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PALESTINA. Sono passati 300 giorni dall'inizio del genocidio del popolo palestinese di Gaza. 39.480 gli uccisi, 10 mila i dispersi, 91.128 i feriti. Oltre i numeri ci sono le storie di persone in carne e ossa, di intere comunità e famiglie che, da più di 9 mesi, vengono sottoposte a orrori quotidiani.

Macerie di un edificio a Khan Younis dopo un attacco israeliano(Ap) Macerie di un edificio a Khan Younis dopo un attacco israeliano - Ap

Trecento giorni fa iniziava il massacro dei palestinesi di Gaza. Da allora 39.480 persone sono state uccise, 10 mila disperse, 91.128 ferite. Insieme compongono il 6% dei 2.2 milioni abitanti della Striscia (cifra pre-guerra). Le statistiche, però, non raccontano tutto. O meglio, siamo noi che fatichiamo a cogliere il racconto nella sua interezza, a ricordarci che anche un numero così grande come 39.480 è composto da tanti uno e che quegli uno sono persone in carne e ossa. Il ricercatore dell’università dell’Oregon Paul Slovic parla di “intorpidimento psichico”, un fenomeno umano secondo il quale ci viene molto più facile provare compassione per un singolo individuo che per un gruppo di persone. Più i numeri salgono, più diventiamo insensibili alla tragedia.

Fra gli uccisi, 16.314 sono bambini. Una di loro è Dounia, dodici anni, era all’ospedale Nasser di Khan Younis quando una granata da carrarmato ha colpito il dipartimento pediatrico dove era ricoverata. Prima di perdere la vita, aveva perso i genitori, il fratello e la sorella in un attacco aereo che la aveva lasciata senza una gamba.

Almeno 35 persone sono morte di fame, la maggior parte di loro erano bambini. Secondo degli esperti incaricati dall’Onu, la grave malnutrizione ora non colpisce più solo il nord di Gaza, ma si è diffusa nel centro e nel sud della Striscia. Colpevoli sono gli incessanti attacchi israeliani che non conoscono “zone sicure”: dall’offensiva militare del 5 maggio sulla città meridionale di Rafah, gli aiuti umanitari entranti a Gaza sono diminuiti del 67%, stimava l’Onu a fine maggio. Secondo il database Unrwa, se 5.671 camion di aiuti umanitari hanno raggiunto la Striscia nel mese di aprile, sono solo 909 i camion consegnati a luglio. Più di sei volte meno rispetto a una quantità che era comunque ampiamente insufficiente a soddisfare i bisogni primari della popolazione.

Israele ha sganciato 82 mila tonnellate di esplosivo contro Gaza dall’inizio del conflitto, riporta Al-Jazeera. Queste hanno raso al suolo 150 mila unità abitative. Il Burj al-Taj 3 era un edificio residenziale moderno nel centro di Gaza city che ospitava trecento persone divise in trenta appartamenti. Viene fatto esplodere il 25 ottobre e la scena è catturata da un video pubblicato dall’esercito israeliano. La didascalia: “attacco a un tunnel terroristico di Hamas”. Le testimonianze dei sopravvissuti compaiono in un’inchiesta di Der Spiegel, secondo la quale nel seminterrato dell’edificio viveva la famiglia Balousha; genitori, nonno, zia e sette ragazzini. Vengono tutti seppelliti dalle macerie, la madre Rawan non riesce a muoversi ma continua a respirare, sua figlia diciottenne Nagham è insieme al nonno in una cavità che si è creata sotto i detriti. Sentono la sorella dodicenne Lee allucinare e poi tacere all’improvviso. Nagham urla chiedendo aiuto per ore e, dopo un po’, un trattore per poco non la schiaccia. Solo dopo 24 ore lei, la madre e il nonno vengono soccorsi: sono gli unici sopravvissuti.

Le bombe hanno completamente distrutto anche 206 siti archeologici, 3 chiese e 610 moschee. Della moschea più antica di Gaza, conosciuta come Grande Moschea Omari, rimangono solo rovine dopo un attacco aereo israeliano: era stata eretta nel settimo secolo sul sito di una chiesa bizantina e, danneggiata diverse volte nel corso degli anni da conflitti – i britannici la hanno bombardata durante la Prima guerra mondiale – e da un terremoto, è sempre stata riscostruita.

