LA GUERRA DEI FOSSILI. Chiuso il canale ucraino: «Non siamo in grado di garantire il trasporto nelle zone occupate»
Una stazione della conduttura di gas ucraina a Zakarpattia, 15 chilometri dal confine con la Slovacchia - Ap/Sergei Chuzavkov
Alle parole del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, secondo il quale i governi europei «non possono negare» all’Ucraina l’ingresso dell’Unione, è seguita ieri una delle scelte più forti che la cerchia del presidente Volodymyr Zelensky abbia assunto dall’inizio della guerra: la chiusura del canale che permette all’Europa di ricevere il gas dei giacimenti siberiani.
«NON SIAMO PIÙ IN GRADO di garantire il trasporto nelle zone occupate dall’esercito russo», ha scritto in una nota la società di stato Naftogaz.
A ben vedere si tratta di parole complementari rispetto a quelle di Kuleba. L’Ucraina esige dall’Europa un intervento diretto sulle questioni che legano l’una all’altra. Il gas, com’è noto, è la principale sul piano economico. «Siamo il solo paese in cui i cittadini muoiono per i valori che stanno alla base dell’Unione», ha ribadito il responsabile degli Esteri parlando con il Financial Times.
Il messaggio è chiaro. Bisogna affrontare insieme i russi, che ottengono lentamente territorio negli oblast di Donetsk e di Lugansk e presto potrebbero raggiungere uno degli obiettivi fissati dal capo del Cremlino, Vladimir Putin, ovvero la completa conquista delle due province. Il tubo che trasporta il gas in Europa attraversa l’intera regione. Questo tema non può riguardare solamente Kiev. Al discorso di Kuleba sono seguiti nel volgere di poche ore i fatti di Naftogaz.
FERMARE IL GAS È UN GESTO estremo, l’ultima chiamata di fronte a un problema comune, anche perché il transito è sempre andato avanti senza interruzioni nei due mesi e mezzo dall’inizio dell’invasione. Ma è per certi versi anche un azzardo. Ovviamente è possibile che la scelta sia dovuta a condizioni tecniche, oppure a interferenze dei militari russi con le operazioni delle centrali di pompaggio, ma le valutazioni di carattere politico sembrano oggi avere un peso maggiore rispetto alle altre ipotesi.
Sia come sia, ieri mattina alle sette l’operatore Gtsou ha bloccato il transito alla stazione di Sokhranivka, a est di Kharkov, lungo il confine con la Russia, e ha chiesto a Gazprom di deviare il flusso a Sudzha, poco distante da Sumy, sotto il controllo dell’esercito ucraino. Da Sokhranivka passa circa un terzo del combustibile russo diretto all’Europa. Gazprom ha risposto che è «tecnicamente impossibile» spostare il traffico sullo snodo di Sudzha come gli ucraini vorrebbero. L’Italia per il momento non ha registrato alcun calo nella bilancia delle forniture. Servirà qualche giorno per verificare eventuali differenze.
MA GIÀ DA ORA è lecito pensare che per alcuni paesi dell’est la possibilità di un embargo sul gas russo potrebbe verificarsi con clamoroso anticipo rispetto ai piani di Bruxelles.
Il che, è chiaro a tutti, sarebbe un grosso problema. In particolare per Polonia e Bulgaria, a cui i russi hanno deciso di sospendere le forniture.
LA POLONIA HA FATTO RICORSO all’import da Germania e Repubblica Ceca. La rete è diversa, ma il gas proviene dallo stesso fornitore, che è la Russia. In prospettiva il paese attende nuove infrastrutture sul Mar Baltico per raggiungere un grado maggiore di indipendenza. Ancora più complesso risulta il caso della Bulgaria, il cui sistema energetico dipende in maniera praticamente esclusiva da Gazprom. A Sofia la coalizione di governo è già stata vicina alla rottura. La strategia degli ucraini implica, quindi, un rischio concreto: quello di vedere allentarsi il sostegno a Kiev proprio per affetto di una crisi energetica. È una forzatura. Il risultato non è scontato.
IN OGNI CASO L’OPERAZIONE decisa da Kuleba e Zelensky segna comunque la fine, almeno temporanea, di una delle più grandi ambiguità di questa guerra. Dal 24 di febbraio l’esercito russo combatte con migliaia di uomini e con estrema violenza dentro i confini dell’Ucraina.
Dal 24 di febbraio Gazprom ha sempre pagato regolarmente i diritti di transito per il gas destinato ai paesi europei. Secondo l’Oxford Institute for Energy Studies il governo di Kiev incassa un miliardo e 200 milioni di dollari l’anno.
È l’1 per cento del Pil nazionale, una cifra considerevole, soprattutto nel confronto con i compensi che Gazprom riconosce ad altri paesi: duecento milioni di dollari alla Polonia, zero alla Bielorussia.