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La Cgil lancia una piattaforma in dieci punti per salvare Il Servizio sanitario pubblico. Barbaresi: “Rivendiamo il diritto alla salute per persone e comunità”

  Foto: da Pixabay

Misure “necessarie e urgenti”, quelle elaborate dalla Confederazione di Corso d’Italia per evitare l’assassinio del servizio sanitario, la violazione dell’articolo 32 della Costituzione, la privatizzazione della sanità. Un vero e proprio decalogo che trae origine e forza da un’analisi approfondita e dettagliata dei dati elaborata dall’Area Stato sociale e diritti della Cgil nazionale. Però, è bene sottolinearlo, la fonte dei dati elaborati non è il sindacato ma sono l’Istat, l’Inps, il ministero della Salute, la Corte dei Conti e gli istituti di statistica europei. E la fotografia scattata è sconcertante e preoccupante. Soprattutto in vista della imminente legge di bilancio.

Le premesse della Nadef

La salute pubblica dell’Italia rischia grosso. Questa la sintesi di quanto messo nero su bianco dal governo nella Nota di aggiornamento del Def presentata in Parlamento nelle scorse settimane. Non solo nessuna risorsa aggiuntiva per quest’anno come richiesto, oltre che dalla Cgil, dalle Regioni tutte, che non riescono a far fronte alle spese. Ma dal 2023 c’è una vera e propria riduzione del Fondo sanitario nazionale. Si legge nello studio della Cgil: “Oltre alla revisione al ribasso dello stanziamento per l’anno in corso (-1,3 miliardi, pari a -1,0%) a cui si aggiunge un ulteriore taglio per il 2024 (-1,8 miliardi, pari a – 1,3%), che si conferma al 6,2% del Pil per il 2024, e torna a scendere al 6,1% nel 2026, la Nadef conferma la volontà di disinvestire e, quindi

nei fatti, di proseguire nello smantellamento del Ssn e di favorire la privatizzazione della salute”.

 

Da dove si parte

Se nel 2020 il governo di allora ha destinato il 7,4% del Pil alla sanità, che però ha dovuto far fronte alla pandemia da Covid, già l’anno successivo le risorse sono diminuite, mentre l’emergenza Covid no e la difficoltà del Ssn a far fronte ai bisogni di salute di cittadini e cittadine è aumentata. I numeri parlano chiaro: nel 2022, vista la grande differenza tra le risorse assegnate dallo Stato alle Regioni per la copertura dei Lea e per l’assistenza sanitaria e quanto effettivamente è stato speso, la Corte dei Conti ha certificato un disavanzo di 1,5 miliardi e la non soddisfazione dei Lea con enormi differenze territoriali. E per il 2024 la Nadef destina alla sanità solo il 6,2% del Pil.

Diritto alla salute negato

Ancora non sono state recuperate le prestazioni accumulatesi duranti i mesi della pandemia, ma a quelle si sono sommate quelle degli anni successivi. Il risultato è che non solo si fa fatica a curarsi ma la prevenzione, uno dei tre pilastri fondamentali della legge del 1978, strumento indispensabile per garantire salute, è impossibile da realizzarsi. “Nel 2022 la quasi totalità delle Regioni non ha ancora recuperato le code accumulatesi durante la pandemia, né raggiunto i livelli di specialistica ambulatoriale del 2019: una condizione che contribuisce ad accrescere il peso della rinuncia a cure e prestazioni. A inizio 2022 risultano in attesa 630 mila ricoveri programmati, 14 milioni di prestazioni ambulatoriali e 3 milioni di prestazioni per screening”.

 

 

Privatizzazione nei fatti

Se nel 2022 i cittadini e le cittadine hanno speso 42 miliardi per curarsi – 37 direttamente dalle loro tasche, 5 attraverso le polizze integrative -, se una parte dei servizi ospedalieri è esternalizzata e data in appalto a cooperative o personale a partita Iva o a gettone, se una quota crescente di prestazioni vengono erogate dal privato convenzionato, il gioco è fatto. È la privatizzazione della sanità, senza però che sia stata discussa e decisa democraticamente. Ed è una palese violazione del dettato costituzionale. E, come è ovvio, non solo dell’articolo 32 ma anche dell’articolo 3, quello che afferma che tutti i cittadini e le cittadine sono uguali di fronte ai diritti. Non è più così, chi può si paga la salute e chi non può non si cura. E sono i dati a renderlo evidente: 4 milioni di persone hanno rinunciato alle cure per difficoltà economica. Differenze tra cittadini e differenze tra territori, figuriamoci cosa succederebbe se ci fosse l’autonomia differenziata!

Impietoso il confronto con l’Europa

Ciò che lascia davvero sconcertati è che il diritto alla salute noi lo abbiamo in Costituzione, altri Paesi no, eppure, sempre secondo lo studio dell’Area Stato sociale e diritti della Cgil, “nel 2022 la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è stata pari a 2.208 euro, a fronte di 5.086 euro in Germania e 3.916 euro in Francia, Paesi nei quali negli ultimi 10 anni la spesa sanitaria pubblica pro capite, a parità di potere d’acquisto, è notevolmente cresciuta. Per raggiungere il livello della spesa media europea, al Servizio Sanitario Nazionale italiano occorrerebbero 50 miliardi di euro in più all’anno e almeno 35 miliardi per raggiungere la media Ocse”.

 

 

Il decalogo della Cgil

Innanzittutto occorrono 5 miliardi in più per prossimi anni al Fondo sanitario nazionale. La premier Meloni proprio in queste ore afferma che non servono risorse ma occorre spendere meglio, i presidenti di Regioni, anche quelli del centro destra, affermano invece che le risorse aggiuntive servono eccome. Ovviamente, poi, occorre un piano straordinario di assunzioni per tutte le professioni sanitarie investendo sul personale; è necessario rilanciare a riadeguare la rete ospedaliera. Indispensabile è ridurre le liste di attesa e per farlo occorre costruire la sanità di territorio, riformare la medicina generalepotenziare l’assistenza domiciliare, potenziare i servizi di salute mentale e i dipartimenti per le dipendenze.

Ancora, occorre potenziare il sistema dei consultori pubblici; migliorare il sistema di residenzialità; fermare i processi di esternalizzazione e privatizzazione eliminando, tra l’altro, il tetto di spesa per il personale. Bisogna riconoscere l’importanza della prevenzione e della promozione della salute; sostenere le persone non autosufficienti e promuovere politiche per la piena inclusione sociale delle persone con disabilità.

Camminare insieme

Nel 1978 si arrivò all’approvazione della legge di riforma del sistema sanitario grazie a un’alleanza tra lavoratori, utenti, operatori e cittadini che diede vita ad una grande mobilitazione che chiedeva l’attuazione della Costituzione. Tina Anselmi, ministra della salute, e Giovanni Berlinguer, relatore in Parlamento della legge, realizzarono quella attuazione dando vita a un Sistema sanitario che per anni ci è stato invidiato e che ancora oggi, grazie al lavoro e all’impegno dei professionisti della salute, è un bene prezioso da difendere.

Oggi, come allora, per impedirne lo smantellamento e per non decretarne la morte per consunzione occorre una grande alleanza tra operatori, organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici, cittadini e cittadine che insieme percorrano la via maestra della mobilitazione in difesa della Costituzione e del diritto alla salute. A cominciare dal prossimo 7 ottobre.

L'indagine della Cgil

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