117 fra scuole e università di Gaza non esistono più, mentre altre 117 sono state parzialmente distrutte o rese inabitabili. A soli 100 giorni dall’inizio dell’offensiva, nessuna struttura universitaria era funzionante. Gli esperti delle Nazioni unite parlano di “scolasticidio”, ritenendo «ragionevole chiedersi se ci sia un tentativo intenzionale di distruggere completamente il sistema educativo palestinese».

Quando Israele ha ucciso sette operatori umanitari della World central kitchen il primo aprile, lo ha definito come «un incidente isolato». Human rights watch (Hrw) ha invece identificato almeno altri sette casi in cui membri di organizzazioni umanitarie come Medici senza frontiere o agenzie Onu come Unrwa sono state attaccati dopo aver coordinato il loro accesso con le autorità israeliane. L’8 gennaio un proiettile israeliano ha ucciso la figlia di 5 anni di un operatore di Msf che si trovava in un edificio a Khan Younis con altri 100 operatori dell’associazione.

I giornalisti sul campo sono stati e sono tutt’ora fondamentali nel riportare gli orrori quotidiani di Gaza. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), che parla di un «evidente tendenza a bersagliare i giornalisti e le loro famiglie», almeno 111 sono stati uccisi dall’inizio di ottobre. Per il governo di Gaza, il bilancio sale a 165. Due giorni fa il giornalista di Al-Jazeera Ismail al-Ghoul e il suo cameraman Rami al-Rifi sono stati ammazzati a Gaza ovest da un attacco aereo israeliano contro la loro vettura. La loro collega Hind Khoudary riferisce l’accaduto da Deir al-Balah sottolineando che «facciamo tutto il possibile, indossiamo le casacche blu della stampa, gli elmetti, non andiamo in luoghi non sicuri ma veniamo presi di mira in posti normali dove ci sono cittadini normali»

 

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A Teheran i funerali del capo di Hamas. L’Iran giura vendetta, Hezbollah: «Piangerete». E Israele prepara l’invasione del Libano. Trecento giorni di guerra a Gaza non bastano alle diplomazie globali: Medio Oriente sull’orlo di una guerra ancora più grande

LI FERMI CHI PUÒ. Discorso incendiario del leader di Hezbollah ai funerali di Shukr. Scontri al confine, un raid israeliano uccide una famiglia siriana

Nasrallah rilancia: «Risponderemo». Il Libano trema Il discorso in tv di Hassan Nasrallah - Epa/Wael Hamzeh

«Non capite che tipo di linea rossa avete oltrepassato. Il nemico dovrà aspettarsi collera e vendetta. Siamo entrati in una nuova fase, in relazione a tutti i fronti di supporto. Israele gioisce adesso. Hanno ucciso Sayyed Mohsen (Fuad Shukr) e Ismail Haniyeh a distanza di poche ore. Ridete adesso, ma presto piangerete». Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, è caustico nel suo discorso in occasione dei funerali del comandante Shukr, ucciso nell’attentato di lunedì sera a Beirut.

IL PARTITO/MILIZIA non può permettersi di non rispondere o di farlo in maniera blanda. Ne andrebbe della sua reputazione tra i sostenitori e a livello internazionale. Se l’attentato del 2 gennaio, nel quale Israele aveva ucciso il numero 2 di Hamas, Saleh Aruri, sempre nella Dahieh (periferia a sud di Beirut controllata da Hezbollah) poteva anche essere considerato solo un colpo indiretto al Partito di Dio, l’uccisione di Shukr ha tutt’altro peso.

Una risposta solo formale sarebbe un invito a bombardare Beirut ogni volta che Israele ne senta la necessità. L’uccisione del numero due di Hezbollah, come quella del capo politico di Hamas, Haniyeh, a poche ore di distanza dal punto di vista militare/strategico non rappresenta molto: «Quando uno dei nostri comandanti arriva al martirio, lo rimpiazziamo rapidamente con uno dei suoi allievi. Abbiamo un’eccellente nuova generazione di comandanti», precisa Nasrallah. Ma il valore di quest’omicidio, in questo momento, in questo luogo, in questo modo è altamente simbolica. La Dahieh, dove si trovava il palazzo colpito dal drone israeliano, è il cuore beirutino della resistenza sciita, il quartier generale di Hezbollah nella capitale.

