Presidente Nichi Vendola, lei definisce questo progetto di Autonomia differenziata «un atto di guerra». E però, è tutto previsto dall'articolo 116 della Costituzione. Cosa la preoccupa, allora? «Lo avete visto il leone di San Marco, cioè lo stendardo dei separatisti veneti, ruggire nell’aula del Senato? Non è forse un gesto rivelatore, non spiega più di mille discorsi che cosa sta accadendo? L’autonomia differenziata, per come è stata confezionata dal genio luciferino del ministro Calderoli, è un atto di guerra contro il popolo italiano. Spezza l’unità nazionale e liquida l’universalismo dei diritti di cittadinanza. Mette in liquidazione il servizio sanitario nazionale e manda in pensione la scuola pubblica. Colpisce e umilia il Sud, condannato ad un destino di marginalità e di insignificanza, al massimo usato come discarica o come villaggio turistico».
Una visione catastrofistica... «È una minaccia drammatica per il Paese, perché moltiplica a dismisura le diseguaglianze nemiche storiche di sviluppo e democrazia. Chi credeva di sterilizzare la spinta leghista alla secessione accentuando, con la modifica del titolo V della Costituzione, il tema dell’autonomia, si è sbagliato: il centrosinistra, con la consueta prosopopea dei suoi ideologi, si era illuso di spegnere così la fiamma eversiva della rottura del Paese. Oggi, imparata la lezione, tutto il fronte delle opposizioni ha il dovere di salire sulle barricate. Non si tratta di un esercizio di retorica nazionalista, si tratta di difendere un’idea semplice scolpita nell’articolo 3 della nostra Carta fondamentale: la pari dignità e l’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, la Repubblica che rimuove gli ostacoli alla piena realizzazione della giustizia sociale».
I sostenitori dell'Autonomia, anche i più “originali” come per esempio i parlamentari meridionali di centrodestra, definiscono il progetto “un'opportunità anche per il Sud”. In sostanza, un obbligo collettivo alla responsabilizzazione. «La responsabilizzazione del Sud consisterebbe nella sua resa al servilismo, all’afasia, alla logica di diritti dimezzati? Direi che questo argomento è solo una provocazione. Se dovessi usare un lessico antiquato direi che i parlamentari di centrodestra del Sud andrebbero tutti denunciati per “alto tradimento”. Non so se sono fascisti o post-fascisti o a-fascisti, però sicuramente sono sfascisti. E portano a casa ciascuno i propri trofei: la Lega guadagna una secessione camuffata e fatta con legge ordinaria, Fratelli d’Italia un premierato figlio dell’antica propensione a “un uomo (o una donna) solo al comando”, insieme portano a casa un indebolimento letale della democrazia parlamentare».
È previsto il trasferimento di quote di Irpef e Iva alle Regioni che attivano il percorso dell'Autonomia. Ora, un emendamento di FdI dispone la medesima cosa anche per le altre Regioni, a parziale compensazione. Ma con una clausola di invarianza di spesa. E in ballo ci sarebbe sempre la perequazione prevista dalla Costituzione. La partita finanziaria quanto deve preoccuparci? «Le regioni più ricche sottrarranno alla fiscalità generale quote crescenti di gettito, quelle più povere andranno alla deriva, in un processo avventuristico di decostruzione della natura solidaristica dello Stato. Mi fa sorridere la clausola dell’invarianza di spesa. Io ti prometto che ti risarcirò, ma non posso toccare il mio salvadanaio né il mio conto in banca: e quindi? Quindi l’emendamento da coda di paglia dei Fratelli contro l’Italia è puro illusionismo».
Quantomeno verranno finalmente fissati i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, dopo anni di tentativi a vuoto anche con i governi di centrosinistra: potrebbero accorciare i divari, o c'è il rischio viceversa di cristallizzare proprio quei divari? I Lep vanno comunque accompagnati da modalità d'attuazione e da risorse. «I divari non saranno cristallizzati, saranno accresciuti e moltiplicati. I Lep annunciati sono solo dei sedativi per provare ad addormentare la discussione».
Proprio la sanità, e lei da ex governatore lo sa bene, è uno dei terreni sui quali si misurano i maggiori gap. Nonostante, peraltro, la fissazione dei Lea. «Sarò franco, magari di una franchezza brutale: questo acronimo, i Lea, è una foglia di fico per coprire un grave arretramento culturale sul terreno del diritto alla salute. Rammento che nella rivoluzionaria legge di riforma del 1978, la 833, quello alla salute era definito come un diritto inalienabile di ogni cittadino oltre che un cogente bene pubblico. L’arretramento si determina nel momento in cui la sanità viene aziendalizzata, piegata cioè alla logica della domanda e dell’offerta, spinta sui binari di un mercato in cui crescerà sempre più il privato, spesso cofinanziato dal pubblico, e si depotenzierà la sanità pubblica che non investirà sulla cosa più strategica: il territorio, i servizi socio-assistenziali del territorio».
