Oggi si vota, il Rassemblement National di Marine Le Pen in testa a tutti i sondaggi, il generoso Nuovo Fronte Popolare insegue, il centrodestra di Macron annullato in mezzo. Una bomba si aggira per l’Europa, può chiudere un’epoca difficile e aprirne una decisamente peggiore
FRANCIA. Si vota, i sondaggi danno il Rassemblement National primo al 35%. Macron pare aver perso la scommessa. Può chiudersi un’epoca
È il Brexit francese? Certo il voto delle legislative del 30 giugno e del 7 luglio non sarà un vero e proprio Frexit, cioè un’uscita dalla Ue e tanto meno dall’euro, ma come il voto britannico di otto anni fa, rischia di essere un segnale di chiusura su se stessi, di ripiego, di rigetto dell’altro da sé, che avrà forti conseguenze in Europa.
I sondaggi annunciano un’estrema destra complessivamente intorno al 35%, il Nuovo Fronte Popolare al 29% e il centro appena sotto il 20%. Le previsioni del risultato finale sono difficili, viste le modalità di voto – un maggioritario a due turni, diviso in 577 circoscrizioni, ognuna con delle particolarità specifiche – il tasso di partecipazione, che si annuncia in netta crescita rispetto alle precedenti elezioni, cambia alcune carte in tavola, con la possibilità di più di due candidati al secondo turno (per essere presenti, oltre ai primi due arrivati, bisogna aver ottenuto più del 12,5% degli iscritti). Ma si può già scommettere che per il campo di Macron non ci saranno belle sorprese: il centro, che aveva proposto il superamento degli schieramenti destra-sinistra, è schiacciato tra i due blocchi, come alla fine di un ciclo, estremamente breve. «Il presidente ha ucciso la sua maggioranza» accusa l’ex primo ministro Edouard Philippe, che già pensa all’Eliseo per il 2027.
L’ESTREMA DESTRA ormai domina su una destra di governo boccheggiante e ormai spaccata dallo strappo del presidente dei Républicains, Eric Ciotti, che ha abbracciato il Rassemblement National. Mentre la sinistra, che è riuscita a unirsi nel Nuovo Fronte Popolare, ha suscitato speranze e farà probabilmente un buon primo turno, ma avrà difficoltà al secondo, ad attirare un “fronte repubblicano” per sconfiggere il Rassemblement National. Lo storico Patrick Boucheron parla di «sentimento appiccicoso dell’inevitabile», come un torpore che poco per volta domina, scoraggia e deprime. Nella breve campagna elettorale sono stati i sentimenti – e le illusioni – a prevalere, non la ragione, diventata inudibile. L’eventualità dell’arrivo dell’estrema destra al potere in Francia sarà una bomba devastante per tutta Europa. Parigi debole, con due teste in conflitto, l’asse franco-tedesco insabbiato, freno alle iniziative per il futuro… La fine di un’epoca.
Il popolo a venire (1/2): l’unione della destra contro il Fronte popolare
Il popolo a venire (2/2): per un “contro-populismo”
EMMANUEL MACRON ha fatto lo stesso errore di David Cameron: con una decisione improvvisa, ha convocato in tutta fretta (e contro il parere delle
Leggi tutto: Involuzione francese, Le Pen davanti a tutti - di Anna Maria Merlo
Commenta (0 Commenti)La tremenda, balbettante prova di Biden nel dibattito tv contro Trump incendia i social, gela i media amici e fa saltare in aria il partito democratico. Che ora discute l’impensabile: sostituire il candidato che l’establishment aveva blindato. E che insiste: «Io so fare questo lavoro»
UN PARTITO DIVISO. L’avevano vista arrivare, la débâcle di Joe Biden, ma non nelle dimensioni catastrofiche in cui è stata crudamente, crudelmente, messa in scena per novanta minuti sugli schermi della Cnn giovedì notte
Joe Biden durante il dibatitto con Donald Trump ad Atlanta - AP Photo/Gerald Herbert
La disfatta di Atlanta, i democratici l’avevano vista arrivare, ma non nelle dimensioni catastrofiche in cui è stata crudamente messa in scena per novanta minuti sugli schermi della Cnn giovedì notte. Pensavano, strateghi e big del partito, che Biden, opportunamente protetto da una rete di sicurezza, avrebbe potuto sostenere la difficile prova con Trump.
Tanto che la leadership democratica non ha concepito né predisposto un piano alternativo, come quello che adesso in molti invocano a gran voce e con urgenza, in prima fila i donor che mai come in questa competizione hanno aperto così generosamente il portafoglio.
Il tema dell’età di Joe Biden, unita a una sua crescente fatica a reggere un ruolo così pesante, è all’ordine del giorno dacché la sua ricandidatura è stata messa sul tavolo dall’interessato con il sostegno della famiglia e dei maggiorenti del Partito democratico, ma anche degli ambienti vicini che contano, come il New York Times, Hollywood, i grandi atenei, un fronte che vedeva nel presidente in carica quello più attrezzato per sconfiggere nuovamente l’impostore di New York.
