Nel 2022 il 44% di chi lascia l’Italia ha tra i 18 e i 34 anni. I Neet sono i più elevati d’Europa. Cgil: “La prima cosa da fare è aumentare i salari”
Il 44% di coloro che hanno lasciato l’Italia nel 2022 era un giovane tra i 18 e i 34 anni. Si tratta di due punti percentuali in più rispetto agli anni precedenti, e la cifra è destinata ad aumentare. È quanto emerge dal Rapporto Italiani nel mondo, presentato dalla Fondazione Migrantes e arrivato alla XVIII edizione. I numeri parlano chiaro: dal 2006 i residenti in un altro Paese sono cresciuti del 91% con un aumento delle donne del 99,3%. I più “colpiti”, come detto, sono i giovani che risultano in fuga dal nostro Paese.
I NEET RESTANO ELEVATI
Ma c’è anche un altro campanello d’allarme che va ascoltato. Sono molto preoccupanti i dati diffusi dal Censis e relativi ai Neet in Italia: i giovani che non studiano e non lavorano sono il 19%. Il dato fa dell’Italia il Paese con il dato peggiore d’Europa, in compagnia della Romania. Se la cifra ha fatto registrare in tempi recenti un lieve calo, questo non risulta in alcun modo consolatorio: il calo è strutturale ed è avvenuto in tutti i Paesi europei, ma nel resto d’Europa i Neet sono scesi raggiungendo la media dell’11%, in Italia sono rimasti molto più elevati. La causa sta in una serie di politiche sbagliate, coltivate in modo trasversale, dagli esecutivi che si sono succeduti negli ultimi tempi.
Cosa fare per colmare il divario tra giovani e lavoro? Se lo chiede la Cgil Nazionale. Sicuramente la prima leva su cui incidere è quella salariale, secondo il sindacato: molti giovani rinunciano a cercare lavoro perché realizzano che il mondo del lavoro offre solo contratti con pochi diritti, salari da fame, orari che non vengono rispettati e scarse opportunità di crescita. Secondo l’Inps, ci sono settori in Italia in cui oltre il 50% dei lavoratori è povero: un dato che fa saltare completamente tutta le retorica del merito offerta dall’attuale governo, che ha previsto anche la cancellazione del reddito di cittadinanza.
"La prima cosa da fare è far crescere i salari”, così la segretaria confederale Lara Ghiglione. “Il governo ha deciso di far naufragare la legge sul salario minimo – spiega -, ma questa scelta equivale a uno schiaffo a milioni di lavoratori sfruttati che continueranno a percepire salari da fame. Va da sé che se il lavoro fosse pagato degnamente, e se venissero rispettati i contratti in termini di orari, paghe e garanzia dei diritti, ciò costituirebbe una leva molto forte per spingere tanti giovani a impegnarsi nella ricerca attiva del lavoro”.
Un discorso simile vale anche per la formazione. “Ha senso se la si percepisce finalizzata a trovare un lavoro dignitoso – aggiunge la sindacalista -; ma se invece, come oggi accade, il rischio è quello di passare anni a formarsi e studiare per poi passare altri anni a fare la fame e farsi sfruttare, allora è ovvio che tante e tanti ritengano più ragionevole gettare la spugna”. Insomma “è la fiducia nel futuro, che va ricostruita, ma la fiducia deve basarsi su fatti concreti – a suo avviso -: salari, diritti, certezze sulla pensione, la casa, il welfare”.
LA CGIL PER LE NUOVE GENERAZIONI
Non basta il leggero calo dei Neet, naturalmente. “Bisogna vedere cosa sono andati a fare quei – comunque pochi – giovani che hanno deciso di ‘mettersi a fare qualcosa’. Se quel qualcosa è un lavoro sfruttato – però -, o un tirocinio di pochi mesi, o un contratto precario e sottopagato, allora questi dati non fanno altro che consegnarci ulteriori elementi di preoccupazione”.
Il sindacato di Corso d’Italia lo sta dicendo ormai da tempo: il governo procede in direzione opposta. Da parte sua, la Cgil in questi mesi “è impegnata in un rinnovato percorso per attivare, coinvolgere e organizzare le nuove generazioni – . Questo nella convinzione che il protagonismo dei giovani può essere la leva più potente per costruire il futuro. Transizione ecologica, salario minimo garantito per legge, diritto allo studio pienamente garantito a tutte e tutti, una previdenza che parta dai bisogni dei più fragili, sanità pubblica di qualità: i problemi dei giovani non sono solo un problema dei giovani – conclude Ghiglione -, ma ci riguardano tutte e tutti perché riguardano l’identità e il futuro del nostro Paese”.