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MEDITERRANEO. L’Avvocatura vuole essere creduta in parola, per il tribunale non risultano illeciti. Il contrammiraglio Vittorio Alessandro: «L’amministrazione marittima si fermi». Naufragio a Lampedusa, tre morti tra cui una neonata
Sea-Watch 5 liberata dal giudice. Terzo schiaffo al decreto Piantedosi La Sea Watch 5 in navigazione - Maria Giulia Trombini / Sea Watch

Il tribunale civile di Ragusa ha liberato la Sea-Watch 5 dando il terzo schiaffo al decreto Piantedosi. Terzo in un poco più di un mese, dopo quelli di Brindisi e Crotone per le navi Ocean Viking e Humanity 1. La decisione è arrivata giovedì sera, alla vigilia della scadenza dei 20 giorni di detenzione amministrativa disposti l’8 marzo a Pozzallo.

Si tratta ancora di un’ordinanza cautelare, ma il provvedimento sconfessa completamente la ricostruzione delle autorità italiane (squadra mobile di Ragusa; capitaneria di porto e guardia di finanza di Pozzallo). Nel verbale di fermo sostenevano che la Sea-Watch 5 non avesse rispettato le indicazioni ricevute da Tripoli, competente per la zona del soccorso dei 56 naufraghi (uno morto a bordo in una seconda fase non oggetto del procedimento). Secondo l’Italia la nave umanitaria avrebbe «contribuito a creare situazioni di pericolo durante le operazioni Sar» e costretto la motovedetta libica Fezzan a restare a distanza «per evitare di generare disordini con il rischio che i migranti si gettassero in mare».

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Se però il pattugliatore di Tripoli è rimasto lontano, come dice il verbale, allora «la situazione di pericolo non è sorta», scrive il giudice Giovanni Giampiccolo. Nella sua ricostruzione la Sea-Watch 5 non ha creato pericoli per i naufraghi né commesso irregolarità. Ha comunicato con le autorità libiche, italiane e tedesche (Stato di bandiera) e nessuna di queste ha detto di non procedere al salvataggio. La Fezzan le ha solo intimato di cambiare rotta, senza fornire motivi. Neanche quando il capitano ha denunciato il rischio di collisione con un’altra unità.

«All’esito del primo contraddittorio instaurato, e fermo ovviamente ogni approfondimento nel corso del giudizio di merito, l’illecito non risulta integrato; non è emerso quali indicazioni il centro per il soccorso marittimo avrebbe dato alla Sw5, che quest’ultima non avrebbe rispettato», si legge nell’ordinanza. Del resto mentre la Ong ha fornito prove documentali a sostegno della sua posizione, l’Avvocatura dello Stato che rappresenta i ministeri di Interno, Infrastrutture e Finanze ha sostenuto di avere video e foto dell’intera operazione, ma senza produrli.

«Sostengono di poterli presentare solo con l’autorizzazione di Frontex, perché vengono da quell’agenzia – afferma Lucia Gennari, avvocata di Sea-Watch – Ma così pretendono di essere sollevati dall’onere della prova: principio giuridico fondamentale secondo cui quando sostieni qualcosa in giudizio devi provarla. Se lo Stato chiede al giudice di credergli sulla parola si crea un problema di democrazia. Per fortuna il tribunale ha ristabilito che le regole valgono per tutti».

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Dal Viminale sottolineano che le decisioni cautelari sono state solo tre su 15 impugnazioni di 20 fermi. «Si tratta di pronunce a carattere puramente provvisorio destinate a essere sostituite dal giudizio definitivo di merito, ancora pendente in tutti i ricorsi proposti e autonomo nella cognizione e valutazione», dice il ministero. Non dice, però, che negli altri casi la detenzione è terminata prima che un tribunale si esprimesse: in nessun caso le autorità italiane hanno avuto ragione. Non dice neanche che da Brindisi il decreto potrebbe finire dritto alla Consulta.

«Non era mai successo di fare gli azzeccagaburgli sui soccorsi: prima chi salvava vite veniva ringraziato, oggi appena arriva in porto rischia il fermo per il minimo elemento di sospetto – rileva il contrammiraglio della guardia costiera, ora in pensione, Vittorio Alessandro – Comunque al terzo fermo considerato infondato l’amministrazione marittima, in autotutela, dovrebbe evitare di creare altre situazioni analoghe». Anche perché i soccorritori della guardia costiera italiana sanno bene come funzionano le dinamiche di pericolo in mare: le richieste di istruttorie sulle Ong, che arrivano da Roma, e i fermi basati sulle dichiarazioni dei libici fanno storcere il naso a più di un ufficiale.

Intanto vicino Lampedusa c’è stato un altro drammatico naufragio. Mentre il veliero Trotamar III, della Ong Compass Collective, stava distribuendo i giubbotti salvagente un barchino in ferro è improvvisamente affondato. Sul posto è arrivata una motovedetta italiana che ha salvato 11 persone. Altre 31 sono state portate sul veliero. Tre però sono scomparse, tra loro una neonata. I fatti sono di giovedì ma la notizia è stata diffusa ieri