Certo, va detto che ultimamente Biden ha subito un evidente peggioramento delle sue condizioni psicofisiche, probabilmente dovuto alle vicende giudiziarie del figlio Hunter.
Nel suo recente tour europeo, poi soprattutto in un gala per la raccolta fondi a Los Angeles, era apparso in uno stato di smarrimento e di affanno fisico. Ha colpito l’immagine, nell’evento di Los Angeles, di Barack Obama che gentilmente ma fermamente lo conduce
Leggi tutto: Usa, democratici nel panico e senza piano B - di Guido Moltedo
Commenta (0 Commenti)INTERVISTA . Storia critica dell'IDF. Il docente, saggista e filmaker ebreo israeliano spiega: «Nella maggioranza degli stati è lo stato che crea un esercito e l’esercito serve lo stato. Qui è l’inverso, è l’esercito che ha creato lo stato e ha definito la sua identità sionista»
Un tank israeliano al confine tra Gaza e Israele - Ap
Quando ci colleghiamo su Zoom per l’intervista, Haim Bresheeth è da poco rientrato da un presidio di studenti pro-Palestina, uno dei molti a cui è stato invitato in questi mesi, in Gran Bretagna e in altri paesi. Da quando l’esercito israeliano ha cominciato l’operazione genocida su Gaza, Bresheeth si spende per spiegare, per contestualizzare quello che sta avvenendo, come parte di un lungo progetto coloniale, ma la sua voce di ebreo israeliano anti-sionista non trova ascolto nei media di massa. «La Bbc mi ha intervistato quattro volte durante le manifestazioni a Londra. Nessuna è andata in onda. Non vogliono sentire quello che ebrei come me hanno da dire».
Eppure Bresheeth avrebbe più di una ragione per essere ascoltato. Professore di media e cinema in pensione, filmmaker, fotografo, storico e autore di vari libri dedicati a Israele e Palestina, ha passato gli ultimi cinquant’anni a costruire ponti tra culture, lavorando in università britanniche e israeliane, più recentemente alla School of Oriental and Asian Studies (SOAS) di Londra.
È nato a Roma nel 1946, in un campo per rifugiati dove entrambi i genitori, ebrei polacchi sopravvissuti ad Auschwitz, erano riparati. «Ma come apolidi non potevano ottenere un visto, né per rimanere né per andare in altri paesi. Le uniche soluzioni che ci venivano offerte erano tornare in Polonia, dove i sentimenti anti-ebrei non erano sopiti, o andare in Israele. Fin dalla conferenza di Evian, sionisti come Ben Gurion avevano opposto le politiche dei visti per
Commenta (0 Commenti)Nera per essere stata formalmente esclusa dal patto per le nomine europee, Meloni è pronta a salire a bordo con von der Leyen, un po’ di nascosto. La candidata alla Commissione Ue ne ha bisogno e ne condivide le scelte di destra, come scrive in una lettera sui migranti
CLANDESTINA. La premier, esclusa dall’intesa sugli incarichi di vertice, attacca in parlamento: «La logica del consenso scavalcata dai caminetti»
Giorgia Meloni durante le comunicazioni al Senato in vista del Consiglio europeo - foto LaPresse
Furiosa come non la si era mai vista e non solo per l’influenza che la rende febbricitante. Nelle aule di camera e senato per la tradizionale relazione alla vigilia delle riunioni del Consiglio europeo Giorgia Meloni non nasconde massima irritazione e del resto se anche ci provasse non ce la farebbe.
Per garantire la stabilità serve aprire un confronto con i Conservatori. Non faremo mai accordi con i Verdi. Con i Verdi per noi diventa difficile votare
L’umiliazione che ha subìto per la seconda volta consecutiva in Europa brucia troppo. «La logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti nei quali alcuni pretendono di decidere per tutti. Una sorta di conventio ad excludendum in salsa europea che non intendo accettare», dichiara a spada sguainata. La minaccia è esplicita: «Ci sono tre partiti che si considerano maggioranza in Europa e distribuiscono incarichi apicali. Lo vedremo in Parlamento col tempo». E, rispondendo a un intervento dell’opposizione: «Dite che la maggioranza esiste e resiste? Che resista è certo, se esiste lo vedremo col tempo». A Strasburgo una maggioranza stabile non esiste. Si forma per lo più sui singoli voti e ciò lascia ampio spazio di manovra a un gruppo forte e in grado di fare sponda con il resto della destra. La minaccia della Giorgia furiosa non è priva di fondamento.
