Chiuso il taccuino della conferenza stampa d’inizio anno, si squaderna l’agenda delle scadenze. Per Giorgia Meloni cominciano le sfide dei prossimi mesi e la corsa a ostacoli verso il voto di primavera. È una gara che si giocherà su più livelli.
C’È QUELLO interno, che riguarda la capacita della struttura di Fratelli d’Italia di reggere concretamente l’impatto col governo. Il caso del colpo sparato nel buio del capodanno biellese dal deputato Emanuele Pozzolo è l’ulteriore segnale di allarme. Al di là della responsabilità specifica e del singolo episodio, del quale si stanno occupando la procura di Biella con l’ausilio del Ris di Parma, il problema politico è evidente ai più: riguarda la selezione della classe dirigente di FdI, un partito cresciuto a dismisura nel giro di pochi anni. L’altro giorno, parlando ai cronisti, Meloni ha ricordato con orgoglio che la forza politica da lei fondata partiva dall’1,9%. Questa espansione repentina, e il salto sul carro meloniano avvenuto sui territori, rischiano di creare più di un imbarazzo. Proprio ieri, del resto, Gianfranco Fini ha raccontato così al Foglio la vicenda emblematica di Pozzolo e la sua storia con il mondo postfascista: «Quando ero presidente di An, lo allontanammo senza nemmeno espellerlo dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale – ricorda l’ex presidente della Camera – Il suo caso non finì sulla mia scrivania, ma se ne occupò Donato Lamorte, capo della mia segreteria politica. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare». Quanti balenghi ci sono ancora in FdI che possono ancora far danni? A questa domanda dovrà rispondere Giorgia Meloni nel corso delle prossime settimane. Se davvero, come è parso a molti in questo inizio di legislatura, ha raschiato il fondo del barile del personale politico alle elezioni che l’hanno condotta fino a Palazzo Chigi, sarà dura compilare le liste per l’appuntamento cruciale del voto di giugno.
PROPRIO le europee rappresentano il secondo capitolo delle meloniadi del 2024. La presidente del consiglio è partita con ambizioni non da poco, puntava a spostare gli equilibri dell’Unione europea e rompere l’asse tra popolari e socialisti attorno al quale ruota la Commissione europea. Per prima cosa, il flop dei neo-franchisti di Vox alle elezioni politiche spagnole dell’estate scorsa ha dimostrato che quell’obiettivo è praticamente irraggiungibile. Meloni può sperare al massimo nell’allargamento della maggioranza a porzioni dei conservatori. Manovra tutt’altro che agile, anche perché lascerebbe spazi a destra e al concorrente interno della Lega di Salvini, che attorno alla candidatura del generale Roberto Vannacci cercano di crescere sul fronte reazionario. La leader di FdI in conferenza stampa ha provato a districarsi, provando a dividere concettualmente il voto sulla Commissione dalle alleanze al parlamento europeo. Resta il rischio di rimanere esclusa dai giochi in Europa, dopo la mezza figuraccia sul Patto di stabilità e la rappresaglia del voto alla Camera sulla ratifica del Mef.
SE SI PARLA di voto, bisogna parlare anche di regionali. Anche qui, in un certo senso, le tensioni tra alleati arrivano dalla crescita rapida di FdI, che se dovesse trovare un bilanciamento nella distribuzione dei candidati a presidente di Regione farebbe saltare il banco. È successo nei giorni scorsi in Sardegna, dove la Lega insiste per ripresentare Christian Solinas e i meloniani vorrebbero gettare nella mischia il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. Ma il domino rischia di travolgere anche le altre Regioni al voto (Piemonte, Basilicata, Abruzzo e Umbria) e di rimando i comuni, a partire dai capoluoghi Firenze, Bari, Cagliari, Perugia, Potenza e Campobasso. Il vertice meloniano da via della Scrofa sostiene di essere sottorappresentato, ma per il Carroccio nelle ultime ore il vicesegretario, Andrea Crippa, ha parlato della necessità di «garantire la continuità e rinnovare la fiducia nei confronti di sindaci e governatori uscenti di centrodestra».
IL TEMPO stringe, e il rompicapo deve essere risolto al massimo entro la fine del mese. Ci sono le liste elettorali da presentare e bisogna sciogliere la questione dei balneari e della direttiva europea sulla concorrenza, sottolineata nei giorni scorsi anche da Sergio Mattarella. L’agenda della premier ancora non presenta vertici in programma. Per ora è stato fissato l’incontro di domani, sull’ex Ilva, tra il governo e Arcelor Mittal, al quale Meloni non dovrebbe presenziare. Ma servirà che tutti i leader si mettano attorno a un tavolo e si guardino negli occhi, per provare a superare gli scogli di questo 2024