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Il governo Meloni continua a sciorinare i dati record sull’occupazione ma Eurostat certifica ben altro: il reddito disponibile delle famiglie è in calo e l’Italia è fanalino di coda in Europa (Grecia a parte): dal 2008 persi 6 punti mentre la media Ue è aumentata di 10

Reddito di Esclusione. I dati Eurostat smentiscono la retorica dell’esecutivo Meloni: in calo nell’ultimo anno, dal 2008 solo la Grecia fa peggio di noi. Nel «Quadro di valutazione sociale» la confutazione dei successi su occupazione e calo della povertà

 I consumatori fanno molta attenzione ai prezzi nei supermercati - Foto LaPresse

«Record dell’occupazione», «calo della povertà». In questi mesi la gran cassa del governo Meloni continua a citare dati che delineano l’Italia come un eden in controtendenza con gli altri principali paesi europei. Ora arriva Eurostat – con i dati pubblicati nel “Quadro di valutazione sociale” che monitora il progresso sociale in tutta Europa – a confutare in gran parte questa narrazione. L’istituto statistico di comparazione europea mette nero su bianco numeri che certificano come il nostro paese sia in coda nel continente sia nell’ultimo anno che nell’ultimo decennio.

IL REDDITO DISPONIBILE REALE lordo delle famiglie nel 2023 diminuisce e si attesta oltre sei punti al di sotto di quello del 2008. Se nei 27 paesi dell’Unione – prendendo come riferimento il 2008, l’anno della grande crisi – la media dei redditi disponibili nell’ultimo anno sale da 110,12 a 110,82, in Italia cala da 94,15 a 93,74. Rispetto alla media europea, dunque, in Italia il reddito disponibile reale risulta inferiore di oltre 17 punti, a dimostrazione di come le condizioni economiche delle famiglie siano gravi e continuino a peggiore, nonostante gli annunci del governo.
Per quanto riguarda il reddito l’Italia rispetto al 2008 ha fatto meglio solo della Grecia – qui nel 2022 il reddito lordo disponibile era al 72,1 rispetto a quello del 2008 – mentre resta lontana dalla Germania con il 112,59 nel 2023. La Francia supera il 2008 – 108,75 nel 2022 – mentre la Spagna è ancora indietro (95,85) ma è in fortissima ripresa.

«I DATI EUROSTAT confermano che il miglioramento degli indici del mercato del lavoro non rappresenta di per sé una buona notizia se non affiancato da qualità e stabilità dei rapporti di lavoro: l’occupazione è uno strumento di protezione dal rischio di povertà solo quando il lavoro è stabile, tutelato, sicuro e dignitoso. Per noi le priorità restano il contrasto ad ogni forma di precarietà, sfruttamento e illegalità nel lavoro e l’aumento delle retribuzioni – commenta la segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli – . Le condizioni di discontinuità e povertà della condizione del lavoro, dovute ad esempio a part-time, appalti e subappalti, che si riscontrano in molti settori pubblici e privati, sono le condizioni che vanno rimosse per costruire una nuova cultura del lavoro con standard più alti: è la strada per colmare le distanze rispetto al resto dei paesi europei, soprattutto per giovani e donne», conclude Gabrielli.

«Nel nostro paese c’è un’emergenza legata ai redditi ma resta anche quella del lavoro povero – spiega il segretario confederale della Uil Santo Biondo – . Non si rinnovano i contratti e quindi non si riesce a recuperare il potere d’acquisto perso con l’inflazione. L’aumento dell’occupazione – sottolinea – non ci dà grandi input in

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Parigi. Pur di evitare un governo di sinistra ha mandato in tilt il sistema Ogni nome che propone, ultimo Beaudet, è bocciato in anticipo

Macron prende altro tempo. La Francia senza primo ministro Emmanuel Macron

Ancora una lunga giornata di attesa, a quasi due mesi dal voto delle legislative, dove il Nuovo Fronte Popolare è arrivato in testa, pur senza maggioranza assoluta. Nel pomeriggio, è spuntato un nuovo nome per la carica di primo ministro, dalla società civile: Thierry Beaudet, maestro elementare, di sensibilità di sinistra, che è stato alla testa della Mutualité, ora presidente del Consiglio economico, sociale e ambientale (Cese), che ha organizzato con grande competenza i dibattiti cittadini sul clima e la fine vita, che hanno permesso discussioni nella calma e nel rispetto reciproco tra persone di opinioni diverse. La prospettiva macronista è sempre quella di “grande coalizione repubblicana”, che la sinistra respinge (e da cui la destra si ritrae). Subito sono venute forti perplessità, anche a sinistra (sulla competenza di Beaudet, l’incertezza sul programma), ma soprattutto sul metodo: prima un programma, poi un nome.

