Con il vantaggio accumulato da Giorgia Meloni, il dibattito sul fascismo e l’antifascismo sembra aver ripreso improvvisamente vigore. Fossi un dirigente politico, al di là della contingenza elettorale, prenderei sul serio questo dibattito.

Non si tiene abbastanza in considerazione il fatto che, dovesse vincere, Meloni dovrà giurare sulla Costituzione italiana che è antifascista. Che valore avrebbe il suo giuramento se lei non facesse un passo deciso verso l’accettazione incondizionata dei valori dell’antifascismo e della democrazia nella quale tutti cresciamo ed operiamo grazie alla Resistenza che fu contro i fascisti, oltre che contro i nazisti occupanti.

Da questo punto di vista, l’uscita più infelice di questi giorni Meloni l’ha fatta in merito ad una candidatura a Napoli di un giovane del Pd che avrebbe scritto in una chat lodi alla “Rivoluzione d’Ottobre”, come a bilanciare le innumerevoli critiche a suoi sodali che inneggiano al Duce o al fascismo in vari modi.

Le due cose non sono sullo stesso piano proprio perché l’Italia repubblicana e democratica nasce contro il fascismo in quanto fatto storico e regime duraturo, affermatosi in Italia per più di 20 anni, e non certo contro il comunismo nato in Russia qualche anno prima e durato fino al 1989, ben oltre la caduta del nazi-fascismo, a cui contribuì militarmente. Giorgia Meloni giurerà quindi su una Costituzione antifascista anche se in cuor suo desidererebbe forse fosse una Costituzione anticomunista.

La polemica sul simbolo del suo partito forse fa velo alla questione di fondo. Alla leader di FdI andrebbe chiesta una dichiarazione di antifascismo, diversamente il suo giuramento risulterà falso o quantomeno insincero.

Può Meloni, pur celandosi furbescamente dietro una presunta misoginia dei suoi nemici politici, affrontare questo nodo? E potrà farlo, anche volendolo, davanti ai suoi e davanti al paese? Negli scorsi decenni è stato chiesto ai dirigenti ex-missini di rinunciare all’antisemitismo e li abbiamo visti anche indossare la kippa, ma per una strana distorsione tipica del nostro tempo si è giunti ad identificare l’antisemitismo con la critica al comportamento dello Stato di Israele nei confronti dei palestinesi. Al punto che qualche giorno fa un giovane dirigente del Pd (il partito di sinistra più moderato del mondo), ha dovuto rinunciare alla candidatura perché avrebbe (anche lui) scritto un post contro le politiche di occupazione militare di Israele.

Secondo questo criterio gran parte della classe dirigente della sinistra in Europa dovrebbe dimettersi, perché tanto a sinistra, quanto (bisogna dirlo) in ampi settori della destra, quella occupazione militare non viene accettata, e la cosa con l’antisemitismo non ha nulla a che vedere.

Temo sia solo un cedimento alla propaganda della destra in cambio di una pelosa “neutralità” rispetto all’antifascismo, ma con Giorgia Meloni la finzione entra in crisi, perché lei, coerentemente con le proprie idee, accetta di non definirsi fascista ma non può accettare di definirsi antifascista anche perché perderebbe la nomea di persona “coerente”.

Purtroppo anche a sinistra il dibattito sull’antifascismo è assai confuso. Come confuse sono le analisi sulla disaffezione delle masse popolari rispetto alle politiche della attuale sinistra, percepita come “lontana” se non “casta” e “nemica” da larghi strati della popolazione. Pesano, su questi sentimenti popolari, i ripetuti cedimenti della sinistra istituzionale alle politiche neoliberali che hanno portato ad una precarizzazione larghissima del lavoro e ad un impoverimento sociale, non solo al sud.

Ecco perché il Pd prima non ha appoggiato e adesso non vuole rinunciare al Reddito di cittadinanza imposto da un partito non-di-sinistra come il M5s. Perché sarebbe l’ultimo e forse il definitivo tradimento verso milioni di persone in difficoltà economica. L’ondivago e persino ambiguo rapporto della sinistra istituzionale con le classi popolari però non può giustificare cedimenti sul fronte decisivo della democrazia parlamentare e della costituzione anche se quest’ultima forse andrebbe finalmente adeguata alle nuove forme di socialità, economia e sviluppo umano non prevedibili all’epoca della sua approvazione.

La democrazia prevede che “anche i nemici” debbano partecipare alle dinamiche democratiche, come le elezioni politiche, ma se i nemici, anziché abbracciare i principi della democrazia vorranno importare in Italia le politiche di Orbán allora a sostenere la Costituzione, la Corte Costituzionale, la Presidenza della repubblica e il Parlamento, dovrà esserci un movimento molto ampio e determinato. Pur vincendo le elezioni devono sapere che non potranno abolire in toto o in parte la Costituzione repubblicana e antifascista. Perché ci sono milioni di persone che non sono d’accordo.