione, il 7 ottobre stesso, in un raid israeliano di una donna rapita, Efrat Katz, 68 anni, ma soprattutto il ritorno in Israele del corpo di Elad Katzir, morto a Khan Younis prigioniero della Jihad islami: poteva essere salvato se ci fosse stato uno scambio con Hamas, hanno detto. «Netanyahu – ha aggiunto Einav Zangauke (un figlio ostaggio) – sta deliberatamente deragliando l’accordo».
E chi protesta rischia. Ieri, durante nuove manifestazioni a Cesarea per chiedere elezioni anticipate, la polizia ha distribuito volantini in cui minacciava con due anni di galera i responsabili di «disordini». Ma le scene peggiori si sono viste a Tel Aviv, dove un’auto guidata da degli israeliani filo-Netanyahu ha investito cinque dei migliaia di manifestanti riuniti contro il governo. Uno dei feriti è in grave condizioni.
Intanto, al di là del muro, il bilancio degli uccisi palestinesi raggiungeva quota 33.137. Quelli accertati: altre migliaia, forse 10mila, sono ancora sotto le macerie. Quasi 76mila i feriti, in un pezzo di terra in cui gli ospedali semi-funzionanti sono solo dieci. Lo Shifa, il più importante di Gaza, è «un guscio vuoto con tombe umane», ha detto ieri il capo dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, dopo che un team dell’Oms ha potuto visitare la struttura in macerie.
Lì si sono consumati crimini inimmaginabili, durante le due settimane di assedio israeliano: centinaia di uccisi dalla fame o da esecuzioni, taglio dell’acqua, demolizioni di interi reparti, arresti arbitrari. Che continuano, seppur sotto silenzio, anche in Cisgiordania e a Gerusalemme. Ieri altri 45. In sei mesi, ai 5mila prigionieri politici palestinesi precedenti, se ne sono aggiunti quasi 8mila.
Nelle carceri israeliane spazio non ce n’è più. Per cui, oltre ad affollare celle già piccole, il governo ha preparato un decreto per finanziare con 154 milioni di dollari l’espansione delle prigioni esistenti