Emmanuel Macron, che in una situazione politica confusa sta recitando una parte da protagonista invece di limitarsi a fare da arbitro, ha difficoltà a trovare la quadratura del cerchio: nominare un primo ministro che non si faccia votare subito la “censura” dalla nuova Assemblée Nationale divisa in tre blocchi. Una ricerca che l’Eliseo giustifica con la necessità di garantire la “stabilità”, mentre ogni nome proposto sta suscitando reazioni negative da parte degli schieramenti rivali e subisce preventivamente minacce di bocciatura.

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L’illusione dell’eletto dal popolo

MA IL TEMPO STRINGE, la sinistra è sempre più spazientita, mentre il padronato preme per non cambiare la supply side economics e più passano i giorni più Macron si indebolisce. Oggi potrebbe arrivare la scelta. Ieri c’è stata una sfilata di personalità all’Eliseo. Per primo Bernard Cazeneuve, che è stato ministro e primo ministro con Hollande, ma dal 2022 ha preso le distanze dai socialisti: sono i suoi ex amici a frenare questa candidatura, nel week end agli incontri di Blois del Ps il nome di Cazeneuve è stato fischiato, la direzione di Olivier Faure non è intervenuta in sua difesa. Mathilde Panot capogruppo della France Insomise ha ripetuto ieri che qualsiasi governo che non sia quello guidato da Lucie Castets sarà “censurato” immediatamente. Cazeneuve è sostenuto dai socialisti dissidenti rispetto alla direzione Faure, si tratta di leader locali (sindaci, la presidente della regione Occitanie), mentre non c’è un vero sostegno tra i deputati Ps (65), eletti grazie all’alleanza Nfp.

Poi sono stati ascoltati all’Eliseo gli ex presidenti, François Hollande e Nicolas Sarkozy, che continua a fare pressione per un primo ministro di destra, mentre Lr frena, perché il leader Laurent Wauquiez vuole preservarsi per la corsa all’Eliseo del 2027 senza sporcarsi le mani con la partecipazione a una coalizione governativa. Poi è arrivato Xavier Bertrand, presidente della regione Nord-Pas de Calais (Lr ma con qualche distanza), altro nome che è circolato per Matignon. A fine pomeriggio, è stato il turno di François Bayrou, il guru “centrista” del MoDem, del primo ministro dimissionario, Gabriel Attal, che assicura “responsabilità” e “senso dello stato” per gestire gli affari correnti, seguito da Stéphane Séjourné, ministro degli Esteri e capo del partito di Macron. In ultimo è arrivato Gérald Larcher, presidente del Senato (Lr). Ma intanto il governo dimissionario è obbligato a prevedere di rimandare la presentazione del progetto di legge di bilancio 2025, che dovrebbe arrivare in Parlamento il 1° ottobre, un ritardo inedito nella V Repubblica. Il padronato è in allarme, teme l’incertezza e lo spread sul debito. Oggi, le organizzazioni delle imprese (Medef e pmi) sono ricevute all’Eliseo.

IERI, INTANTO, molte voci si sono di nuovo elevate per chiedere la convocazione di una “sessione straordinaria” dell’Assembleé Nationale, che dovrebbe riunirsi solo il 1° ottobre, lasciando quindi per un mese una vacanza di potere che complica l’equazione politica. Finora questo vuoto ha frenato la nomina della candidata proposta dal Nuovo Fronte Popolare, Lucie Castets: Macron teme che Castets, prima di crollare sotto il voto di censura, approfitti del mese di settembre per far passare, con dei decreti, una serie di misure per disfare tutto quello che è stato fatto negli ultimi sette anni, dalla riforma delle pensioni alla soppressione dell’Isf (la patrimoniale, ora in vigore solo sull’immobiliare), decidendo contemporaneamente di alzare il salario minimo a 1.600 euro e dei tagli drastici alla politica pro-business.

