I fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza potrebbero essere usati per le industrie delle armi: su TPI la denuncia di Francesco Vignarca, Coordinatore Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo
Una parte dei fondi del Recovery Plan (Piano nazionale di ripresa e resilienza, PNRR) potrebbe essere destinata all’industria delle armi, come emerge dalla lettura delle relazioni sul piano approvate in questi giorni dalle commissioni competenti alla Camera e al Senato. A denunciarlo a TPI è Francesco Vignarca, Coordinatore Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo, che insieme a Sergio Bassoli nel 2020 ha ricevuto il Premio Nazionale Nonviolenza proprio per il lavoro della Rete.
“Quando abbiamo letto le relazioni approvate in questi giorni dal Parlamento”, spiega Vignarca, “ci siamo accorti che non solo le nostre proposte per il disarmo e la conversione dell’industria bellica coi fondi del Recovery Plan non erano state prese in considerazione, ma che nelle richieste del Parlamento era stata inserita anche quella di finanziare, coi fondi europei, il potenziamento e l’ammodernamento dello strumento militare, che è un modo per dire che saranno investiti più soldi sulla spesa militare”.
Questa previsione è una novità introdotta dal nuovo governo. Infatti la bozza precedente del piano, elaborata durante l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, coinvolgeva l’ambito militare solo per aspetti marginali, come l’efficienza energetica degli immobili della Difesa e il rafforzamento della sanità militare. Al contrario, nelle nuove relazioni è stata inserita la possibilità di usare i fondi europei per l’industria militare in Italia.
La posizione della commissione alla Camera, dove la relazione è stata approvata all’unanimità dalle forze di maggioranza (con l’eccezione di Leu, che non ha rappresentanti in commissione Difesa), rispecchia in pieno quella del governo, come ha confermato anche il sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulé. Il deputato di Forza Italia ha manifestato “apprezzamento per la bozza di parere della Commissione che, nei contenuti e perfino nella scelta dei vocaboli, corrisponde alla visione organica che del Piano nazionale di ripresa e resilienza ha il Governo”.
A giocare un ruolo in questo cambio di rotta rispetto al precedente governo sono state probabilmente le nuove forze di centrodestra della maggioranza: Forza Italia e la Lega. “La maggioranza giallorossa era più restia in questo senso, ora invece con questa grande coalizione che prende dentro anche la destra, è stato più facile spingere in questa direzione”, dice Vignarca, che osserva: “La Lega è sempre stata la paladina dell’industria militare del Nord, è ovvio che abbiano spinto in questo senso e lo si evince dagli interventi del gruppo parlamentare. La particolarità è che persino l’unica forza d’opposizione – Fratelli d’Italia – è favorevole a questa direzione. Non c’è stata nessuna voce che si è levata in senso contrario”.
Cosa dicono le relazioni del Parlamento
Negli ultimi giorni, le commissioni competenti alla Camera e al Senato hanno approvato le relazioni sul PNRR, partendo dalla proposta presentata dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nel testo approvato dalla Camera si legge la raccomandazione a “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”.
La relazione del Senato sottolinea invece che “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”. Lo stesso testo ipotizzata la realizzazione di cosiddetti “distretti militari intelligenti” per attrarre interessi e investimenti.
L’approvazione delle relazioni arriva dopo settimane di audizioni, in cui, come sottolinea Francesco Vignarca, sono stati auditi rappresentanti dell’industria militare (come AIAD, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le “12 Proposte di pace e disarmo per il PNRR” elaborate dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti.
Recovery Plan e armi “green”: la denuncia della Rete Italiana Pace e Disarmo
Dalla Rete Italiana Pace e Disarmo, i riferimenti all’industria militare contenuti nelle relazioni sul Recovery Plan vengono visti come “un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell’industria delle armi”, che il gruppo di attivisti “stigmatizza e rigetta”. “Anche se green le bombe sono sempre strumenti di morte, non portano sviluppo, non producono utili, non garantiscono futuro”, si legge nel comunicato diffuso dall’associazione. “La Rete italiana Pace e Disarmo denuncia la manovra dell’industria bellica per mettere le mani sui una parte dei fondi europei destinati alla Next Generation”.
“Se con la bozza precedente il governo non avrebbe potuto investire nulla dei fondi del Recovery sull’industria delle armi, adesso si è aperta la porta a questa possibilità“, dice a TPI Vignarca. “E ci aspettiamo che, dato che la proposta è stata approvata col voto di tutti, è perché l’intenzione è quella di metterci dei fondi”. Oltretutto, non è neanche detto che questi fondi vengano usati effettivamente per rendere più “green” queste industrie.
“Non sono affatto sicuro che inseriranno solo miglioramenti energetici rispetto alla strutturazione dei sistemi d’arma”, sostiene il rappresentante della Rete italiana Pace e Disarmo. “Potrebbero anche semplicemente considerare che l’industria potrebbe fare da volano economico. Ma noi vogliamo puntualizzare una cosa”, prosegue Vignarca, “non è vero che la ripresa si fa solo con l’industria delle armi. Anzi, il fatturato dell’industria militare è meno dell’1 per cento del Pil italiano, l’export militare è lo 0,7 per cento di quello italiano, gli occupati diretti dell’industria militare sono lo 0,21 per cento di tutti gli occupati in Italia. È veramente l’industria strategica con cui noi rilanciamo l’economia?”.
Ora resta da vedere quanti fondi verranno stanziati dal governo su questo punto, e se la questione verrà in qualche modo impattata dalla necessaria interlocuzione con Bruxelles, che potrebbe segnalare che questi interventi non corrispondono alle linee guida del Next Generation EU, e quindi farli escludere dal piano. “Non mi aspetto grandi cambiamenti, perché purtroppo l’Unione europea proprio da questo ciclo di bilancio ha iniziato a finanziare il Peace Facility, il fondo europeo per la Difesa, con soldi che arrivano direttamente a finanziare gli armamenti, però non escludo che ci sia questa possibilità”.
Il fatto che con un fondo denominato “Next Generation EU” (Nuove generazioni Ue) si possa finanziare l’industria delle armi, per Vignarca, è emblematico. “Per noi il futuro dei nostri figli non dovrebbe basarsi sulle armi, ma sulla lotta al cambiamento climatico, su un’Europa più attenta ai diritti e alle risorse. Non sulle attività militari, che sono strutturalmente distruttive”.
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