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Riflessione collettiva. Non è sufficiente invocare una cultura politica di sinistra. E’ il punto di arrivo, non di partenza. Dobbiamo chiederci come nasce una domanda di sinistra nel quotidiano

Un’opera di Idelle Weber

La lettura del documento “Governare la società del dopo Covid”, a cura del network “Ripensare la cultura politica della sinistra”, è salutare. Una riflessione collettiva sui temi analizzati potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per la costruzione di una piattaforma di sinistra.

Le proposte sono di alto profilo e all’altezza dei tempi. Stato, diseguaglianza/e, ricomposizione sociale, accumulazione e capitalismo, mobilitazione sociale: grandi questioni di sfondo, ricomposte in un quadro organico. Più politica che politiche, più coordinate di sfondo che proposte operative (pur non del tutto assenti), ma con una trama unificante.

La diagnosi di partenza è quella del deficit di idee: sono stati persi troppi decenni (non anni, decenni) inseguendo parole d’ordine e proposte che, semplicemente, non sono di sinistra. Occorre rimettere le cose al loro posto. Se nel paese manca una destra liberale, non può essere la sinistra a occuparne il posto. Servono idee di sinistra, che però non camminano da sole. Nel paragrafo dedicato alla mobilitazione sociale si ribadisce la necessità di rinforzare i corpi intermedi e la rappresentanza, contro la narrazione di una politica disintermediata. Obiettivo, questo, tanto importante quanto sconsolante.

Lo stato della rappresentanza politica e l’inconsistenza dei processi di selezione della classe dirigente sono la plastica rappresentazione del flebile raccordo tra la politica che decide nei luoghi del potere e la domanda di sinistra diffusa nel paese. Il tema, diciamolo con chiarezza, non è invocare la società “buona” e contrapporla alla politica “cattiva”.

È, piuttosto, riconoscere che quel (poco o tanto) di valore che c’è nella società non alimenta materialmente la classe dirigente e la composizione della rappresentanza. I saperi diffusi non diventano potere costituito. La domanda di sinistra radicata nella politica del quotidiano non trova un’offerta di partito e una classe politica all’altezza delle aspettative. Per questo, si rifugia nell’astensione o si fa sedurre da troppo semplici proposte.

Le ragioni di questo mancato raccordo sono, in parte, contenute nel documento programmatico, ma si tratta di risposte parziali, come scrivono gli stessi firmatari : “Come arrivarci è certo una domanda difficile, ma qualcosa sappiamo, benché sia lecito chiedersi se siano immaginabili altri vettori in grado di supplire alla debolezza dei partiti.

Sappiamo che un partito si riconosce in una cultura politica condivisa circa l’ordine possibile della società e si organizza per promuovere le sue idee”. Non è sufficiente invocare una cultura politica di sinistra. Questo è il punto di arrivo, non quello di partenza. Dobbiamo piuttosto chiederci perché e a quali condizioni nasce una domanda di sinistra, nel quotidiano e nei vissuti delle persone.

Quali sono le condizioni materiali, sociali e organizzative che stimolano una riflessività di sinistra e una domanda sociale rivolta alle idee contenute nel documento? La risposta non può che essere una: quando le persone articolano un discorso pubblico – quindi potenzialmente valido per tutti – atto a soddisfare contemporaneamente un bisogno/interesse privato e un progetto pubblico.

La domanda di sinistra non deve caratterizzarsi per il sacrificio degli interessi oggettivi, di classe, etnia o genere: ma deve negoziarli in modo trasparente alla luce della loro valenza collettiva e a salvaguardia di chi non può difendere tali interessi, vuoi perché marginale e privo di potere, vuoi perché non ancora nato.

La domanda di sinistra è costruita da un impegno congiunto orientato a un futuro condiviso, valido qui e ora per i miei bisogni/interessi e domani per il mio “io futuro” insieme a “voi”. Ci sentiamo parte di un progetto collettivo con queste caratteristiche solo se esistono luoghi, spazi e oggetti mobilitanti, piattaforme e processi dove i bisogni individuali qui e ora si intrecciano con soluzioni collettive proiettate nel futuro.

In quali occasioni, oggi, abbiamo questa possibilità? Quanto spesso abbiamo occasione di sperimentarci, insieme ad altri, in azioni pratiche dove i nostri interessi incrociano soluzioni che chiamano in causa gli assetti sociali più generali e i bisogni di chi è privo di voce?

Oggi, la sfera privata del consumo e della riproduzione si è schiacciata sulla competizione di status, il cui valore sociale è la distanza guadagnata rispetto agli altri. La famiglia è il luogo per la mobilitazione di risorse private, il cui obiettivo è non precipitare lungo la stratificazione sociale o cogliere le poche buone occasioni offerte da un mercato del lavoro asfittico.

Per ripensare la sinistra, si sostiene nel documento, serve una nuova cultura politica basata su: “una capacità di critica dell’esistente e un impianto intellettuale predisposto a mantenere in campo un punto di vista alternativo. Il cambiamento delle cose si fa nelle cose, ma senza idee non si va da nessuna parte”. Ricordiamoci però che se le idee sono fondamentali, le condizioni quotidiane e materiali della loro genesi e diffusione lo sono anche di più.

Twitter: @FilBarbera