«GLI ISRAELIANI non sanno da dove verrà la risposta. E Israele non sa verso cosa sta andando. La decisione la lasciamo al campo. È il campo che sa quello che si deve fare. Noi cercheremo una risposta reale, non di facciata. Cercheremo una risposta studiata», continua la massima carica del Partito di Dio. Migliaia in strada nella Dahieh, galvanizzati, cantano

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È aumentato il numero di domande presentate su ‘Sfinge Alluvione 2023’, il portale attraverso il quale le imprese e le famiglie, colpite dagli eventi alluvionali di maggio 2023 nel territorio della regione Emilia-Romagna, possono compilare e inoltrare le richieste di rimborso. La situazione però resta “preoccupante e critica”, per usare le parole del sindaco di Faenza Massimo Isola.

Imprese

Dall’analisi dei dati fino al mese di luglio - riferisce una nota dell’Unione Romagna Faentina - le domande pervenute dalle imprese sono 106; di queste 20 sono state chiuse positivamente, 80 sono in corso di istruttoria e 6 sono state ritirate dai richiedenti stessi per diverse motivazioni: errata o carente compilazione e dunque dovranno essere ripresentate. Relativamente alle 20 domande presentate dalle imprese che hanno avuto esito positivo il contributo concesso, per i soli danni strutturali, è stato di 635.506,45 euro.

Famiglie

 

Per quanto riguarda le famiglie, le domande presentate attraverso la piattaforma Sfinge sono state 223: 81 sono state chiuse positivamente, 124 sono in fase di istruttoria e 18 ritirate dai richiedenti. Anche in questo caso, per i soli danni strutturali, il contributo concesso per le 81 già ‘chiuse’ ammonta a 2.854.356,79 di euro.

Le tempistiche

Per le domande presentate dalle imprese, il tempo medio di ‘lavorazione di primo livello’, pratica seguita dagli uffici dell’Unione in riferimento al controllo formale, è di 8,07 giorni; il tempo medio di risposta dell’utente all’eventuale richiesta di integrazione è di 7,73 giorni. Il tempo totale calcolato dalla data di presentazione della domanda alla chiusura positiva dell’istruttoria di secondo livello, che comprende la valutazione di merito e la proposta di decreto del commissario straordinario, è di 113,33 giorni. Per le domande presentate dalle famiglie, il tempo medio di lavorazione dell’istruttoria di primo livello è di 12 giorni; il tempo medio di risposta dell’utente all’eventuale richiesta di integrazione è di 5,74 giorni; il tempo totale calcolato dalla data di presentazione della domanda fino alla chiusura positiva dell’istruttoria di secondo livello, quindi comprensivo della valutazione di merito e della proposta di decreto del commissario, è stato di 82,41 giorni.

 

Isola: “Situazione preoccupante”

“I numeri forniti dai nostri Uffici - sottolinea il sindaco di Faenza e presidente dell’Unione, Massimo Isola - fotografano una situazione preoccupante. Le domande presentate e quelle ammesse, sia per le famiglie che per le imprese, sono numericamente basse. D’altra parte, però si rileva che in questo momento, all’esito positivo dell’istruttoria della pratica, viene erogato immediatamente il 50% del contributo riconosciuto, ben oltre a quanto previsto dalle ordinanze. L’Unione della Romagna Faentina ha dedicato personale presso lo sportello emergenza per affiancare i cittadini e le imprese nel disbrigo delle pratiche per le richieste di rimborso. I tecnici stanno lavorando alacremente anche se la complessità e l’impatto burocratico delle ordinanze ci portano ad affermare che è ancora lontano l’obiettivo fissato di rendere semplice il modo e rapidi i tempi di riconoscimento di contributo. A questo bisogna aggiungere che il rimborso massimo per i beni mobili per ogni famiglia è fissato ad oggi a 6mila euro; questi due scenari evidenziano una situazione ancora critica. I dati oggettivi dai nostri Uffici spingono a chiedere, alla struttura commissariale e al governo, di accelerare i tempi affinché i nostri cittadini, dopo tanti mesi dai fatti alluvionali, possano avere maggiori certezze”.

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IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA . Un contro-diario olimpico. Cosa succede a Parigi mentre il mondo ha gli occhi puntati sui Giochi

 

Nelle sale stampa e negli impianti sportivi, cibo e bevande sono vendute da Coca-Cola; su place de la Concorde, a due passi dagli stadi di BMX e skateboard, un gigantesco stand di Alibaba promette un’esperienza consumistica di grido; gli atleti ricevono in dono al loro arrivo al villaggio olimpico dei telefoni Samsung, come se non bastassero i gazebo che l’azienda ha piazzato un po’ ovunque, nel gigantesco press center a Porte Maillot così come attorno agli stadi; se si vuole pagare qualcosa, bisogna farlo con una carta Visa, l’unica accettata a Parigi 2024, poiché sponsor ufficiale dei giochi.

