Aaron Bushnell aveva 25 anni. Era un soldato dell’aeronautica Usa. E proprio nelle stesse ore in cui i suoi commilitoni sono impegnati ad agganciare bombe ai jet che decollano dalle portaerei per bombardare qui e là, gli Houthi in Yemen, i pasdaran in Siria e i sunniti in Iraq – mobilitati in armi per ridurre la “pressione” israeliana che fa strage a Gaza -, ha portato a termine un gesto così eclatante e fuori da ogni codice amico/nemico che subito si cerca di silenziarlo o ridimensionarlo a «fattore psichico» – certo, volere la Palestina libera è cosa da pazzi.
Non è la prima volta che accade, un giovane americano si era già dato fuoco nel 1991 contro la guerra in Iraq e a dicembre 2023 un altro aveva fatto lo stesso ad Atlanta. Ma Aaron si è messo la divisa militare e così è andato verso l’ambasciata israeliana a Washington annunciando sui social l’intenzione di «non volere essere più complice del genocidio» e di essere pronto ad una «estrema protesta che – ha detto – se si guarda alle sofferenze della gente di Gaza per mano dei suoi colonizzatori è tutt’altro che estrema».
Poi è arrivato davanti all’ambasciata senza destare sospetti con la divisa militare Usa, si è messo il berretto d’ordinanza come fosse in parata, e dalla borraccia che teneva in mano si è cosparso il corpo di liquido infiammabile. Infine ha tirato fuori l’immancabile Zippo – quante volte nei film americani abbiamo visto questo gesto routinario, quasi un tic, associato alla normalità «gloriosa» della guerra? – ha rollato la pietra focaia. E, mentre un agente gli puntava una inutile pistola contro, si è dato fuoco gridando ripetutamente finché non è morto: «Free Palestina». Come i monaci buddisti di Saigon, a fine anni Sessanta contro la guerra Usa in Vietnam, come Jan Palach contro la normalizzazione della Primavera di Praga.
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All’Aja un’occupazione che si è fatta regimeDovremmo, come allora, gridare le parole che invocò il poeta Jaroslav Seifert «Voi che siete risoluti a morire, fermatevi…». Perché ci deve essere un altro modo per fermare il massacro a Gaza. Ma quale? Aaron con il suo coraggio estremo manda un messaggio diretto all’Amministrazione Biden che mette il veto all’Onu per un cessate i fuoco; che nega l’evidenza del «plausibile genocidio» con cui la Corte dell’Aja manda alla sbarra Israele come imputato; che dissimula perfino la verità sui territori occupati palestinesi; che sospende gli aiuti all’Unrwa-Onu l’unico organismo che soccorre i palestinesi da 75 anni; e che, con il codazzo servile anche dell’Italia, avvia una nuova guerra, in Yemen, senza vedere che quel conflitto nasce per reazione alla strage in corso a Gaza. Dovrebbe finire quella non accenderne un’altra.
Ci rendiamo conto che siamofuori dal «giornalismo corrente», quello che le notizie vere le nasconde, perché ora tutti ci dicono che c’è l’accordo Hamas-Israele, così tanto per accontentare la diplomazia dei vincitori, quella che ha lasciato fare a Netanyahu l’impari massacro di vendetta per la strage del 7 ottobre. Aaron non si è fidato degli annunci, sapeva di certo che, vista la disparità delle forze e le devastazioni indiscriminate della Striscia, la litania di morti civili non finirà purtroppo con le finte strette di mano dei potenti.
Così ha voluto inscrivere la sua giovane vita, il suo corpo straziato nello Spoon River delle migliaia di civili palestinesi uccisi, finiti nelle fosse comuni. Che lezione anche per i governanti – e non solo – di questo nostro, piccolo ex Belpaese che reprime chi scende in piazza e grida «Free Palestina»