L'ALTRA GUERRA. Doccia gelata da Washington: il budget della Casa bianca è esaurito. E Valerii Zaluzhny, ormai nemico giurato del presidente che secondo la stampa ucraina non lo interpella più, sarebbe salito al 70% nel gradimento degli ucraini
Zelensky con il comandante delle forze di terra Oleksandr Syrsky - Ap
Il presidente Zelensky è in crisi? Sondaggi negativi, cattivi rapporti con i vertici delle forze armate, congiunture politiche internazionali e, come se non bastasse, il sostegno economico degli Usa che vacilla, fanno pensare che la popolarità di uno dei leader più osannati degli ultimi anni stia scricchiolando.
PARTIAMO DA UNA NOTIZIA di ieri: Shalanda Young, capo dell’ufficio budget della Casa Bianca, ha inviato una lettera ai capigruppo del Congresso per avvisare che «senza un’azione chiara, entro la fine dell’anno finiremo le risorse per garantire armi e equipaggiamento all’Ucraina; non c’è a disposizione una pentola magica di fondi per affrontare questi momenti. Abbiamo finito i soldi e quasi finito il tempo a disposizione». Young aggiunge una valutazione ovvia, ma che sintetizza bene un pezzo di storia degli ultimi due anni: il mancato rifinanziamento del fondo per Kiev potrebbe «azzoppare le forze armate ucraine sul campo di battaglia».
La funzionaria statunitense si riferisce a un pacchetto di 61 miliardi di dollari da destinare all’alleato Zelensky che rientra in uno stanziamento complessivo da 106 miliardi, nei quali sono inclusi fondi per Israele, il Pacifico (Taiwan) e il confine con il Messico. Il capo della maggioranza al Senato, Chuck Schumer, ha calendarizzato il voto sui finanziamenti straordinari per la prossima settimana, ma gli analisti temono di più l’ostruzionismo del Gop alla Camera. Infatti lo speaker Mike Johnson insiste per votare separatamente i fondi da destinare a Israele (che i Repubblicani sostengono compatti) e quelli per Kiev.
SECONDO IL WASHINGTON POST, del resto, il fallimento della controffensiva ucraina ha deteriorato i rapporti anche con i vertici dell’Amministrazione Biden. Gli alti funzionari inviati in segreto in Europa dell’est per concordare la strategia con gli omologhi di Kiev all’inizio dell’anno non sono riusciti a convincere la controparte che la manovra doveva concentrarsi solo su un punto (fronte sud) e doveva svilupparsi in maniera rapida e massiccia. Lo Stato maggiore ha preferito attaccare su tre fronti dosando le forze. La conclusione la conosciamo.
Ora, è senz’altro possibile che a Washington vogliano tentare di salvare la faccia, ma è indubbio che qui non si tratta solo di questioni di principio. Si tralasci per un attimo il lato umano della guerra e dunque i morti e la distruzione. Sono in ballo miliardi di dollari di armamenti, carriere politiche, equilibri interni e internazionali che prescindono dalla resistenza dell’esercito di Kiev all’occupazione russa.
Se l’Ucraina perde, anche la Nato perde. E perciò, verrebbe da pensare, non si può permettere che l’Ucraina perda. «Possibile che sia rimasto il solo a credere nella vittoria» si chiedeva Zelensky collerico all’inizio del mese scorso sulle colonne del Times.
FORSE IL PUNTO È che sono sempre meno a crederci con lui. Un recente sondaggio riportato dalla rivista britannica The Economist stima che il comandante in capo delle forze armate, Valerii Zaluzhny, ormai nemico giurato del presidente che secondo la stampa ucraina non lo interpella più, sarebbe salito al 70% nel gradimento dei suoi concittadini. Al secondo posto Kyrylo Budanov, il capo dell’Intelligence militare. Solo terzo (32%) l’attuale presidente.
Sarebbe prematuro e sbagliato affermare che l’astro di Zelensky è già tramontato, due anni di guerra hanno distrutto un Paese, figuriamoci cosa possono fare a un leader politico diventato un idolo dalla sera alla mattina. Tutto dipende dal tempo e Zelensky sa che non gliene resta molto per invertire la sua parabola. Speriamo almeno che agli ucraini il tempo e gli interessi degli alleati riservino un avvenire meno spietato