INTERVISTA. L’ex ministro Pd: «Serve chiarezza. Anche nelle regioni, se non ci uniamo resta la destra. Su Gaza auspico una linea comune, basta coi risentimenti. Capisco la fatica di guidare i 5S, ma il prezzo non lo può pagare il Pd. Pensare di prendere più voti da soli è miope». «Il governo non si faccia ricattare da Stellantis. Lo Stato entri nel capitale se può davvero incidere sulle scelte. Le promesse fatte dagli Agnelli nel 2020 sull’occupazione sono state tradite, anche il governo giallorosso ha commesso errori sul prestito da 6 miliardi: mai più incentivi senza garanzie sull'occupazione»
Andrea Orlando, deputato Pd, ex ministro del Lavoro. Nei giorni scorsi la tensione tra Pd e M5S è salita oltre il livello di guardia. Conte ha mostrato sintonia con Trump e vi ha accusato di «bellicismo». Un’alleanza è ancora possibile o si tratta di una relazione tossica?
Una coalizione tra le forze alternative alle destre è una strada obbligata e anche possibile guardando ai contenuti, corrisponde a una domanda che c’è nell’elettorato. Di Conte apprezzo il senso di responsabilità e anche il coraggio con cui ha gestito la pandemia. E il modo in cui ha accompagnato sino a qui l’evoluzione del M5s. Quando però Speranza gli ha fatto notare lo stupore per le sue posizioni su Trump, lui ha dato una riposta piccata e risentita, quasi sul piano personale, accusando il Pd di bellicismo. Come se non fosse il leader di una forza politica che, come il Pd, ha la necessità di costruire una coalizione.
Quell’accusa vi ha fatto insorgere e ha aperto lo scontro.
Mi domando come abbia fatto il leader 5s a non accorgersi che quell’accusa avrebbe messo in moto un meccanismo che intralcia il percorso unitario: le parole pesano, quello è un marchio che ci indica come persone che amano le guerre. E proprio nel momento in cui nel Pd matura una posizione più avanzata sul conflitto in Medio Oriente.
Nei prossimi giorni il Parlamento discuterà le mozioni sul conflitto in Palestina. È ancora possibile una posizione comune tra voi?
Mi auguro di sì e credo che ci siano le condizioni, se non prevale la logica del risentimento personalistico. Ricordo a chi ha simpatie per Trump che su questo conflitto ha avuto posizioni molto distanti dalla parola d’ordine “Due popoli due stati”. Una ragione in più per evitare di distribuire patenti di bellicismo.
Schlein ripete che da lei non partono mai polemiche contro le altre opposizioni. Stavolta però la sua postura zen non è durata. Condivide l’idea di evitare il fuoco amico o rischia di farvi apparire arrendevoli?
Serve un giusto dosaggio. Credo che gli elettori apprezzino il nostro atteggiamento unitario, questo però non deve impedirci forme di deterrenza: Elly ha fatto bene a marcare questo punto con equilibrio. A chi giova una escalation che sposti il conflitto dentro il fronte progressista?
Il Conte di questi giorni sembra quello del passato: né di destra né di sinistra, genericamente populista.
Non condivido l’etichetta di trasformismo che gli vogliono affibbiare. Non è semplice guidare le spinte diverse che ci sono nel M5S fin dalle origini, conseguenza anche della crisi del sistema politico: si tratta di un lavoro faticoso che rispetto, ma che non può essere fatto a spese dei potenziali alleati. Oppure, se qualcuno pensa di collocarsi stabilmente all’opposizione lasciando il governo a Meloni a tempo indeterminato, meglio che lo dica subito. La postura radicale si combina male con l’inconcludenza nella costruzione dell’alternativa.
Sta succedendo in Piemonte e Basilicata: Conte non arriva mai all’intesa. Perché?
Forse pensa che, correndo da solo, il Movimento possa raccogliere più voto di protesta, magari ottenendo l’1% in più: un calcolo miope. Una forza politica si misura anche dalla capacità di indicare una prospettiva. E correre sapendo già di perdere non dimostra una grande visione.
