Sanità. Il Nadef del governo Draghi ci ripropone il combinato disposto alla base del regionalismo differenziato: la regione accetta di essere finanziata di meno anzi, nella versione veneta, accetta addirittura di autofinanziare la propria sanità con il proprio Pil ma in cambio bisogna dargli più poteri di governo sul sistema.
Ospedale Manzoni a Lecco © Lapresse
Nel consultare il sito ufficiale del ministero dell’Economia e Finanza del 30 settembre si scopre una novità politica che non è presente nel testo del Nadef pubblicato il 29 settembre. E la novità non è certo un dettaglio di poco conto perché si riferisce a un tema cruciale nella battaglia sul servizio sanitario: ovvero sono previste delle disposizioni esplicitamente finalizzate “all’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, comma 3, Cost.”
La questione ha dell’incredibile perché perfino le regioni, in piena pandemia, con l’acqua alla gola, sono state costrette ad ammettere la pericolosità del regionalismo differenziato e quindi a parlare ob torto collo dell’indispensabilità di avere non solo uno Stato centrale ma uno Stato centrale forte. Tant’è che la questione fu accantonata.
È unanime l’opinione, per altro ben rappresentata dal lavoro del generale Figliuolo, che se la pandemia ci fosse venuta addosso con un sistema sanitario non universale ma differenziato come chiedono Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, in ogni senso sarebbe stata una catastrofe nella catastrofe.
La questione del regionalismo differenziato che abbiamo già affrontato altre volte su questo giornale, si può riassumere in poche parole: dentro una logica di secessione si tratta di andare ben oltre la riforma del Titolo V della Costituzione che potenziava i poteri organizzativi e gestionali delle regioni e sancire in tema di salute pubblica delle vere autarchie permettendo alle regioni di svincolarsi da alcune leggi dello Stato e di disobbligarsi dai doveri di solidarietà circa il finanziamento del Ssn. In altre parole si tratta di sostituire il decentramento amministrativo con un accentramento ma differenziato per regioni in modo da inficiare la tutela del diritto costituzionale alla salute, come come vuole l’art 32 della Costituzione.
La questione diventa ancora più grave perché nel Nadef la brutta sorpresa è proposta accanto ad un’altra disposizione, altrettanto irricevibile, vale a dire quella che recupera il famoso definanziamento progressivo inaugurato da Renzi, quando era al governo: l’idea che in nome della sostenibilità finanziaria si debba ridurre gradualmente la spesa sanitaria in rapporto al Pil.
Il Nadef del governo Draghi, nonostante si sia ancora alle prese con una pesante pandemia, ci ripropone il combinato disposto alla base del regionalismo differenziato: la regione accetta di essere finanziata di meno anzi, nella versione veneta, accetta addirittura di autofinanziare la propria sanità con il proprio Pil ma in cambio bisogna dargli più poteri di governo sul sistema. Cioè autarchia. E svincolarla dagli obblighi finanziari di solidarietà. E’ il reddito a decidere il diritto non il contrario.
Questo ragionamento posso capire che calzi a pennello sulla linea di Giorgetti, ministro leghista dell’economia che senza il regionalismo differenziato rischia di scontentare il Nord, ma dovrebbe destare qualche preoccupazione nel ministro della sanità espressione dell’ala sinistra del governo.
Purtroppo non fa ben sperare la sua proposta di Pnrr (missione 6), che è assai probabile indirizzata a dirottare metà dei 20 mld destinati alla sanità verso il privato e il privato sociale. Ma, quello che è più grave, è che nella sua proposta non vi sia un solo accenno alla necessità di arrestare il processo di privatizzazione in atto e neppure riferimenti alla necessità di aumentare i poteri dello Stato centrale, mentre rispunta il regionalismo differenziato.