La sessione straordinaria è richiesta dal Rassemblement National, da Europa Ecologia, dal Pcf, anche dalla presidente dell’Assemblea, Yaël Braun-Pivet (Ensemble). Non è solo il presidente ad avere il potere di convocare una sessione straordinaria, i deputati possono “auto convocarsi” (ma mettersi d’accordo preventivamente)

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Germania. In Sassonia il leader della Cdu, riconfermato, non esclude accordi Così in Turingia, dove però i fascio-populisti sono arrivati primi

Un muro contro Afd, Sahra Wagenknecht ago della bilancia Manifestazione anti-fascista nel giorno del voto a Erfurt, in Turingia - Foto Ap

Michael Kretschmer, premier Cdu della Sassonia, non si lascia sfuggire neppure per sbaglio la parola alleanza, ma le sta spalancando veramente le porte del governo di Dresda: «Noi democristiani e Sahra Wagenknecht in teoria siamo compatibili: sul suo partito non pende alcun veto, come invece su Afd e sulla Linke». Lei non se lo fa ripetere due volte: «Parliamone di persona». Mentre nega di essere interessata alla poltrona: «Non chiedo alcun ministero per me».

Non sono trascorse nemmeno ventiquattro ore dall’esito delle urne in Sassonia e Turingia che ha sconvolto il governo di Berlino (e la Commissione di Bruxelles) e già si profila la nuova era politica inimmaginabile anche solo una settimana fa. Per il momento l’ipotesi di coalizione fra i conservatori di centro e i «conservatori di sinistra» – così Wagenknecht definisce ufficialmente la sua Alleanza – è talmente inedita che non si è ancora trovata la bandiera giusta in grado di riassumerla. Tuttavia non è più fanta-politica, anzi.

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Una desolante divisione della sinistra in Europa

Michael Kretschmer, 49 anni, astro crescente della Cdu, si avvia al secondo mandato dopo aver vinto per un soffio la sfida elettorale di domenica scorsa contro Afd. L’Unione democristiana con lui candidato ha conquistato il 31,9% contro il 30,6% del fascio populista Jörg Urban. Alle loro spalle l’annunciato boom dell’Alleanza Sahra Wagenknecht (Bsw): grazie all’11,8% non solo vola al parlamento di Dresda ma diventa pure la terza forza politica nel Land. Nove mesi fa nemmeno esisteva, due giorni fa ha drenato una tal massa di voti dalla Linke da farla finire sotto la soglia di sbarramento (ha raccolto il 4,5%). La Sinistra è rientrata nel Landtag grazie ai mandati diretti nella città di Lipsia.

DUE DEI TRE PARTITI del governo Scholz sono riusciti in qualche modo a contenere l’effetto governo rivelatosi devastante sia in Sassonia che Turingia. Spd e Verdi raccolgono rispettivamente il 7,3% e il 5,1% restituendo la prova della loro scarsa rilevanza fra i tedeschi dell’Est. Eppure entrambi potrebbero risultare decisivi nel caso del patto fra Kretschmer e Wagenknecht che li vedrebbe coinvolti come partner ultra-minoritari necessari per raggiungere una solida maggioranza. A proposito di numeri, ieri è stato limato di poco il risultato annunciato domenica. Cambia poco o nulla, se non che dopo il riconteggio finale Afd ha perso la quota della «minoranza di blocco» che le permetteva di fare ostruzione con peso superiore agli effettivi seggi in Parlamento.

Sahra Wagenknecht

Se volete formare una coalizione con noi, dovete parlare anche con me. Penso che una conversazione personale è più appropriata di una telefonata

IN TURINGIA, INVECE come era stato ampiamente previsto da tutti sondaggi, a dare le carte è stata solo Afd, ormai padre-padrone del Land conquistato con il 32,2% del consenso nonostante la netta sconfitta del filo-nazi Bjorn Höcke, spitzenkandidat dei fascio-populisiti con chiare tendenze antisemite, incapace di vincere il mandato diretto nella propria circoscrizione: è entrato nel Landtag soltanto per merito della lista di Afd in grado di esprimere addirittura il seggio in più per il primo dei non-eletti, cioè lui. Chi immaginava che la vera chiave del successo degli alternativi neri fosse il braccio teso di Hoecke si sbagliava non poco, mentre la tesi della disaffezione del voto vacilla di fronte all’incontrovertibile dato dell’affluenza alle urne, più che sintomatico della rivoluzione politica in corso in Germania.

IL RIFIUTO DEI PARTITI tradizionali – Spd, Verdi e liberali in testa – non si è tradotto nell’aumento dell’astensionismo ma l’esatto contrario: in Sassonia domenica scorsa si è presentato al seggio il 74,4% degli elettori (record nella storia di tutte le elezioni del Land) e anche in Turingia sono visibilmente cresciuti rispetto a un lustro fa, fino al 73,6%. In teoria, sotto il profilo strettamente tecnico, sarebbero quote da trionfo della democrazia liberale; in pratica quest’ultima verrà salvata soltanto se in Turingia resisterà il cosiddetto «cordone democratico» di tutti i partiti contro l’alleanza con Afd. Qui la Cdu è arrivata quasi dieci punti dietro ad Afd (23,6%) e ormai il suo concorrente diretto è la Bsw di Wagenknecht (15,8%).
Come in Sassonia anche in Turingia la Spd con il 6,1% non perde granché rispetto alle scorse elezioni ma gli ambientalisti restano fuori dal parlamento per colpa del magro 3,2% raccolto.