C’è un problema di disagio dei cattolici nel Pd? O i moderati usano il tema cattolico per contestare una leader più spostata a sinistra?
C’è in effetti un utilizzo improprio della questione, che non aiuta ad affrontare i temi che realmente richiamano la coscienza. Mi spiego: oggi dove sta scritto che cattolico sia sinonimo di moderato? Spesso sulla critica al capitalismo sono più netti dei laici. Evitiamo dunque i retaggi del secolo scorso. Poi è vero che nel Pd occorre evitare polarizzazioni sui temi etici, riaffermando il principio della libertà di coscienza.
Teme fuoriuscite di cattolici?
Non vedo questo rischio, non c’è nessuna messa al bando di posizioni che hanno piena cittadinanza.
Spesso si legge che le europee saranno dirimenti per la leadership di Schlein. Perché nel Pd ogni elezione diventa una resa dei conti sul leader pro-tempore?
Se ci fosse questo atteggiamento vorrebbe dire che non abbiamo imparato nulla dagli errori del passato. Se si fa di ogni passaggio elettorale l’ultima spiaggia non si costruisce niente: rifondare il Pd è più complicato che costruire Roma. E allora non bastò un giorno.
Il Pd sembra essersi svegliato sul caso Stellantis.
Gradualmente sì. Oggi chi critica l’ex Fiat per il disimpegno in Italia non subisce più il fuoco amico dai compagni di partito. Serve però una posizione più compiuta, mi pare che Schlein sia sulla strada giusta.
Lo Stato deve entrare nell’azionariato?
Se fosse una partecipazione come quella dello stato francese, in grado di incidere sulle scelte, potrebbe servire. Il governo vada a vedere le carte E verifichi la possibilità di incidere effettivamente. Certo, se lo Stato avesse messo i soldi spesi negli incentivi per l’auto in azioni, oggi sarebbe uno dei soci principali di Stellantis…
Chi è più colpevole per il rischio di chiusura di Pomigliano e Mirafiori? L’azienda o il governo che non fa abbastanza?
La responsabilità principale è dell’azienda che continua nella storica linea di minacciare licenziamenti per avere sovvenzioni. Il problema del governo non è solo essere subalterno a queste richieste, ma di essere schizofrenico: Meloni fa la voce grossa, il ministro Urso tratta con Tavares. Se il governo fa due parti in commedia è ancora più debole nella trattativa: bisogna essere meno muscolari davanti alle telecamere ma più stringenti nel vincolare i finanziamenti alle garanzie sull’occupazione in Italia.
Nel 2020 lei chiese vincoli sul prestito da 6 miliardi a Fca: la accusarono di essere sovietico.
Mentre la Francia entrava nel capitale e chiedeva garanzie, da noi chi avanzava dubbi sul prestito veniva subissato di critiche, in particolare dai giornali del gruppo che fa capo agli Agnelli. Il premier Conte e il ministro dell’Economia Gualtieri dissero che c’erano le dovute garanzie per la produzione in Italia: non è andata così, visto che oggi si torna a parlare di chiudere stabilimenti. Ci fu una certa sufficienza verso chi lanciava allarmi, anche nel nostro campo.
Calenda accusa la Cgil di aver smesso i toni duri dei tempi di Marchionne, di non fare abbastanza contro Stellantis.
Mi pare un rimprovero eccessivo, forse qualche autocritica rispetto all’apologia delle scelte di Marchionne dovrebbe farla anche Calenda. Ma oggi, invece delle recriminazioni, occorre costruire un fronte comune di chi vuole difendere i livelli produttivi. Invece che querele tra Landini e Calenda, nel tribunale della battaglia politica portiamoci chi non ha rispettato gli impegni presi col governo.
Il governo, al dunque, cosa dovrebbe fare?
C’è la leva delle risorse pubbliche, che copre gran parte degli investimenti sull’auto in Italia: bene, la si usi fino in fondo invece di farsi ricattare da Tavares. Un cane che abbaia e non morde non fa paura a nessuno