Mentre parte la nuova legislatura, il neodeputato Nicola Zingaretti disegna la road map che condurrà la Regione Lazio al voto intorno alla fine di gennaio prossimo. «La legislatura regionale è conclusa – annuncia Zingaretti al Messaggero – Abbiamo approvato il collegato in bilancio in giunta che sta per andare in consiglio. Si può fare in due o tre settimane, subito dopo io mi dimetterò».
Da presidente di Regione uscente, oltre che da ex segretario, ci tiene anche a sottolineare come l’ipotesi del «campo largo», formula sperimentato per la prima volta proprio nel Lazio che doveva fungere da laboratorio per il resto del paese, non è affatto accantonata: «Il M5S, in quanto ex alleato, non è un avversario – dice – Dobbiamo smetterla di pensare che gli avversari siano movimenti con i quali abbiamo fatto pezzi di strada e ne faremo insieme», scandisce.
Zingaretti proietta esplicitamente la sua esperienza allo scenario nazionale. «Non è corretto che io intervenga sul candidato e le alleanze – afferma – io faccio una riflessione come presidente di Regione sostenuto da una maggioranza che coincide con l’opposizione a Meloni a livello nazionale. Una maggioranza che ha raccolto il 49,5% contro il 44% del centrodestra e credo che prima di una scelta politica». Dunque, si tratterebbe di «un’opera di buon senso fare di tutto per verificare che chi sta governando il Lazio, provi a costruire una proposta per questa Regione».
Proprio martedì scorso, l’assemblea e la direzione regionale del Partito democratico del Lazio hanno approvato all’unanimità la relazione del segretario Bruno Astorre, dando mandato a lui e al gruppo dirigente di lavorare per garantire la sopravvivenza del «modello Lazio». Il fatto che il Pd laziale punti alla ritessitura dell’alleanza di centrosinistra rafforza la posizione dell’aspirante candidato alla presidenza Daniele Leodori, attuale vicegovernatore e considerato artefice del compromesso che ha definito fino ad adesso l’alleanza tra Pd, 5 Stelle, calendiani e renziani in Regione.
L’operazione è tanto più ardita se si pensa che oltre a ricucire con il Movimento 5 Stelle bisognerà provare a tenere dentro anche Azione e Italia Viva. L’elezione diretta del presidente dovrebbe incoraggiare i «terzopolisti» a trovare una collocazione nell’alleanza, anche se Calenda ha già da tempo formulato il suo consueto aut aut: «Il Pd scelga: o noi o il M5S».