Le Olimpiadi sono una grande celebrazione del capitale internazionale. Un grigio, pantagruelico festino di marche, loghi e pubblicità, una fredda orgia di merce e di consumismo destinata a sommergere i sensi dello spettatore.

Nessuna multinazionale incarna questo particolare aspetto dello spirito olimpico meglio di LVMH, il gruppo francese del lusso che possiede marche come Dior, Louis Vuitton, Sephora e Givenchy (tra numerosissime altre), di proprietà del miliardario Bernard Arnault. Per 150 milioni di euro “donati” al comitato organizzatore, LVMH si è letteralmente comprata i giochi: gli champagne prodotti dalle sue filiali innaffiano le zone Vip, le divise e i vestiti di gala usciti dai suoi atelier vestono gli atleti francesi, le medaglie sono state concepite dai suoi gioiellieri, persino le valigie nelle quali ha viaggiato la fiaccola olimpica sono state prodotte dalla sua filiale più importante, Louis Vuitton. Bernard Arnault, il padrone del gruppo, è l’uomo più ricco del mondo (o quasi: si gioca il primato con Jeff Bezos). Ha seguito la cerimonia d’inaugurazione delle Olimpiadi da una terrazza privata in cima alla Samaritaine, il grande magazzino proprietà di LVMH situato praticamente davanti al Louvre, in “un pavillon a forma di valigia Louis Vuitton, costruito a luglio al decimo piano” del palazzo, scrive Le Monde.

In teoria, le regole del CIO vietano la pubblicità all’interno degli stadi. Ma per corporation come LVMH, sono le eccezioni a essere la regola.

Così, ogni qual volta si dovranno premiare degli atleti, le medaglie saranno portate su palchi e podi da dei volontari muniti di grandi valigie siglate Louis Vuitton. Certo, non ci saranno loghi né scritte; ma il motivo “LV” è esso stesso un simbolo riconosciuto in tutto il mondo. Un simbolo che comparirà durante ognuna delle 871 cerimonie di questo tipo previste durante le Olimpiadi e le paralimpiadi, che apparirà su ogni schermo del pianeta per settimane, fino a restare impresso, indelebile, nelle retine degli spettatori del mondo intero

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Un missile israeliano uccide a Teheran il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. In un colpo solo Netanyahu infiamma lo scontro con l’Iran e si fa beffe della diplomazia globale: dialogo su Gaza affossato, ostaggi sacrificati e l’intero Medio Oriente sull’orlo di un rogo

MEDIO ORIENTE. Haniyeh era in Iran per incontrare gli alleati. Medio Oriente sull’orlo della guerra totale. La Repubblica islamica promette di reagire, ma c’è chi spera che prevalga la via diplomatica

 Teheran, in marcia per Haniyeh - Ap/Vahid Salemi

Il silenzio della calda notte del 30 luglio nel ricco quartiere nord della capitale iraniana viene interrotto da una forte esplosione alle 1.45 ora locale. Quattro ore dopo, un comunicato delle Guardie della Rivoluzione conferma l’assassinio di Ismail Haniyeh, leader dell’ufficio politico del movimento palestinese Hamas, e di una delle sue guardie del corpo.

Anche senza una dichiarazione ufficiale, è evidente il coinvolgimento israeliano, che segna un’importante escalation e aumenta i timori di una guerra totale in Medio Oriente. E che arriva meno di 24 ore dopo l’attacco israeliano, definito «operazione di assassinio mirato», contro il comandante di Hezbollah Fuad Shukr a Beirut.

HANIYEH si trovava in Iran per partecipare alla cerimonia di giuramento del neoeletto presidente iraniano, Masud Pezeshkian, a cui avevano preso parte decine di delegazioni straniere, tra cui ministri e funzionari di Cina, Turchia, Arabia saudita, Egitto e Sudafrica. «Il legame tra le orgogliose nazioni dell’Iran e della Palestina sarà più forte di prima, e il percorso della resistenza e della difesa degli oppressi sarà seguito con maggiore determinazione – ha scritto il neo-presidente iraniano – Difenderemo la nostra integrità territoriale, il nostro onore e la nostra dignità e faremo pentire gli occupanti codardi delle loro azioni».