Anche qui, l’ago della bilancia sarà il Bsw forte del 15,8% anche se la Linke a differenza della Sassonia ha centrato un target superiore ai sondaggi (13,1%) e in teoria può ancora giocare un ruolo fondamentale nel Land che ha governato per dieci anni consecutivi.
«Dopo le elezioni in Sassonia e Turingia sono necessarie nuove elezioni federali» tuona Alice Weidel, leader nazionale di Afd. Ancora prima di Sahra Wagenknecht, e a maggior ragione dopo lo scivolone elettorale di Höcke, la capa degli alternativi è la donna che sta cambiando il volto della Germania per ora dell’Est. «Il prossimo passo è convincere anche i tedeschi dell’Ovest» è il suo obiettivo non più a lungo termine

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Centinaia di migliaia di israeliani sono tornati in strada ieri contro Netanyahu. Dolore e rabbia per i sei giovani ostaggi uccisi da Hamas a un passo dalla liberazione, dopo il sistematico sabotaggio del negoziato da parte del premier, che non cede: «Nessun ritiro da Gaza»

Muro del Pianto. Israele è stato paralizzato dallo sciopero contro il primo ministro e a favore di un accordo con Hamas per liberare gli ostaggi vivi.

Migliaia contro Bibi che non arretra:  «Resteremo a Gaza» Manifestazione a Tel Aviv contro Benyamin Netanyahu - Ap

Centinaia di migliaia di israeliani ieri sono scesi in strada contro Benyamin Netanyahu, replicando le manifestazioni oceaniche di sabato sera. Non è riuscito a fermarli neppure il tribunale del lavoro che, accogliendo il ricorso del governo per la natura politica e non sindacale della protesta, ha ordinato alle 14.30 la fine dello sciopero generale in Israele proclamato da Arnon Ben David, capo della centrale sindacale Histadrut. Lo stop al lavoro in svariati settori, dalle imprese private ed enti locali a scuole ed università, ha comunque raggiunto il suo scopo.

Netanyahu non può nascondere quanto sia ampia la contestazione alla sua linea di chiusura di fatto all’accordo di tregua con Hamas a Gaza che può portare alla liberazione di decine di ostaggi israeliani ancora in vita in cambio della scarcerazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi. Se da un lato gli israeliani condannano Hamas che ha giustiziato i sei ostaggi ritrovati alla fine della scorsa settimana in un tunnel a Rafah, dall’altro sanno che l’ostruzionismo del premier e la sua idea che solo la forza riporterà a casa i sequestrati, sono tra le prime cause della loro morte.

A maggior ragione dopo che si è scoperto che i nomi di alcuni degli uccisi figuravano nell’elenco dei 33 israeliani che Hamas si diceva pronto a liberare nella prima fase dell’accordo in tre fasi proposto a maggio da Joe Biden. Ieri sera Abu Obeida, il portavoce dell’ala militare di Hamas ha spiegato l’uccisione a sangue freddo dei sei ostaggi «con le nuove istruzioni date a coloro che sorvegliano i prigionieri dopo l’incidente di Nuseirat in caso di avvicinamento dell’esercito israeliano» (dove, l’8 giugno scorso, con una operazione costata la vita a oltre 200 palestinesi, l’esercito israeliano liberò 4 ostaggi). Abu Obeida ha voluto far capire che gli ostaggi saranno giustiziati se i soldati israeliani arriveranno ai loro luoghi di detenzione. «L’insistenza di Netanyahu nel liberare i prigionieri attraverso la pressione militare invece di concludere un accordo, significherà il loro ritorno alle famiglie dentro le bare».

Scioperanti e manifestanti israeliani ieri hanno scandito slogan di rabbia e sconforto mentre bloccavano strade e incroci in tutto il paese e la tangenziale Ayalon di Tel Aviv.  Giunti in via Begin e poi in Piazza degli Ostaggi, vicino al quartier generale del ministero della Difesa, hanno invocato, al ritmo dei tamburi, un rapido accordo per il rilascio dei

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Lunedì Rosso del 2 settembre 2024

Nella foto: Ragazzi ballano durante il festival musicale Brave Factory a Kiev, in Ucraina @Evgeniy Maloletka, Ap

Oggi un Lunedì Rosso che esplora il tema della comunicazione virtuale. Grida alla censura il magnate di X Elon Musk, dopo la decisione di un giudice brasiliano di bloccare le attività del social nel paese, per la presunta diffusione di fake news e propaganda pro Bolsonaro.