Non sono i contenuti a mandare la premier fuori di sé. Da quel punto di vista potrebbe dirsi soddisfatta. Le è stato promesso un commissario di serie A con tanto di vicepresidenza esecutiva e non è mai successo che a un partito esterno agli accordi di maggioranza venga assegnato il ruolo esecutivo. Nell’impostazione strategica la politica dell’immigrazione, per come è stata illustrata ieri nella lettera di von der Leyen, potrebbe averla dettata direttamente lei. Sulla guerra in Ucraina l’intesa è totale e anche il passo indietro sul green deal non manca.
IL PROBLEMA È LA FORMA, che in questi casi diventa però sostanza. Per prassi al terzo gruppo per numero di eurodeputati spetta
Leggi tutto: Meloni furiosa verso l’astensione nel Consiglio Ue - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)GOVERNO E MEDIA . Trentacinque anni fa, dopo l’omicidio del rifugiato sudafricano Jerry Masslo, avvenuto nell’agosto del 1989 a Villa Literno, il 7 ottobre di quell’anno, un vasto schieramento di forze sociali promosse la […]
Alcuni momenti della manifestazione dei lavoratori braccianti ieri a Latina - foto di Andrea Sabbadini
Trentacinque anni fa, dopo l’omicidio del rifugiato sudafricano Jerry Masslo, avvenuto nell’agosto del 1989 a Villa Literno, il 7 ottobre di quell’anno, un vasto schieramento di forze sociali promosse la prima grande manifestazione contro il razzismo. Quella data segna la nascita di un movimento antirazzista per i diritti delle persone di origine straniera e contro ogni forma di discriminazione.
A distanza di 35 anni, la condizione del mondo dell’immigrazione è peggiorata e, nonostante il numero di migranti sia cresciuto (da poche centinaia di migliaia del 1989 a più di 5 milioni oggi), abbiamo visto diminuire la visibilità e il protagonismo di migranti e rifugiati, in parallelo a un aumento della politicità dell’argomento e di un uso sempre più strumentale a fini elettorali.
La scarsa presenza nel dibattito pubblico sull’immigrazione dei protagonisti, insieme all’uso aggressivo di argomenti razzisti, ha portato a una progressiva disumanizzazione delle persone, permettendo a politici e giornalisti spregiudicati di usare argomenti esplicitamente razzisti senza alcuna vergogna. Questa condizione ha autorizzato chiunque a considerare stranieri, migranti, rifugiati, lavoratori e lavoratrici come numeri, la cui vita evidentemente non vale nulla.
Le affermazioni di Renzo Lovato, datore di lavoro di Satnam Singh, sulla responsabilità del lavoratore morto «per mancanza di attenzione», cancellano le circostanze che
Leggi tutto: La costruzione del nemico migrante - di Filippo Miraglia
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I 14 ballottaggi nei capoluoghi di provincia finiscono 7-5 per il centrosinistra, con due successi civici. Pd e alleati si confermano a Bari, Firenze, Campobasso e Cremona e conquistano Perugia, Potenza e Vibo Valentia. Le destre si consolano con Rovigo, Urbino, Vercelli, Caltanissetta e Lecce. A Verbania e Avellino vincono due civici.
DUE SETTIMANE FA erano stati assegnati al primo turno altri 15 capoluoghi, con un risultato di 10-5 per i progressisti (tra queste spiccavano le vittorie di Cagliari e Bergamo, mentre le destre confermavano la guida di Pescara e Ferrara). Il dato finale dunque è di 17 città contro 10: rispetto a 5 anni fa, quando la situazione era in sostanziale equilibrio, si registra un’avanzata del centrosinistra, ancora più rilevante visto che nel frattempo le destre hanno vinto le politiche del 2022 e a palazzo Chigi è arrivata Giorgia Meloni.
In questo contesto, vincere in 6 capoluoghi di regione su 6 per Pd e alleati non è una cosa da poco. In particolare in una regione, come la Basilicata, dopo ad aprile le destre avevano stravinto le regionali mentre in questo fine settimane la ricomposizione tra le forze progressiste (dopo i traumi di questa primavera che hanno prodotto una spaccatura anche dentro il Pd che non ha presentato il simbolo)) ha consentito a Vincenzo Telesca di battere col 64,9% il candidato della destra Francesco Fanelli che era indicato come grande favorito della vigilia.
Per non parlare di Perugia, governata da dieci anni dal centrodestra, dove all’inizio della campagna l’outsider Vittoria Ferdinandi veniva considerata, anche dentro il Pd, un azzardo e invece si è imposta col 52% in un ballottaggio durissimo. «Si può battere la destra con un profilo di cambiamento», gongola Nicola Fratoianni che ha sostenuto da subito la sua candidatura. Un campo largo che si è replicato a Campobasso, dove un’altra civica, l’ex provveditrice Maria Luisa Forte, partiva con 15 punti di distacco e ha ribaltato la partita (per un soffio).
A Perugia esplode la festa per Vittoria Ferdinandi sindaca
Leggi tutto: Il centrosinistra vince 17-10 la sfida delle città. Esulta il Pd - di Andrea Carugati
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