Il leader supremo Ali Khamenei ha dichiarato: «Il regime criminale e terrorista sionista ha martirizzato il nostro caro ospite nella nostra casa e ci ha rattristati, ma ha anche preparato per sé una dura punizione». Da anni, Israele ricorre a sabotaggi, rapimenti e omicidi mirati sul territorio iraniano. Tuttavia, dopo la rappresaglia missilistica e con droni dell’Iran su territorio israeliano in risposta al bombardamento del suo consolato a Damasco, sembrava che la tensione fosse momentaneamente diminuita.

«L’uccisione del leader di Hamas sul suolo iraniano soddisfa sia i falchi israeliani, che non hanno remore nel creare una guerra totale e non si preoccupano nemmeno della vita dei loro ostaggi, sia i super-falchi del nostro regime, che vogliono affossare il nuovo governo riformista e mantenere i loro poteri e privilegi – spiega un analista iraniano al manifesto, che ha chiesto l’anonimato – La precisione dell’attacco mostra non solo il fallimento del nostro sistema di sicurezza, ma anche, con molte probabilità, la complicità all’interno dei servizi di sicurezza del paese e delle guardie del

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REAZIONI INTERNAZIONALI. Londra posticipa l’embargo alle armi per Tel Aviv. Lammy: «Servono per la difesa»

Casa bianca: «Evitare la guerra totale». Condanna di Mosca, Teheran e Hamas Sergei Lavrov - foto Ansa

Mentre i servizi d’emergenza libanesi stanno ancora scavando sotto le macerie del palazzo colpito da un drone israeliano alla periferia meridionale di Beirut, dal mondo sono arrivate le prime reazioni.

Prudenti gli Usa che tramite la portavoce della Casa bianca, Karine Jean-Pierre, hanno dichiarato che «la guerra totale tra Israele e Libano si può ancora evitare» senza menzionare mai l’attacco di Tel Aviv. Poco dopo la Cnn ha rivelato, citando una fonte anonima, che il governo di Netanyahu aveva informato Washington in anticipo. La fonte della tv statunitense ha aggiunto che l’informazione è stata scambiata a livello degli apparati di sicurezza, ma non ha specificato quando sarebbe avvenuto lo scambio. Più perentoria la Russia, che dal ministero degli Esteri ha denunciato «un attacco che è una palese violazione del diritto internazionale».

TRA I PRIMI a prendere parola anche i rappresentanti italiani. La premier Meloni, da Pechino, si è detta «molto preoccupata per ciò che sta accadendo in Libano, per il rischio di un’escalation regionale, proprio mentre sembrava che ci potessero essere degli spiragli». Meloni ha anche dichiarato che la responsabilità è di quei «diversi soggetti regionali che puntano a un’escalation e che puntano sempre a costringere Israele a una reazione, lo dico anche per invitare Israele a non cadere in questa trappola». Da Roma, il ministro degli Esteri Tajani si è limitato a «sperare che sia soltanto una reazione di Israele e che non ci sia una escalation». Inoltre, data la presenza della missione Unifil nel sud del Paese che è guidata dai militari italiani, Tajani ha anche aggiunto che «i soldati italiani presenti in Libano sono messi in sicurezza ma come ho chiesto al ministro della Difesa, Guido Crosetto, vogliamo sapere dalle Nazioni unite che regole di ingaggio dare visto che la situazione sta cambiando di giorno in giorno».

Hamas e l’Iran hanno invece condannato subito il raid israeliano definendolo una «pericolosa escalation» e una «palese violazione» della sovranità del Libano.

PRIMA DELL’ATTACCO il governo britannico aveva deciso di ritirare la proposta di legge che ponesse l’embargo sull’esportazione di alcune armi a Israele, dato il conflitto in corso a Gaza. Ora invece, in seguito al razzo caduto sulle alture del Golan che ha ucciso 13 bambini in un campo da calcio e determinato la promessa di una reazione da parte di Israele, Londra ha cambiato idea. In una dichiarazione ai parlamentari britannici, il ministro degli Esteri, David Lammy, ha detto: «Sosteniamo il diritto di Israele a difendersi in linea con il diritto umanitario internazionale. Si trova in un momento difficile, minacciato da coloro che vogliono annientarlo». Lammy ha dichiarato che in termini di sospensione delle vendite vuole fare una distinzione tra le armi utilizzate da Israele per la guerra a Gaza e quelle utilizzate a scopo difensivo. Ma questa distinzione si sta rivelando più difficile da tracciare nella legge, oltre che politicamente impegnativa.

 

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