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ITALIA-ALBANIA. Adesso Meloni vuole esportare in Africa il «modello Caivano»

 

Il dossier migranti continua a rappresentare una spina nel fianco per Giorgia Meloni: «Dobbiamo tenere alta l’attenzione. E per questo ho bisogno di tutto il governo», dice la premier durante il consiglio dei ministri. L’atmosfera è tesa e non solo perché i risultati non sono quelli sperati. No, la delusione della premier riguarda anche altri capitoli delicati, dagli agricoltori ai litigi quotidiani all’interno della maggioranza, tanto che non avrebbe risparmiato critiche a più di un ministro.

Ma è sull’immigrazione che Meloni insiste, al punto da far inserire nell’ordine del giorno del consiglio un’informativa sulla materia sulla quale, non manca di ricordare, si è spesa in prima persona: dalla conferenza sull’immigrazione dello scorso luglio, a quella Italia-Africa di gennaio. Quindi al governo chiede di più: «Quello che immagino operativamente, e mediaticamente – spiega-, è un modello “Caivano” da proporre per il nord del continente africano, in modo particolare per la Tunisia e la Libia, ben consapevoli delle differenze sussistenti tra Tripolitania e Cirenaica». Di più: «Andiamo tutti in Libia e Tunisia, sviluppiamo progetti, controlliamone l’esecuzione, coordinando – come per Caivano – le presenze, in modo che siano cadenzate e diano il senso della continuità».

Nelle stesse ore in cui si tiene il consiglio dei ministri, però, dai vescovi arriva una bocciatura sonora di un altro dei cavalli di battaglia della premier, quell’accordo tra Italia e Albania per dirottare nel Paese delle Aquile i migranti tratti in salvo dalla Guardia costiera in acque internazionali e approvato definitivamente ieri dal Senato. Per i vescovi si tratta di una spreco di denaro: «673 milioni di euro in dieci anni in fumo per l’incapacità di costruire un sistema di accoglienza diffusa del nostro Paese», è la critica fatta da monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione per le migrazioni della Cei e di Migrantes che definisce l’accordo con Tirana «una nuova sconfitta della democrazia».

Soldi, aggiunge, «che potevano rigenerare non solo la vita di molte persone (3.000), ma la vita anche delle nostre comunità», «673 milioni di euro che avrebbero significato posti di lavoro e un indotto economico», «673 milioni di euro veramente ‘buttati in mare’ per l’incapacità di governare un fenomeno – quello delle migrazioni forzate – che si finge di bloccare, ma che cresce di anno in anno, anche per politiche economiche che non favoriscono – se non con le briciole – lo sviluppo dei Paesi al di là del Mediterraneo».

Tra i punti dell’accordo c’è la costruzione di un centro di identificazione dei migranti nell’entroterra albanese che potrà accogliere «fino a un massimo di 3 mila» persone, più un centro più piccolo di primo approdo nel porto di Shengjin, dove far attraccare le navi italiane con i profughi.

Il ddl di ratifica quantifica anche la spesa del Cpr in ben 673 milioni nei 10 anni previsti per la durata dell’accordo. Le navi italiane approderanno nella città settentrionale di Shengjin. Il Centro avrà un perimetro di 240 metri con una recinzione esterna alta 4 metri dotata di filo spinato. All’interno vari percorsi: quello per il trattamento antiscabbia, quelli di uscita verso il Cpr.

Quest’ultimo sarà a Gjader, 20 chilometri nell’entroterra: sorgerà su una superficie edificabile di 77.700 metri quadrati, con 10 edifici per 2 mila metri quadrati. Il trasporto dal Centro di approdo al Cpr sarà effettuato dall’Italia, che provvederà anche alla sicurezza interna ai due Centri, mentre all’Albania è affidata la sicurezza esterna. I migranti potranno essere ospitati «fino a un massimo di 3 mila» persone contemporaneamente. In conferenza stampa la premier Meloni aveva parlato di 36 mila migranti, perché all’epoca le norme italiane indicavano in 12 mesi il termine massimo entro cui identificare il migrante; tuttavia il decreto Cutro 2 ha allungato a 18 mesi tale termine.

In Albania non saranno inviati i migranti “vulnerabili” (minori, minori non accompagnati, donne incinte, disabili fisici e psichici, anziani, vittima di tratta e di tortura, ecc), Tuttavia un emendamento del Pd al ddl di ratifica che fissava nella legge questa esclusione è stato bocciato dalla maggioranza