Presidente, le contraddizioni sono ovunque. Basti pensare che chi sostiene (da destra) l'Autonomia, poi vuol accentrare la gestione delle risorse europee o del Fsc; e viceversa (a sinistra). Tutta la politica è in confusione? «La destra non fa confusione, fa occupazione: di ogni millimetro di interesse pubblico, di ogni casamatta della società e delle istituzioni, di ogni centro di affari. Costruisce il proprio blocco sociale e il proprio sistema di potere con assoluta disinvoltura, senza alcun problema estetico o tanto meno etico. Accentra a Roma la gestione dei fondi europei per muoverli secondo i propri interessi elettorali e lo fa nello stesso momento in cui inneggia all’autonomia delle regioni. Senza pudore, con ogni mezzo. “Todo modo”, parafrasando Sant’Ignazio di Loyola».
In tutta franchezza: il regionalismo ha fallito? Il processo di decentramento è stato un mezzo disastro, le Regioni si sono trasformate in enti di amministrazione e gestione, c'è già un'Italia a macchia di leopardo, un mosaico di piccole Repubbliche. Qualcosa andrebbe rivisto alla radice? «Il regionalismo andrebbe ripensato con coraggio, anche e soprattutto alla luce delle sue contraddizioni e delle sue tante, troppe ombre. Le Regioni hanno a un certo punto dismesso la loro missione fondamentale - essere centri di programmazione e di pianificazione, nodi di congiunzione tra centro e periferia - e sono diventate centrali appaltanti e enti di mera gestione. Dal centralismo statale si è passati al centralismo regionale. Con fenomeni di sprechi e corruzione che sono divenuti endemici, al Sud come al Nord. La prova più disastrosa di gestione del Covid è stata offerta dalla opulenta sanità della Lombardia. Ora, invece di vedere i difetti e resettare la macchina del regionalismo, la si carica di poteri debordanti, fino a svuotare lo Stato centrale in materie cruciali».
Anche il centrosinistra dovrebbe intestarsi un mea culpa: la riforma del 2001 che ha aperto la strada all'Autonomia differenziata, la “rossa” Emilia Romagna che s'è mossa sullo stesso sentiero di Veneto e Lombardia, i partiti che assumono accenti diversi da Nord a Sud, i passi compiuti verso l'Autonomia anche da recenti governi di centrosinistra, la bocciatura della riforma costituzionale di Renzi che in realtà “imbrigliava” parecchio l’Autonomia differenziata. «Tutto vero, tutto giusto, anche se non vedo ancora la sufficiente consapevolezza autocritica di chi ha agevolato il percorso che ci ha portato al baratro di oggi. Discorso più complesso per quanto riguarda Renzi: col referendum gli italiani si opposero al suo “riformismo dall’alto” e al suo populismo da establishment».
In una fase diversa, anche Puglia e Campania avevano ipotizzato di accettare la “sfida” dell'Autonomia. Salvo poi cambiare tatticamente idea. Potrebbe essere, paradossalmente, un'opzione da riproporre? «Forse a Sud qualcuno si illudeva di imbrigliare gli “animali spiriti” del leghismo, visto anche che il Nord spesso convergeva indipendentemente dal colore politico delle regioni. Forse agiva un riflesso condizionato di quella mutazione non solo simbolica dei “presidenti di regione” in “governatori” unti dalla consacrazione elettorale: una mutazione che poteva rendere naturale la bulimia delle competenze. Intendiamoci: autonomia è una parola bellissima, un concetto promettente. Farla calare, partendo dal tema fiscale, sulla testa di un Paese cresciuto dentro la dinamica dello sviluppo diseguale e con una incancrenita “questione meridionale”, era solo una furbizia lessicale. Si scrive autonomia, si legge secessione: quella dei ricchi. Gianfranco Viesti ha scritto pagine ineccepibili su questo».
E il Sud non dovrebbe fare un esame di coscienza su gestione delle risorse, qualità dell'amministrazione e della spesa? Spesso rischiamo d'essere noi il miglior spot per l'Autonomia differenziata. «Le colpe, talvolta imperdonabili, delle classi dirigenti meridionali, non possono essere messe sul conto dei cittadini del Sud: che già hanno pagato un caro prezzo in termini di arretratezza, carenza di infrastrutture, dominio delle clientele, degrado dei servizi pubblici. Quindi noi dobbiamo essere i critici inflessibili delle tare storiche che hanno azzoppato i nostri territori, ma dobbiamo anche essere consapevoli che c’è tanto Sud che ha lottato contro gli sprechi, la mafia, la corruzione. Ricordo sommessamente che tangentopoli è nata a Milano. Ricordo che l’unica regione italiana non scalfita neppure dallo scandalo denominato “Rimborsopoli”, e che riguardò i rimborsi illeciti percepiti dai consiglieri regionali, fu la mia Puglia negli anni in cui ero governatore».