Il caso si aggiunge al recente arresto del fondatore di Telegram e induce una riflessione sul ruolo della tecnologia. Come la combinazione di smartphone e social media abbia aperto uno squarcio epocale sulla tutela dei diritti all’espressione, alla privacy e all’informazione.

Tra tweet, messaggini e comunicati stampa si è mossa anche la accidentata linea comunicativa del governo durante l’estate. La premier dichiara e sottolinea che la maggioranza è unita, ma per portare a casa la manovra non basterà un post.

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Europa. Nasce una nuova forza della sinistra

Manon Aubry foto Ap Manon Aubry - Ap

Da una parte c’è La France Insoumise, al centro delle vicende francesi di questi giorni e snodo centrale della sinistra anche in Europa. Dall’altra c’è sinistra tedesca ridimensionata in Sassonia e Turingia, per di più a vantaggio dei rossobruni di Bsw, il partito di Sara Wagenknecht. Tutto ciò potrebbe avere ricadute indirette sugli equilibri nel Partito della sinistra europea e sul gruppo parlamentare a Bruxelles e Strasburgo.

Già all’indomani delle elezioni europee di giugno, Wagenknecht aveva provato a formare un suo gruppo, facendo leva sopratutto sull’asse con il Movimento 5 Stelle. L’operazione non era riuscita anche perché, come è noto, i pentastellati (capitanati in Europa da Pasquale Tridico) hanno scelto proprio di andare con The Left. Almeno per il momento, riferiscono diversi soggetti in campo, l’esistenza del gruppo parlamentare (garanzia di spazi d’intervento e agibilità a Bruxelles e Strasburgo) non è a rischio. Ma è un fatto che il soggetto trainante della compagine, il Partito della sinistra europea, si trova al centro di tensioni e distinguo.

Giusto due giorni fa l’Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee ha annunciato di aver ricevuto le carte con una nuova richiesta di registrazione. Il nuovo soggetto si chiamerà «Alleanza della sinistra europea per i popoli e il pianeta». Secondo lo statuto, punta a unire «i partiti femministi della sinistra verde per costruire un’altra Europa della cooperazione, del progresso sociale e dei diritti dei lavoratori». I membri fondatori, la svedese Malin Björk, la francese Sophie Rauszer e la spagnola Isabel Serra Sánchez dicono di voler lavorare per «l’alternativa al capitalismo», i diritti umani, la giustizia climatica, il diritto internazionale e la lotta contro il razzismo. Attualmente, sette forze politiche dichiarano l’adesione: Bloco de Esquerda (Portogallo), La France Insoumise (Francia), Podemos (Spagna), Razem (Polonia), Enhedslisten De Rød-Grønne (Danimarca), Vänsterpartiet (Svezia) e Vasemmistoliitto (Finlandia). Più che le posizioni sulla guerra russo-ucraina o sull’atlantismo, che sono differenti nel gruppo parlamentare e che anche all’interno di questa composizione restano variegate (si va dal radicale rifiuto della guerra di Podemos alle posizioni più vicine a Kiev delle sinistre nordiche), queste formazioni sono spinte dalla volontà di rompere alcuni schemi del Partito della sinistra europea, cui aderiscono la Linke tedesca e i greci di Syriza, che solo fino a due legislature fa erano i partiti trainanti della compagine. Contano, e non poco, anche le questioni nazionali: quelli della France Insoumise, per dirne una, non hanno preso bene che lo spitzenkandidat alle scorse elezioni non fosse la parlamentare europea uscente Manon Aubry, sulla quale ha posto il veto il Partito comunista francese, socio fondatore della Sinistra europea.

Restano alla finestra i due partiti italiani d’area. Sinistra italiana, che pure rivendica diverse affinità con le sigle che hanno dato vita al partito, fino ad oggi ha preferito la strada di riformare la Sinistra europea più che aprire un nuovo percorso. E da Rifondazione, che non ha eletto parlamentari europei lo scorso giugno ma resta interna a questo percorso, il segretario Maurizio Acerbo ed Eleonora Forenza del segretariato del Partito della sinistra europea fanno sapere: «Continueremo a lavorare per l’unità di tutta la sinistra radicale che fa riferimento al gruppo parlamentare unitario The Left nel parlamento europeo. Il gruppo è sempre stato plurale e al suo interno»

 

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